Aspettavamo sempre la campanella delle 13:00 del sabato pomeriggio per poterci sentire liberi, potenti, padroni del mondo per le successive trentasei ore.
Padroni inconsapevoli ed incoscienti, avidi di vita e di scoperte.
Manifestavamo embrioni di personalità con i capelli un po’ lunghi, portati a casaccio e, ad appena quindici anni, avevamo già il coraggio di andare in giro con pezzetti di barba o con le prime scarpe fighe, gazzelle, puma, etnies. Ci dividevamo fra South Park e Platone, fra Friends e Baudelaire e, in tutto ciò, il clima mite di Palermo ci consentiva – anche in inverno – di rimanere all’aperto, davanti al Duomo, sul suo immenso sagrato, a programmare il pomeriggio e la serata che sarebbero a breve giunti e doveva essere tutto perfetto.
Tutto scandito e predefinito: numero di persone, orario, luogo, posti dove incontrarsi, ragazze o ragazzi da conoscere, dove andare a fare la merenda – che era un po’ il vero aperitivo per chi non sapesse cosa fosse l’aperitivo – e dove, poi, andare a cenare. Sostanzialmente le scelte potevano essere tre: pizza, kebab o panino. Dieci o quindici mila lire bastavano e avanzavano; riuscivamo a farci tutto, anche ad offrire una birra e fare la benzina per il motorino.
In realtà, non andava mai nulla secondo i programmi. Arrivavamo in ritardo, ci incontravamo sempre al Politeama, in centinaia, e poi tutto sarebbe stato naturale.
Era l’era dei cd masterizzati e spacciati fra di noi più di qualunque altra cosa. La musica era il centro delle nostre vite, l’inizio e molto spesso la fine dei nostri discorsi.
Più gruppi o band conoscevi, più acquisivi vigore, importanza, centralità. Ma dietro questo apparente individualismo, si celava il desiderio di accettare l’altro e farsi accettare. Con la musica si sperimentava il disagio, si sognava, si piangeva, si conoscevano i fatti del secondo novecento; le bombe, le stragi, gli amori epici.
La musica era il nostro primo nutrimento; si studiava con la musica, si passeggiava con la musica, si inizava ad amare con la musica e si davano i primi baci.
E qualche bacio avrà avuto come sottofondo una di queste canzoni ma, senza dubbio, al momento di riaprire gli occhi, sarà rimasta in mente questa parola: Linger.
Ciao Dolores
di Pietro Maria Sabella, all rights reserved