X Factor: Sardine
Propaganda: Greta

X Factor sta alle Sardine
come Propaganda Live sta a Greta

Anche grandi fenomeni di pubblico vacillano di fronte al distanziamento sociale
Eppure, dalla tivù alle piazze, c’è chi ha trovato la ricetta giusta per la pandemia

di Anna Madia

X Factor: Sardine
Propaganda: Greta

X Factor sta alle Sardine
come Propaganda Live sta a Greta

X Factor sta alle Sardine
come Propaganda sta a Greta

di Anna Madia
PROPAGANDA

X Factor: Sardine
Propaganda: Greta

X Factor sta alle Sardine
come Propaganda sta a Greta

Anche grandi fenomeni di pubblico vacillano di fronte al distanziamento sociale
Eppure, dalla tivù alle piazze, c’è chi ha trovato la ricetta giusta per la pandemia

di Anna Madia

Forse ce lo siamo perfino dimenticati, che un anno fa, a Bologna, nacque un movimento che faceva dell’assenza totale del distanziamento fisico il proprio marchio. La sardina, il pesce in scatola che sta talmente stretto ai propri simili da non poter nuotare, e che invece nuotò per qualche mese nelle piazze italiane e sguazzò con disinvoltura – forse anche troppa – tra le reti televisive. 

Era un altro mondo, e le sardine naufragarono con esso. Certo, si dirà che il fenomeno si stava spegnendo a prescindere dall’epidemia in arrivo e dalla pandemia all’orizzonte e che i movimenti dal basso devono “decidere cosa vogliono fare da grandi”, altrimenti – insegna la storia anche recente – implodono o cominciano a galleggiare. 

Ma è vero anche che il movimento di Mattia Santori & Co. ha imboccato la via del tramonto definitivo quando abbiamo saputo tutti che avremmo dovuto osservare un rigoroso distanziamento sociale (o fisico, che dir si voglia con più speranza), quando hanno introdotto il concetto di droplet e l’idea di invisibili particelle virali in viaggio tra noi e gli altri. Solo una coincidenza temporale? Difficile. Senza la piazza, senza l’immagine potente di una Bologna gremita di giovani che si riunivano per una ragione politica e non per un evento musicale, tutto di quell’idea scompariva in un baleno. Diventava una galassia di pagine Facebook in funzione 24 ore su 24, di utenti collegati ma scollegati l’uno dall’altro, senza un luogo o una storia comune, e che non di rado si contraddicevano tra loro – almeno davanti ai microfoni – nelle proposte e nelle risposte. Un gruppo esisteva, esisteva una qualche forma di pubblico, ma mancava almeno un ingrediente. Così, ormai da mesi, le Sardine sono attive soltanto per rilanciare post di testimonianza e di buon senso: per Patrick Zaky, per il lavoro, per i diritti delle donne. Le piazze sono lontanissime e non solo perché assembrarsi non è possibile. L’assembramento era l’essenza. E il piccolo pesce, già malconcio, è stato inghiottito dai dpcm.

Dopo aver attraversato mari del tutto diversi anche una corazzata potente come X Factor è sembrata sul punto di arenarsi di fronte alle restrizioni. Si dirà che la formula era già in crisi e in larga parte, per me, è così. Ma la fase delle selezioni è trascorsa nel silenzio di uno spazio immenso e vuoto, talmente vuoto che se si fosse scelto di trasferire i giudizi e le bocciature in un’aula scolastica vera e spoglia nessuno avrebbe colto grandi differenze. Privata del pubblico, delle file degli aspiranti performer ai cancelli, degli applausi a effetto e della standing ovation, delle risate di fronte a candidati improbabili che diventavano poi materiale sociologico e social nello spin-off di Stra Factor, la ricetta del programma perdeva il suo sapore. E con esso lo storytelling su cui voleva poggiarsi: il talento nascosto, il ragazzo irrisolto, l’aspirante cantante alla quale la madre vuole negare il sogno, la storia di una persona dietro il personaggio. 

Quando è stato il momento dei live la corazzata ha dato ulteriori segni di cedimento, anche se, per paradosso e per contrappasso, lo ha fatto scegliendo di reintrodurre e non di rimuovere gli spettatori. Sì, perché qualcuno sugli spalti ci si è anche seduto, ma il pubblico vero, quello che ormai seguiva tutto soltanto da casa, ha storto il naso e ha chiesto spiegazioni. Siamo talmente abituati alle nuove regole che assoldare dei figuranti appare inopportuno. Ma soprattutto non basta a sostituire chi, fino a un anno fa, faceva a gara per accaparrarsi un biglietto. I figuranti raffigurano lo spettacolo, ma la figura non appare poi granché. 

