Usa, la sentenza sull’aborto fa discutere

USA, annullata la sentenza Roe v. Wade

La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha annullato la sentenza Roe vs. Wade che assicurava il diritto di aborto a tutte le donne americane

di Ilaria Salvemme
di Redazione The Freak

Usa, la sentenza sull’aborto fa discutere

USA, annullata la sentenza Roe v. Wade

USA, annullata la sentenza Roe v. Wade

di Ilaria Salvemme
di Redazione The Freak

Usa, la sentenza sull’aborto fa discutere

USA, annullata la sentenza Roe v. Wade

La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha annullato la sentenza Roe vs. Wade che assicurava il diritto di aborto a tutte le donne americane

di Redazione The Freak
di Ilaria Salvemme

USA. Venerdì 24 giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha annullato la sentenza Roe v. Wade, emanata dalla medesima Corte nel 1973, che assicurava il diritto di aborto a tutte le donne americane. La sentenza era una pietra miliare della giurisprudenza statunitense in materia di diritti civili.


L’opinione dei giudici di orientamento conservatore (sei — il Presidente John G. Roberts, Samuel Alito, che ha scritto il parere vincente, Thomas Clarence, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett —di cui tre nominati dall’ex Presidente Trump) ha prevalso. A schierarsi contro l’annullamento, invece, sono stati i tre componenti di estrazione liberale: Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Stephen Breyer.

L’esame della sentenza del 1973 era stato originato da una causa costituzionale intentata lo scorso autunno dalla Jackson Women’s Health Organization contro una legge varata nel 2018 dal parlamento dello Stato del Mississippi, a maggioranza repubblicana, che vietava il ricorso all’aborto dopo la quindicesima settimana di gravidanza, mentre invece in seguito alla sentenza Roe v. Wade e ad altre concernenti l’interruzione volontaria di gravidanza si era stabilito che l’IVG fosse praticabile fino alla ventiquattresima/ventottesima settimana.

USA, Roe v. Wade

Il parere del giudice Alito ha ritenuto che la Roe vs Wade fosse una sentenza sbagliata, in quanto priva di basi giuridiche ragionevoli. Si è contestato il radicamento giuridico del diritto di scelta della donna nel 14° Emendamento della Costituzione, che assicura ai cittadini le libertà politiche e civili.

La conseguenza immediata della decisione della Corte Suprema è che l’aborto dovrà tornare ad essere disciplinato dai singoli Stati, come nel periodo immediatamente precedente al 1973, quando l’interruzione di gravidanza oggetto di una regolamentazione, per così dire, variegata.

In circa trenta Stati era considerato reato, non potendo essere praticato senza alcuna eccezione. In tredici Stati era legale solo nel caso di pericolo per la salute della donna, di gravidanza originata da stupro, incesto o nel caso in cui il feto fosse affetto da malformazioni. In tre Stati era legale solo in caso di stupro e di pericolo per la donna e solo in quattro era riconosciuto un diritto di scelta alla donna.

Il caso di Norma McCovey, alias Jane Roe, fece storia.

Nata in Lousiana 1947, da genitori di origini Cherokee a 16 anni si sposò con un uomo violento dal quale ebbe due figlie. In occasione di una terza gravidanza, grazie al supporto legale di un team di avvocate, si rivolse al tribunale perché fosse riconosciuto il proprio diritto ad interrompere la gravidanza.

Nel 1972 la causa approdò alla Corte che decise con sentenza il 22 gennaio 1973. I giudici riconobbero l’esistenza di un diritto all’aborto anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse frutto della libera scelta della donna.

La decisione si fondava su una interpretazione del quattordicesimo emendamento della Costituzione statunitense che ammetteva un diritto alla privacy e all’autodeterminazione del cittadino in virtù del quale lo Stato era chiamato a limitare la propria ingerenza, soprattutto con riferimento alla sfera più intima.

La sentenza enunciava alcuni principi, quali l’esistenza di un diritto di scelta della donna sino al momento in cui in feto non fosse stato in grado di sopravvivere senza ausili artificiali al di fuori dell’utero materno o, in caso di pericolo per la salute della donna, anche oltre il limite temporale fissato.

