Waterloo,
la fine di Napoleone

Accadde oggi: Waterloo,
la fine di Napoleone

Il 18 giugno 1815 si svolse la più celebre fra tutte le battaglie
che decretò la sconfitta e l'esilio a Sant'Elena

di Simone Pasquini

Waterloo,
la fine di Napoleone

Accadde oggi: Waterloo,
la fine di Napoleone

Accadde oggi: Waterloo,
la fine di Napoleone

di Simone Pasquini
Waterloo

Waterloo,
la fine di Napoleone

Accadde oggi: Waterloo,
la fine di Napoleone

Il 18 giugno 1815 si svolse la più celebre fra tutte le battaglie
che decretò la sconfitta e l'esilio a Sant'Elena

di Simone Pasquini

Il 18 giugno 1815, nei pressi di Bruxelles, si svolse la più celebre fra tutte le battaglie che riempiono i libri di storia. La battaglia che segnò la fine di un impero e la definitiva affermazione di un altro, il declino di uomo e l’apparente sconfitta delle idee di cui si era fatto portatore. Un battaglia combattuta su di una bassa collina nei pressi di un piccolo villaggio belga chiamato Waterloo.

Il contesto in cui inserire la più famosa delle battaglie di Napoleone è quello dell’Europa ancora scioccata dalla fuga del “mostro”, come il generale còrso veniva affettuosamente chiamato presso le corti europee, dall’esilio sull’isola d’Elba e la sua repentina riconquista del potere in Francia.

Poco dopo il suo sbarco a Marsiglia, avvenuta il primo marzo, la ribellione dell’esercito e di buona parte dell’amministrazione statale aveva costretto l’obeso e niente affatto amato re Luigi XVIII ad abbandonare il trono che era stato del fratello maggiore prima dello scoppio della Rivoluzione.

Il motto dell’Europa libera dallo spauracchio francese era “tutto deve tornare a prima della Bastiglia”, e le teste coronate di mezza Europa stavano convergendo a Vienna per definire il nuovo (o, per meglio dire, il vecchio) assetto del continente.

La notizia della fuga dell’ex imperatore seminò letteralmente il panico. E sebbene Napoleone, reinsediatosi con la sua corte ed il suo stato maggiore a Parigi, avesse tentato di negoziare una pace con i suoi nemici di un tempo, chiedendo come unica concessione di poter rimanere sul trono di Francia secondo gli antichi confini del regno, il secco rifiuto da parte dei regnanti europei avrebbe costretto l’Europa ad un ultimo, epico scontro fra le forze della Rivoluzione francese da un lato e quelle della società di ancien regime dall’altro

Senza dubbio, la situazione si presentava tutta a sfavore di Napoleone. Era necessario formare un nuovo, grande esercito con cui fronteggiare le forze congiunte di Gran Bretagna, Austria, Prussia e Russia (solo per citare gli attori principali), le quali mantenevano ancora un gran numero di truppe in Europa occidentale, nei pressi dei confini del Regno di Francia.

Il grande intuito strategico del generale còrso suggeriva di metter in pratica la regola aurea che negli anni recedenti lo aveva portato ai trionfi più splendenti: colpire il nemico con il massimo della forza quando si trova diviso.

Napoleone poteva disporre di meno di 240.000 uomini, contro 600.000 della Coalizione. Ma grazie alla buona stella dei francesi, le forze del nemico si trovavano sparpagliate. Prima mossa, dunque, puntare con le truppe disponibili verso Nord e colpire l’esercito inglese del generale Wellington accampato vicino Bruxelles, così da annientarlo prima che questo potesse ricongiungersi con le truppe prussiane del maresciallo Blucher.

Blucher

Quando a Bruxelles giunse la notizia che le truppe francesi stavano puntando verso il Reno gli inglesi accelerarono drasticamente i preparativi di guerra. La speranza di Arthur Wesley, I° duca di Wellington e comandante in capo delle truppe di Sua Maestà britannica, era quella di riuscire a rallentare i francesi quel tanto che bastava per permettere agli alleati prussiani di coprire la distanza che separava i due eserciti.

