VIENI A VIVERE A NAPOLI, COMMEDIA MULTIETNICA IN TRE ATTI

di Alessandra Carrillo

VIENI A VIVERE A NAPOLI, COMMEDIA MULTIETNICA IN TRE ATTI

di Alessandra Carrillo

VIENI A VIVERE A NAPOLI, COMMEDIA MULTIETNICA IN TRE ATTI

di Alessandra Carrillo

Intervista ad Alessandro Cannavale, produttore del film

Napoli. Interno giorno. Scantinato semi-illuminato. Una riunione di condominio per mettere alle strette il portiere scansafatiche. Quello che conosce i segreti di tutti. Così apre Vieni a vivere a Napoli, un film in tre episodi firmati da tre giovani registi partenopei: Edoardo De Angelis, Guido Lombardi e Francesco Prisco, che insieme raccontano la loro città che accoglie, a suo modo, tutti. Protagonisti sono soprattutto tre rappresentanti di culture che oramai fanno parte dell’amalgama multietnico di Napoli: un bambino cinese (Marco Li) che finirà per aiutare questo portiere (Gianfelice Imparato) a non perdere il posto di lavoro, mentre si scoprono le mille strategie di sopravvivenza in cui è coinvolta anche la sorella con la pensione di invalidità (Antonella Morea); la badante ucraina (Valentina Lapushova) di un vecchio (Antonio Casagrande) che si trova, cacciata dalla figlia di lui (Teresa Del Vecchio) ad affrontare la notte di Napoli mentre sogna di tornare ai fasti di una volta quando era una star della TV del suo Paese; e un ragazzo cingalese (Diggamaralalage Bagga Lankapira) che si ritrova coinvolto negli appuntamenti di una cantante neomelodica (Miriam Candurro) in cerca di successo e del suo manager (Massimiliano Gallo) tra matrimoni e serenate.

alessandro cannavale

Ne abbiamo parlato con Alessandro Cannavale, che assieme al fratello Andrea della Run Film e con l’apporto di Rai Cinema, ha prodotto il film che sarà nei cinema a partire da oggi 23 Marzo 2017, distribuito nei cinema italiani da Europictures (sulla pagina facebook https://www.facebook.com/vieniavivereanapoli/  le info aggiornate sulle proiezioni in tutta Italia).

Alessandro, com’è nato Vieni a vivere a Napoli?

Negli ultimi tempi ho notato che si è un po’ persa l’idea di collettività, di fare le cose insieme, e per questo ho voluto proporre un’operazione alla vecchia maniera per esplorare certe contaminazioni, certe alleanze creative: la cultura italiana cinematografica è piena di film a episodi, prima se ne facevano tantissimi. L’idea era quindi di ritornare indietro e sperimentare.

Ho voluto così anche presentare una nuova generazione di registi del territorio: loro tre mi interessavano perché erano tre personalità profondamente diverse. Io gli ho lanciato questa idea sulla multietnicità della nostra città (il tutto è nato un giorno che ero fermo in Piazza Garibaldi e mi sono preso del tempo per guardarmi attorno e scoprire un altro volto di Napoli), proponendo loro i tre popoli più presenti nel napoletano a seguito di un confronto sulle culture che interessassero maggiormente. Li ho semplicemente messi insieme ed ho acceso il corto circuito creativo che ha dato origine a questo film. Ci siamo visti più volte, loro si sono confrontati senza minimamente entrare in contrasto ma, anzi,con una sana competizione tra di loro, e ognuno ha cercato di fare al meglio scegliendo la propria dimensione e sviluppando il proprio episodio in giornate di produzione limitate (essendo un film a bassissimo costo, ogni regista è stato molto bravo nel rispettare le esigenze di produzione di 8 giorni ad episodio).

La fotografia di Daria D’Antonio, il montaggio di Lorenzo Peluso ed il lavoro del resto del cast tecnico presente sul set dei tre episodi hanno garantito una continuità al film stesso, seppur ogni episodio, a suo modo, abbia raccontato registicamente in maniera diversa quest’altro volto di Napoli.