Negli Stati Uniti d’America dunque, l’aborto cessa di essere un diritto. Alla donna non è riconosciuto più un vero e proprio diritto di scelta. Saranno i singoli Stati a dover legiferare in materia, con tutte le nefaste conseguenze in termini di diatribe politiche.

Certamente negli Stati a maggioranza repubblicana più influenzati dalle correnti estremiste, già a partire dai prossimi giorni l’interruzione volontaria di gravidanza sarà oggetto di divieto assoluto.  Nei prossimi mesi, pertanto, la più grande democrazia del mondo occidentale sarà nuovamente colorata a macchia di leopardo con riferimento ad alcuni diritti civili.

E’ bene riflettere, tuttavia, che per quanto il tema dell’aborto sia da sempre preda di isterismi politici, abbia in realtà una stretta attinenza al diritto alla salute. Come ci ha insegnato il compianto Marco Pannella, l’aborto non si vieta, perché è sempre esistito e sempre esisterà.

Disciplinarlo dunque significa consentire alle donne di accedervi in sicurezza, all’interno di strutture sanitarie degne di questo nome. Significa mettere fine agli aborti clandestini, praticati mammane in luoghi fatiscenti oppure da personale medico e paramedico compiacente, in totale clandestinità, in strutture sanitarie, che certamente non sarebbero disposte poi ad affrontare tutti i rischi di tale procedura.

Cosa accadrebbe ad una donna che risentisse di conseguenze nefaste in seguito a una procedura di IVG clandestina? Sarebbe soccorsa in tutti i casi o, per salvaguardare il buon nome del professionista o della struttura, sarebbe abbandonata a se stessa?

La realtà che si troveranno a fronteggiare negli Stati Uniti d’America nei prossimi mesi sarà quella di un ritorno al passato. Si assisterà certamente talvolta al fiorire di legislazioni restrittive sull’aborto, che lo vieteranno in tutti i casi, indipendentemente dalle condizioni di salute della donna e dalle cause che hanno originato la gravidanza.

Si rifiuterà pertanto di interrompere gravidanze frutto di stupro o gravidanze a rischio, che pregiudicheranno, talvolta fino alla morte, la salute della donna, quello a cui si sta assistendo quotidianamente in Polonia. Donne condannate a morte in nome della tutela del diritto alla vita.

Ma quali donne saranno costrette a subire ciò? Tutte o solo alcune? Certamente le non abbienti, le indigenti, le donne che non avranno i mezzi per affrontare un viaggio finalizzato alla sola IVG in un altro Stato degli USA con una legislazione più permissiva.

O quelle che non si troveranno a prestare la propria opera lavorativa per corporation come Paragonia, Meta, Microsoft, Apple, che pagheranno alle proprie dipendenti le spese di IVG comprensive del viaggio, ove occorra, in Stati che consentano il diritto di scelta.

Ma anche in quest’ultimo caso, per quanto meritoria e giusta possa dirsi tale scelta di politica aziendale, è giusto che una donna debba abdicare alla privacy e alla riservatezza che riguardano una sfera così intima della propria persona, per accedere a dei fondi che le consentano di soddisfare con pienezza i propri diritti?

La sentenza della Corte Suprema dello scorso venerdì segna, dunque, dunque un ritorno a un passato oscuro, ma è anche il trionfo della diseguaglianza e segna un pericoloso passo indietro nel riconoscimento del diritto alla salute per la sola popolazione di genere femminile.

Quello che preoccupa, a questo punto, è il fatto che in molte parti del mondo gli orientamenti più estremi delle destre conservatrici potrebbero emulare una simile decisione. Ci si dimentica sempre le parole, che al contrario dovrebbero essere scolpite nella pietra, che Oriana Fallaci pronunciò in un lontanissimo ormai 1976: «Io mi auguro che nessuno di noi dimentichi che l’aborto non è un gioco politico. Che a restare incinte siamo noi donne, che a partorire siamo noi donne, che a morire partorendo o abortendo siamo noi. E che la scelta tocca dunque a noi».

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