Se le Sardine hanno scontato l’assenza di un progetto comune, X Factor si è ritrovata senza un vero pubblico, cioè un gruppo con un idem sentire. Si può anche riuscire in un assembramento epocale o in uno show impeccabile, ma alla fine ci si chiederà quale sia il futuro.

A proposito di futuro, nessuno dubiterebbe mai che i ragazzi di Fridays for future possano invece resistere ai colpi delle restrizioni, in Italia come altrove. In lunghi mesi di piazze deserte e di riflettori puntati altrove, il movimento non si è mai fermato: ha studiato i passi dei governi e dell’Europa, ha avuto l’intelligenza e la maturità per dire: “Lasciamo che lavorino per salvarci dalla pandemia e poi torneremo più forti”; è tornato, e ora chiede che il Recovery fund metta al centro il tema climatico e ambientale. Dice, numeri alla mano: “State scrivendo il Recovery fund pensando agli anni Venti. Ma del Novecento”. 

I ragazzi di Fridays for future sono riusciti persino a scendere in piazza, rispettando il distanziamento. Avevano giovato e goduto dell’assembramento, ma non hanno perso il filo del discorso quando mantenersi a un metro di distanza e stare il più possibile a casa era diventata la regola. 

Mi hanno fatto pensare a Propaganda Live e al caso degli improbabili cartonati usati al posto di gente in carne ed ossa durante il lockdown. In un grande teatro dell’assurdo la regina Elisabetta è finita al fianco di Marco Damilano e Chiara Ferragni. Ma il programma non è entrato affatto in crisi, anzi, si è mostrato ancora di più per quello che era, un vero spettacolo dal vivo che della televisione si serve come veicolo, ma che esiste a prescindere, al punto che se la trasmissione salta per problemi tecnici tutto continua su Instagram come nulla fosse. Non è solo una puntata, è un evento con un involucro e una sostanza, nel quale la platea è presente e parte attiva e i social vanno talmente forte da esprimere un dialogo degno del mondo reale, non virtuale. Soprattutto esiste uno strano spirito di aggregazione che magicamente transita dalla squadra al pubblico e alla fine Propaganda ci ricorda che non si tratta soltanto di pubblico: ci può spingere a parlare di “comunità” e immaginare Makkox che offre da bere a tutti. 

Del resto, per uscire ancora dallo schermo e tornare al mondo reale, nessuno dubita che gli artisti del nostro Paese, pur stremati da lunghi mesi di vuoto, con un bisogno assoluto e urgente di sostegno economico, torneranno a progettare spettacoli, concerti e balletti e non si dissolveranno davanti a una pandemia. Tutti ricordano il flash mob con i bauli in piazza Duomo a Milano. Il pubblico si è accorto eccome dell’assenza dal palcoscenico, ha cercato il surrogato degli eventi in streaming e ora aspetta il ritorno dal vivo della comunità in cui si riconosce. 

Chi scommetterebbe su una nuova ondata di Sardine? Chi non scommetterebbe sul ritorno della piccola Greta Thunberg, con la sua incredibile presenza fisica e scenica e con le decine, e poi centinaia, e poi migliaia e poi centinaia di migliaia di persone che si sono unite alla battaglia? 

Si è detto per tanto tempo che la rete ci avrebbe sottratto spazi di socialità spostandoci sui social e isolandoci. E a volte è successo. Come è accaduto che l’emergenza sanitaria ci abbia tenuto lontani l’uno dall’altro e abbia avuto ricadute sociali e psicologiche in larga parte ancora da decifrare. 

“Abbandonate ogni speranza di totalità, futura come passata, voi che entrate nel mondo della totalità liquida”, scriveva Zygmunt Bauman vent’anni fa, quando la pandemia non era con noi ma la società gli appariva – in una grandissima visione – per quello che era e sempre più sarebbe stata, una sabbia mobile in grado di renderci insicuri, fragili, appesi a un continuo e indecifrabile cambiamento. E però, adesso che siamo sempre e forzatamente ad almeno un metro di distanza l’uno dall’altro, adesso lo sappiamo quanto bisogno avremmo e avremo di stare vicini. L’idea della piazza – che è stata svuotata e transennata dai dpcm a ripetizione e dalle ordinanze comunali di rinforzo – non ci è mai sembrata così necessaria. A tanti di noi è capitato di pensare, proprio in questi mesi, che sarebbe ora di scendere per strada in nome di qualcosa, fondare un’associazione, o riunire persone con idee comuni e il fermento di un progetto condiviso. Se alla fine dell’era del distanziamento iniziasse un’era del contatto, dell’avvicinamento fisico, qualcosa di nuovo e di buono potrebbe venire.

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