Che cosa c’è dietro i tre episodi raccontati?

Il primo episodio Nino e Yoyo di Guido Lombardi, scritto assieme a Marco Gianfreda, era una storia tratta da un articolo su Repubblica che mi aveva molto intrigato su queste balie napoletane che per arrotondare lo stipendio prendono in affidamento bambini cinesi ed ho proposto questa cosa a Guido e lo sceneggiatore Marco, che si sono molto entusiasmati e l’hanno sviluppato insieme al tema del classico scansafatiche napoletano, che è un po’ una citazione à la De Crescenzo di Franco Javarone in 32 dicembre, un film che io ho amato moltissimo. C’è quindi un mix di quel mondo tipico napoletano con questa visione nuova, multietnica.

Una curiosità di questo episodio nasce dal piccolo protagonista, Marco Li: il bimbo trovato dopo due mesi di provini alla Gianturco (scuola di Napoli), dopo qualche giorno sul set aveva già capito come funzionava tutto. Durante la scena delle luci di Natale, quando Guido chiama lo stop, lui si fa una corsa fino alla macchina e chiede all’operatore “me la fai rivedere?”. Era carinissimo.

nino e yoyo

Anche i provini per il secondo episodio, Luba – diretto da Francesco Prisco e scritto assieme a Giorgio Caruso – sono stati molto interessanti: nel cercare una badante ucraina a Napoli abbiamo incontrato molte signore e ci ha colpito molto la loro dignità nel fare questo mestiere quando alle spalle nel loro Paese magari avessero storie importanti come professore universitario, medico o ricercatrice. Francesco ha guardato per questa storia alla realtà di casa sua, perché aveva il padre accudito proprio da una badante ucraina ed ha voluto raccontare il sogno disilluso del successo di queste signore attraverso Luba, che ricorda i tempi in cui era riconosciuta alla TV.

In quest’episodio esce poi fuori anche il carattere molto tradizionalista del napoletano, in uno scontro importante di culture a partire dal piatto di pasta, come va cotta e condita. Il tutto, mentre la badante tende ad importare la sua cultura. Napoli è una città accogliente, ha una grande storia ma tende a scontrarsi su queste cose perché non vuole impoverirsi culturalmente. E questa particolarità mi diverte e mi faceva piacere che fosse raccontata.

In Magnifico Shock, Edoardo De Angelis, che ha scritto la sceneggiatura assieme a Devod de Pascalis e Marco Gianfreda, ha scelto invece di raccontare la giornata surreale di un ragazzo dello Sri Lanka, scorgendo in lui i tratti maturi di questa comunità cingalese molto composta che pare ingenua ed obbediente agli occhi dei più. L’incontro del ragazzo con la cultura neo-melodica partenopea crea una serie di interessanti sfaccettature al racconto di un mondo il cui stile, da cui era già rimasto affascinato in Mozzarella Stories, è stato ulteriormente ricercato ed approfondito nel film che porta Edoardo a ben 17 nomination per il David, Indivisibili, dove sono protagoniste le due gemelle Marianna e Angela Fontana conosciute proprio sul set di Vieni a Vivere a Napoli.

Il trailer del film “Vieni a Vivere a Napoli”: [su_youtube_advanced url=”https://www.youtube.com/watch?v=vTzTZZbhQ3A&feature=youtu.be” rel=”no” theme=”light” https=”yes”]

 

Dal film esce quindi fuori la Napoli di oggi, una Napoli multiculturale, dove si impara a convivere.

Sì, preferisco definire la multiculturalità attraverso la parola convivenza, più che integrazione.