Decise, dunque, di allontanarsi dalla città e schierare le proprie truppe su di un basso crinale a meno di 5 km dal piccolo villaggio di Waterloo ed attendere i francesi con il vantaggio del terreno più elevato.

In realtà, le truppe al comando del duca di Wellington non erano composte solo da soldati inglesi, bensì da un eterogeneo gruppo di soldati provenienti dalle parti più varie dell’Europa occidentale: una babele di lingue e nazionalità, dove all’inglese si mischiava il fiammingo e l’olandese dei Paesi Bassi, e perfino il tedesco delle truppe dei ducati di Nassau e Brunswick e del Regno di Hannover. Un massa composita che richiedeva grandi capacità di comando per essere gestita come una unità compatta.

Napoleone, per parte sua, aveva deciso di distaccare una parte consistente del suo esercito, agli ordine del generale Grouchy, con il compito di trovare l’armata prussiana del feldmaresciallo Blucher e tenerli impegnati fino alla fine dello scontro con gli inglesi. Il primo di una serie di decisioni che, come vedremo, si sarebbero rivelate fatali.

La notte fra il 17 ed il 18 giugno la pioggia cadde copiosa sulle coltivazioni e sui prati che, allo spuntare dell’alba, si sarebbero trasformati in campo di battaglia. Nelle prime ore della mattinata aveva smesso di piovere, e dalle posizioni francesi si potevano scorgere con chiarezza le tre fattorie che si trovavano alla base del crinale occupato dagli inglesi e che le forze di Wellington avevano fortificato.

La prima cosa da fare, dunque, sarebbe stata quella di conquistare le fattorie, per poi permettere alla fanteria di salire compatta la collina sotto la copertura dell’artiglieria francese, molto più numerosa di quella di britannica.

La pioggia, tuttavia, aveva trasformato la terra in un pantano, e dunque Napoleone, provato da una notte durante la quale i dolori allo stomaco di cui soffriva cronicamente non gli avevano dato tregua (forse i primi segni del cancro allo stomaco che alcuni anni dopo lo avrebbe portato nella tomba), decise di attendere alcune ore, nella speranza che il sole estivo potesse asciugare almeno un po’ il fango e renderlo attraversabile dagli uomini e dalla cavalleria senza intralcio.

Ma, così facendo, commise un secondo errore, facendo guadagnare tempo agli inglesi ed ai prussiani che si stavano avvicinando.

Fra le ore 10:00 e le ore 11:00 inoltrate – non è mai stato possibile ricostruire l’orario con precisione – il primo colpo di cannone diede il segnale di attacco alla fanteria francese. I 75.000 uomini di Napoleone sovrastavano in numero le truppe di Wellington, le quali per ore ed ore contesero ai francesi il controllo delle fattorie, mentre i circa 260 cannoni imperiali facevano piovere piombo sulle compatte linee dei fucilieri di Sua Maestà.

Ad un certo punto, i cavalieri scozzesi, il meglio della cavalleria pesante inglese, soprannominati Scots Grey dal manto dei loro cavalli, caricarono sul fianco la fanteria francese, riuscendo, nonostante le gravissime perdite, ad allentare la pressione sullo schieramento. Una carica che ancora oggi viene ricordata con commozione negli ambienti militari britannici.

Verso le 15:00, gli scontri sembrarono calare di intensità. I due avversari stavano cercando di prendere le misure e capire come uscire dall’impasse. Napoleone ricevette notizie dal generale Grouchy, il quale lo informava che non era riuscito a trovare i prussiani e che probabilmente non sarebbe riuscito a ricongiungersi al grosso dell’esercito francese prima della fine della battaglia.

Nonostante questa notizia, Napoleone decise di non desistere dall’attacco, fino a quando non dovette allontanarsi dalla posizione di comando a causa di un altro forte attacco allo stomaco.

A questo punto (e non per colpa di Napoleone) si consumò l’ultimo e peggiore errore dello schieramento francese: momentaneamente al comando delle operazioni, il Maresciallo Ney, fidatissimo dell’Imperatore, ebbe la sensazione che le truppe di Wellington stessero per cedere, e così diede l’ordine alla cavalleria pesante francese di caricare frontalmente le truppe alleate.

