Il vaccino rappresenta una speranza. Questo non si può mettere in dubbio. E’ la reazione scomposta degli individui all’idea di affrontare la vaccinazione a mettere in pericolo la capacità di questa speranza di diventare realtà. Ragion per cui questo magniloquente V-Day, già nei prossimi mesi, potrà risultare il vero ponte tra un passato di tenebra e un futuro di luce, oppure solo un ennesimo appuntamento vuoto. E’ nella scelta dei cittadini che viene riposta l’arma migliore contro questo terribile virus. Il punto è capire se la popolazione sia preparata, sia effettivamente consapevole dell’importanza delle proprie scelte e degli effetti che la propria condotta possa avere sul prossimo.

Si tratta di una prova del nove che metterà in risalto i pregi ma soprattutto i difetti delle società occidentali e tecnologiche, in particolare di quelle apparentemente più mature, nelle quali la concezione di democrazia sta assumendo le vesti di arbitrio per il singolo o per gruppi. L’esercizio della libertà è stato scorporato dalla sua componente complementare, la responsabilità. Democrazia – per il singolo – si traduce purtroppo, a volte, in pretesa di lasciare fuori dalla propria porta l’altro e lo Stato. Solidarietà, comunità, convivenza civile, sono paradigmi che non permeano più l’individualismo autarchico. In questo naufragio, da un punto di vista geo-politico e macro-economico, l’impatto che il virus ha avuto è stato lo stesso dello scoppio di una guerra. Ma non nel senso epico-narrativo dell'<<andrà tutto bene>>, ma rispetto allo shock improvviso che ha causato. E come accaduto proprio durante le guerre è stato il salto tecnologico a condurre alla vittoria di una parte sull’altra e la capacità politica di tradurre quell’avanzamento in una regia complessiva, in un nuovo disegno di società. Basti pensare all’invenzione del computer, avvenuta proprio durante la seconda guerra mondiale. Non è dunque affatto assurdo che, ancora una volta, sia stata la scienza (intesa in senso ampio e come ricerca) ad assumere il ruolo di protagonista nella segnalazione dei pericoli e nell’individuazione delle soluzioni specifiche.
Ciò che invece oggi appare insolito è l’incapacità di buona parte della politica di trasformare l’enorme vantaggio competitivo ottenuto dalla scienza sul virus in soli 10 mesi in una strategia complessiva, in una chiara chance di programmare con ludicità un futuro che possa lasciare nello spettro del passato storture, inefficienze, diseguaglianze, sprechi degli ultimi trent’anni.Questo V-Day non dovrebbe dunque rappresentare solo l’emolumento versato dalla scienza a favore della speranza e della “vittoria” sul virus, quali oggetto di speculazione per i social media e per i mezzi di comunicazione, in passerelle e sentimentalismi, ma il punto di partenza per costruire qualcosa di nuovo, sia per il singolo cittadino che per la classe dirigente, obiettivamente legati e interdipendenti in termini di scelte e prospettive. Questo vaccino poco servirà se solo pochi sceglieranno di assumerlo. Questo vaccino poco farà per l’economia e la società se non ci sarà una classe dirigente pronta a sfruttare quest’occasione per dare un futuro vero. Il vaccino sarà solo il nuovo sangue di San Gennaro, liturgia, ritualità, per un’attesa perenne.