Undici settembre: per iniziare a comprendere

di Redazione The Freak

Undici settembre: per iniziare a comprendere

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Undici settembre: per iniziare a comprendere

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Undici settembre: per iniziare a comprendere

L’undici settembre 2001 si suppone che il mondo sia cambiato. Falso. Si nasce, si vive e si muore esattamente come prima. Il mondo è sempre lo stesso, è cambiata la sua rappresentazione, il suo mero aspetto fenomenologico. A dieci anni da quell’evento, la nostra rappresentazione del globale è rimasta mutilata delle sue capacità  di comprendere, inadatta e sofferente nel guardare se stessa nuovamente, come un reduce di guerra guarda laddove una volta c’era il suo braccio e non riesce a superare lo choc.

Il 9/11 come della più sublime opera d’arte, afferma il compositore Stockhausen, non a torto. Ma non escludiamo  la morale ed il politico. L’undici settembre non è mai stato uno scontro di civiltà ma, come sostiene Jean Baudrillard in Power Inferno, l’Occidente in quanto Dio ha dichiarato guerra a se stesso, suicidandosi.

L’estetica, la morale e la politica ci offrono spunti sul quale riflettere a fondo, per poter uscire dal fango paralizzante di dieci anni di propaganda sul tema. Il mondo è stato privato della sua ragione, troppo estenuante ormai da esercitare, in cambio di una immagine diffusa e inattaccabile, dai tratti kitsch. L’industria culturale contemporanea ci costringe a guardare l’evento, ma non ad analizzarlo. Un Giano bifronte composto dall’immagine reale del crollo delle due torri e da quella fittizia di un piccolo e tenero gattino leucemico: la rappresentazione dell’evento non deve lasciare spazio al pensiero individuale, ma deve condizionare l’analisi tanto da non farla svolgere compiutamente. Nel caso contrario, al più piccolo apparire di un barlume di pensiero indipendente, è pronto il pubblico disdegno, la gogna dell’ignorante che non può dire a se stesso d’esser stato manipolato negli anni.

Farsi delle domande sull’attacco al World Trade Center è doveroso, non solo legittimo. Gli Stati Uniti, il Dio fattosi dollaro, tremano alla sola idea di dover spiegare quell’evento ormai definito come un unico, al pari della Shoah. Sono incapaci di spiegare, la paura prende il sopravvento, per questo Bush ed Obama, durante la commemorazione per il decennale dell’attacco, erano protetti da vetri anti proiettile. Quel vetro non proteggeva due persone fisiche da un nuovo possibile attacco alla nazione, ma dalla ricomparsa della verità, nella pericolosa forma della domanda Che cosa è accaduto? Un vetro che proteggeva simbolicamente una menzogna globale, come neanche l’Orwell di “1984” ha saputo esprimere.

Ma se l’estetica viene paralizzata, che cosa ne è della morale e della politica?

Il 12 settembre di 10 anni fa, gli Stati Uniti d’America decretarono la loro trasformazione mondiale in un Reich socialmente accettabile e sostenibile, una esplosione verso l’esterno politicamente conosciuta come War on Terror.  Un’aggressione a paesi politicamente autodeterminati, nel nome di una democrazia autonominatasi come migliore forma di governo, che può aggredire in quanto aggredita per prima.

Un nuovo ordine mondiale, come neanche un fumetto potrebbe descrivere, con una precisa demarcazione tra buoni e cattivi, morale ed immorale. Ma nulla può bilanciare l’evento dell’undici settembre. Per questo, nella coscienza collettiva, nessuna immagine dei morti in Afghanistan e Iraq o delle torture compiute entro i confini di Guantanamo potrà  mai essere equiparata alla potenza che nell’immaginario collettivo hanno assunto le Twin Towers nel momento del loro collasso.

Ritengo difficile trovare un qualsiasi altro evento contemporaneo che abbia connesso così fortemente il fenomenico alla riflessione etica.

Barack Obama ha cercato di ridefinire i confini dell’atto terroristico alle Twin Towers, aprendo ad un concetto più ampio di responsabilità  per quanto accaduto, un concetto già  teorizzato secondo il quale fu l’occidente intero ad essere attaccato quella mattina. Ma non vi è nulla di più occidentale del concetto di responsabilità  individuale, che di fatto con Obama viene meno. Se ognuno di noi si chiedesse quale sia il suo grado di responsabilità  nel far crollare le torri, nascerebbero interrogativi inquietanti per l’occidente auto proclamatosi dio. Perché la Bibbia stessa a ricordarci che tutto avviene secondo un fine, secondo una prospettiva oltremondana. Dio non fallisce, né tantomeno vuole che i suoi figli capiscano che c’è un nesso tra cosa acquistano ogni mattina e chi muore dall’altra parte del mondo.  Sono tanti gli elementi da rimettere in discussione, forse anche troppi.

Siamo ancora lontani dal poter comprendere con chiarezza cosa è stato il 9/11, quando la moderna Torre di Babele venne meno. L’America ha capito che non può farsi carico da sola di quanto successo, in quanto vittima e carnefice allo stesso tempo. Non è più sufficiente la rappresentazione hollywoodiana del cowboy che cerca di farsi giustizia in un mondo malvagio e ingiusto, nessuno vi crede più.

Quindi quali prospettive ci rimangono?

La satira come la filosofia – ci aiuta da sempre  a decostruire i nostri pregiudizi, le nostre idee stratificate e mai più messe in discussione.

Stewart Lee, nel suo spettacolo Stand up comedian registrato è nel 2005 (i sottotitoli della versione italiana sono a cura di Comedysubs), capisce quanto sia prettamente umana la tensione politica e culturale generata dall’undici settembre.

Lee racconta di come abbia appreso la notizia del crollo delle torri mentre si trovava in vacanza, in un bar in Spagna, a Granada, luogo storico d’incontro tra l’Islam e Cristianesimo.  Alla visione delle immagini di una New York in fiamme, la tensione nel bar in cui siede cresce esponenzialmente (Ricordate gli aerei volare dentro le torri gemelle? Perché noi a Londra lo abbiamo visto al telegiornale, non so se l’hanno mostrato anche da voi), fino a quando Lee non fa ridere tutti presenti nel bar. Con un peto.

In questo modo, viene desacralizzato il 9/11 (il nove novembre riappropriamoci del calendario, noi abbiamo inventato quelle date) grazie al più antico strumento della satira: la materia fecale (strumento caro per l’arte da Dante a Joyce). Così, finalmente, può iniziare quel percorso che deve riportare quell’evento alla sua dimensione originaria, strettamente mondana , per non dirsi più Unico incomprensibile ed inarrivabile.

di Luca Di Tizio

4 risposte

  1. Bellissimo articolo. Ogni tanto, in evidenza, la costruzione di un evento e la conseguente necessità di decostruirlo.
    Complimenti!

    1. Grazie mille! La decostruzione degli eventi è l’unica speranza che ci rimane davanti alla propaganda. Speriamo d’essere in grado di capirci qualcosa di più nel futuro.

  2. Decostruire è il primo passo verso la conoscenza dell’altro, spogliandolo dell’attributo dell’altruità.

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