Il film di Giorgio Diritti è un’immersione fisica nella vita e le opere di Antonio Ligabue, un Elio Germano meritato Orso d’Argento alla Berlinale 70

CINESTETICO: che basa la propria comprensione del mondo sulle sensazioni derivate da tatto, olfatto e gusto.
Il film di Giorgio Diritti è così: è un’esperienza fisica, di totale immersione. Senti l’odore della vestaglia della mamma, il gusto dei tubetti di colore, il contatto fisico con gli animali, con l’argilla. È la tela bianca in cui vibra la fierezza della tigre, il motore di una motocicletta da accarezzare, il calco vivo di una lapide che quasi ti toglie il respiro.
I colori vivi e forti di dipinti su campi lunghi, i quadri di solitudine e umanità su un ponte di Roma, le linee rette del rosso terra dell’Emilia Romagna risuonano nella fotografia di Matteo Cocco e nella color di contrasti di stacchi di Nazzareno Neri e uniscono l’esperienza visiva a sonorità acute e delicate, nei respiri e nelle pennellate: è così che la cinestesia si unisce all’esperienza visiva e auditiva che penetra attraverso le musiche di Marco Biscarini e Daniele Furlati. Totalizzante.
Elio Germano è un animale che vive nella natura che è il suo nascondiglio e che regala a Toni Ligabue occhi di dolore, paura e timida dolcezza in quella libertà, ricerca di vita profonda in un sogno di opulenza d’amore nella scoperta di figure femminili materne, pure (Orietta Notari, Francesca Manfredini) e talvolta incontrando chi a quella purezza non appartiene, colore vivace e spavaldo (Paola Lavini).
Duplicemente cinestetico e cine-estetico: questo film, scritto dallo stesso Diritti assieme a Tania Pedroni, è immersione totalizzante in un’opera d’arte che scava nell’inquietudine di una solitudine, del male dentro, di un rapace che guarda dritto e lascia i contorni sfocati.
Un film che il regista, la produzione Palomar e la distribuzione 01 Distribution hanno voluto al cinema sfidando tutto: un film che al cinema va visto, che non deve andare perso nei colpi di tosse, nascosto dentro un sacco di juta.
Appena potete, andatelo a vedere, anche se voleva nascondersi: è un respiro di vita, un urlo scomposto.
di Alessandra Carrillo, all rights reserved