Una vita come tante, storia di un corpo e il suo sentire

di Natalina Rossi

Una vita come tante, storia di un corpo e il suo sentire

di Natalina Rossi

Una vita come tante, storia di un corpo e il suo sentire

di Natalina Rossi

Quando ho lasciato Roma ho provato nostalgia per alcune cose. Per Corso Trieste che poi mi faceva pensare a I Cani, alla leggerezza di una certa giovinezza che vivi con pesantezza e poi ti accorgi che – sì è il momento più leggero della vita e tu vorresti tornare proprio in quell’angolo di strada romana a bere vino da Graziani e raccontarti chi sarai – anche se non diventerai mai quello che raccontavi -.

Comunque, divagazioni a parte, quando ho lasciato Roma ho perso la mia libraia, Agata.

O meglio, lei, è una di quelle cose belle che ho lasciato in mezzo agli scaffali di una libreria che – a quanto pare- non esiste più.

Agata mi ha insegnato a leggere certe cose che se ci penso ancora sanguino. Pagine intime, e feroci. Che quando si è spietati si apre la pelle e si scende a fondo nella carne. La mia carne ha sanguinato per anni. Poi sono tornata a Caserta.

Quando ho lasciato Caserta ho provato nostalgia per alcune cose. Per un altro Corso Trieste dove il mio libraio – Mario – mi ha regalato Una vita come tante per il mio matrimonio.

Comunque, non avrei mai pensato di mettermi a leggere un libro di 1104 pagine nel mezzo di un trasloco internazionale – fin quando Agata non mi ha scritto di aver letto Una vita come tante di Hanya Yanagihara e di aver pianto molto.

Ho pensato che sì, in mezzo a un trasloco internazionale, lo avrei letto.

Ho smesso di mangiare, di dormire, e nel giro di una settimana avevo gli occhi rossi e il corpo disperato e felice. Libro finito.

C’è un corpo che è il simulacro delle bassezze più misere di tutti gli esseri umani. La sporcizia, quando ti si appiccica addosso, sembra diventare un’appendice diabolica.

C’è il corpo di Jude che fa piangere di orrore, e poi la sua gentilezza che fa commuovere. Che è difficile da immaginare come, dentro un mondo spietato, si possa conservare una certa purezza nel sentimento.

C’è Jude, e Malcolm, e JB, e Andy, e Harry, e Richard, e Willem. C’è una storia dentro che è la più terribile, e la più bella, tutta insieme.

Hanya Yanagihara ha raccontato la vita di una moltitudine di uomini dandogli un unico corpo. Quante vite dobbiamo vivere prima di diventare veramente noi stessi? Quanto dolore un corpo solo può sopportare? E l’amore può guarire le ferite fisiche e quelle più profonde dell’animo umano?

Quando qualcuno ci guasta chi diventiamo poi? C’è una forma di amore che può aggiustare le cose dentro con la cura ostinata e la gentilezza.

Passiamo il tempo ad aggiustare le cose e a lasciare scoperte le persone. E, alla fine, le persone si coprono e smettono di lasciarsi toccare. C’è chi, poi, riesce ad amare in modo singolare senza utilitarismi sentimentali.

Questa è la storia di persone che scelgono di rimanere vicine, giorno dopo giorno, unite non dal sesso, dall’attrazione fisica, dai soldi, dai figli o dalle proprietà, ma solo dalla comune decisione di andare avanti, dalla dedizione a un legame che non sarebbe mai stato codificato. Assistere al lento e inesorabile declino dell’esistenza, e agli occasionali trionfi. Insieme. Prendendosi cura gli uni degli altri.  Con una lealtà che fa scendere le lacrime dagli occhi. In Una vita come tante c’è tutto questo. Insieme al dolore, agli abusi, alla miseria dell’uomo, e all’istinto più bastardo e animale. C’è però un’umanità vergine e pura che assolve il dolore, e ti riconcilia a questo mondo bestiale.

di Natalina Rossi, all rights reserved

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