Il cinema poi offre spunti di riflessione su queste tematiche, ma sarebbe da allargare ad un dibattito molto più ampio. Non ti saprei definire la parola integrazione, soprattutto dopo aver esplorato molto questi mondi ed essere entrato tanto in contatto (soprattutto durante i provini) con culture diverse. È un concetto molto difficile da catalogare, perché forse si parlerebbe di far nascere una cultura nuova che è una fusione di tutte. Per me quindi integrarsi è piuttosto imparare a convivere, senza perdere quello che sei in nome di qualcos’altro. Anche perché tutti questi popoli che abbiamo nominato vivono spesso l’opportunità del territorio momentaneamente, non tutti con una dimensione stabile di vita, ma spesso con l’idea di tornare al loro Paese, un giorno. È una dinamica interessante da analizzare, ed è per questo che i registi non prendono una posizione, esplorano un mondo senza mai entrarci con un giudizio vero e proprio. Ecco perché più che film sull’integrazione io lo definisco un film sulla Napoli multietnica, perché Napoli è una città accogliente, ma che tende a mantenere la propria identità culturale dando vita alla convivenza tra culture, quella convivenza che emerge proprio in questo film.

Il legame con Napoli è fortissimo. Continuerete sempre a lavorare sul territorio?

 Napoli è una città moderna che avrà un bellissimo futuro davanti, non ha nulla da invidiare a città come Milano o Roma: spesso viene ancora etichettata come la città della pizza e del mandolino, ma sta diventando sempre più moderna e soprattutto da un punto di vista artistico e a livello creativo può dare molto da oggi in poi.

Io ci credo tantissimo in questa città e voglio produrre solo a Napoli e solo storie al sud, come ho già fatto in Sicilia e Basilicata. Non ci sposteremo mai perché le nostre caratteristiche sono film a basso costo e che guardano da Napoli in giù. Questa è l’identità che vogliamo dare alla nostra società, è la nostra idea di mercato.

L’idea di essere indipendente, di poter realizzare piccoli sogni e di mantenere questa autonomia sul territorio ha portato me e mio fratello – io quello più irrazionale ed emotivo, lui più razionale e presente (un’accoppiata ricca di litigi divertenti e contrasti positivi) – a fondare una piccola società sul mercato con questi obiettivi precisi. Abbiamo iniziato a produrre spot, corti, documentari, e poi, una volta che ci siamo un po’ strutturati, abbiamo incontrato questi due amici, Alessio Matrone e Danilo Caruso, proprietari di Optima, e con loro abbiamo deciso di mettere su questa piccola realtà produttiva e da tre anni abbiamo fatto tante cose.

Inoltre, a Parco Margherita, dove siamo, abbiamo dato vita ad una sorta di incubatore di idee: abbiamo preso una ex-palestra e l’abbiamo restituita alla città, inglobando al suo interno una serie di attività legate al mondo del cinema come una scuola di cinema, la nostra società di produzione, e dal 4 marzo abbiamo anche aperto La Libreria del Cinema e del Teatro, grazie a più di 10.000 tra copioni e sceneggiature collezionati da mio padre (l’attore partenopeo Enzo Cannavale – da Eduardo De Filippo a Nuovo Cinema Paradiso, al sopra citato 32 Dicembre per cui vinse il Nastro D’Argento come miglior attore non protagonista – venuto purtroppo a mancare nel 2011, ndr) e messi a disposizione della città.

A proposito del grande Enzo Cannavale: qual è la cosa di tuo padre che ti segnato di più in questo rapporto con il cinema?

Più che una cosa che mi ha segnato, mi resta un atteggiamento molto bello, che mi ha formato, che lui aveva nei confronti della vita: prendere tutto con ironia. Lui era uno che giocava a fare l’attore, era un gioco serio per lui, ma alla fine era pur sempre un grande gioco.

E così, dato che con l’uscita di questo film termina per me una prima fase di esplorazione di questo mondo produttivo, e dato che da grande ho deciso di fare il produttore, adesso mi divertirò a cercare con tutte le mie energie una storia che mi faccia emozionare, una storia semplice. E chissà che non trovi l’ispirazione nell’immensa collezione di papà.

di Alessandra Carrillo, all rights reserved

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