Quando la massa dei 3500 cavalieri francesi superò il crinale, si ritrovò la fanteria inglese chiusa in quadrato, pronta a ricevere la carica della cavalleria nella formazione più adatta allo scopo.

La mattanza andò avanti per ore, con i fanti inglesi che potevano tirare a volontà e quasi a bruciapelo sulla masse dei cavalieri francesi, impotenti di fronte alla massa compatta dei quadrati, ciascuno composto da centinaia e centinaia di fanti. Alle ore 17:00 quasi tutta la cavalleria di Napoleone era fuori combattimento

Mezz’ora prima della fine della carica francese, le vedette francesi scorsero qualcosa muoversi da est. Forse le truppe di Grouchy arrivate in anticipo? Forse i prussiani di Blucher? Giubbe blu o giubbe nere?

Sgomento generale, sono le insegne nere della fanteria prussiana, che si sta dirigendo proprio verso la retroguardia francese. Napoleone è costretto a distaccare la propria riserva per fronteggiare le truppe di Blucher. Sa che i suoi uomini sono troppo pochi, può solo sperare di riuscire a rallentare i prussiani quel tanto che basta per dare la spallata finale alle esauste truppe di Wellington.

Alle ore 19:30 Napoleone, consapevole di doversi giocare il tutto per tutto, lancia l’assalto finale, schierando in prima linea i suoi amati veterani della Vecchia Guardia Imperiale. I veterani avanzano, ma vengono falciati dai colpi dell’artiglieria inglese e dalle fucilate dei soldati, che Wellington aveva tentato di far apparire meno numerosi ordinando a diversi reggimenti di sdraiarsi a terra fra i covoni di grano. Nel mezzo della terribile ecatombe, ad un certo punto si alzarono le grida di “si salvi chi può”.

La Vecchia Guardia era in rotta, ed il resto delle truppe francesi assisteva con sgomento l’élite dell’Armee ritirarsi dal campo di battaglia. In quegli stessi momenti, le avanguardie prussiane avevano raggiunto le retrovie del campo francese.

La battaglia era ormai perduta, e mentre le truppe francesi tentavano di abbandonare il campo di battaglia, gli unici soldati ancora in grado di combattere erano proprio quelli della Vecchia Guardia, i cui reparti che ancora non si erano sfaldati sotto il fuoco nemico si strinsero in quadrato per tentare la cosiddetta “azione di retroguardia”, vale a dire tenere a bada il nemico per permettere al resto dell’esercito di ritirarsi con ordine.

In questa occasione il generale Pierre Cambronne, alla richiesta di resa di un ufficiale inglese, pare pronunciasse la celebre esclamazione “Merde!”, entrata poi nella storia. 

Alle ore 21:00, di fronte alla locanda La belle alliance, i due comandanti alleati si incontrano per la prima volta. Napoleone era sconfitto, ed i due generali sapevano che le perdite subite erano state devastanti. I soli francesi avevano perso più di 25.000 uomini, a cui si devono sommare poco meno di 20.000 perdite fra gli alleati.

Poche settimane dopo Napoleone, abbandonato dai molti dei suoi sostenitori, si consegnò alle autorità britanniche, che lo avrebbero scortato fino alla celebre isola atlantica di Sant’Elena per l’ultimo e più celebre esilio.

La fine di Napoleone si era consumata su quegli (fino a quel momento anonimi) campi coltivati nei pressi di Bruxelles, dove venne combattuta quella che sarebbe rimasta la più sanguinosa battaglia svoltasi in Europa fino alle mattanze della prima guerra mondiale.

Il Duca di Wellington

Un dispaccio inglese ci permette di attribuire a Wellington, il grande trionfatore della giornata, una massima che forse rivela meglio di molte altre quello che il tragico spettacolo dei morti e dei feriti deve aver suscitato nel cuore di questi veterani la sera del 18 giugno: “Niente, salvo una battaglia persa, può essere triste anche solo la metà di una battaglia vinta”.

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