Una questione di metodo

di Demetrio Scopelliti

Una questione di metodo

di Demetrio Scopelliti

Una questione di metodo

di Demetrio Scopelliti

La prima vera prova di forza per il Governo Giallo-Rosso sembra essere la questione dello sbarco della Ocean Viking. Il segretario del PD ha chiesto che la nave, che ha salvato 84 migranti, possa entrare in porto “senza se e senza ma”. Le ONG chiedono a gran voce di non applicare il Decreto Sicurezza Bis e di cambiare passo sul tema immigrazione. Nel frattempo il dossier è finito sul tavolo del nuovo Ministro degli Interni, Luciana Lamorgese. Paradosso dei paradossi: una delle questioni più politiche di tutti finisce tra le mani dell’unico tecnico del governo). Ma la sua nomina non è un caso: l’intenzione è quella di riportare una donna, una donna di Stato, in un dicastero occupato finora da uno come Salvini, che niente ha a che vedere con il profilo dell’ex Prefetto di Milano, che ha sempre dimostrato sensibilità sull’immigrazione.

Il Viminale è un dicastero complesso, il Ministro è per definizione Autorità Nazionale di Pubblica Sicurezza, con competenze negli ambiti più disparati, dalla sicurezza interna alla gestione della complessa macchina elettorale, dall’anagrafe ai rapporti con le confessioni religiose. Le questioni politicamente più spinose passano per questo Ministero, da cui, inoltre, dipendono funzionalmente la Polizia Di Stato e i Vigili del Fuoco. I suoi funzionari, i prefetti, dai cui ranghi proviene la Lamorgese, sono al centro del dibattito politico, tra chi vorrebbe potenziarne il ruolo, assegnando loro maggiori poteri, e chi eliminerebbe del tutto le prefetture. Matteo Salvini è uno di quelli che su questo tema ha cambiato più volte idea, proponendo di abolirli del tutto in campagna elettorale e poi assegnando ai prefetti numerosi poteri con il Decreto Sicurezza.

La Ocean Viking ha già chiesto l’autorizzazione allo sbarco all’Italia e a Malta, nonostante l’offerta della Libia, che è stata rispedita al mittente in quanto Tripoli è stata considerata porto non sicuro.

Quando il Governo in carica era solo allo stato embrionale, Zingaretti le aveva sparate grosse, con una serie di richieste ai 5 Stelle, per moltissime delle quali non c’erano neanche i presupposti per avviare dei negoziati. Una di queste era l’abrogazione del Decreto Sicurezza bis, su cui i profili più controversi riguardavano anche le nuove norme sulle manifestazioni pubbliche. A Luglio inoltrato, quando la crisi di governo era solo un fantasma, il Capo Dello Stato aveva promulgato la legge, con alcune riserve, censurando numerosi punti, sui quali auspicava che le Camere facessero qualche modifica. Dopo i fattacci di Agosto, e svariati Mojito più in là arriva l’inaspettato Governo PD-M5S, e tra i punti dell’accordo c’è proprio la riforma dell’immigrazione, che deve tenere conto delle modifiche richieste da Mattarella. Il punto è particolarmente ostico per tutta una serie di ragioni di opportunità politica: abrogare il Decreto Sicurezza significherebbe prima di tutto dare man forte all’opposizione di Salvini e fornirgli un grosso assist per ricominciare a fare opposizione, stavolta dall’Aula, non più dai banchi del Governo.

La Lega non aspetta altro che ricominciare a sbraitare che il Governo è “anti-italiano”, che antepone gli interessi dell’invasore a quelli della gloriosa Madre Patria, e che Conte è passato dall’essere il maggiordomo di Salvini a fare il burattino di Bruxelles. Fare tabula rasa sarebbe ovviamente la soluzione migliore per il PD, che sulla politica migratoria ha più volte usato il pugno duro con il precedente esecutivo, ma i 5 Stelle hanno il necessario bisogno di mediare, per non rinnegare l’esperienza con i vecchi partner. Lo stesso Di Maio ha ringraziato calorosamente la Lega, per quanto realizzato insieme: della serie non piangere perché è finita, sorridi perché è successo; i fidanzati hanno rotto ma sono rimasti buoni amici. Il timore è quello di deludere quella parte di elettorato che strizzava l’occhio ad un’alleanza con il Centro Destra, perché proveniente dall’ala di quell’elettorato 5 stelle che chiedeva maggior rigore sull’immigrazione, dall’altro lato c’è un’area di parlamentari, vicina a Roberto Fico e che esprime la corrente più a Sinistra del Movimento che accontenterebbe volentieri le richieste di Zingaretti.

Un’identità, però, va pur ritrovata. I grillini hanno ufficialmente perso la loro verginità politica e assomigliano sempre di più alla DC. Sono per la politica dei due forni, e tessono alleanze con tutto l’arco costituzionale; apparivano isolazionisti, ma l’isolazionismo, con l’attuale sistema elettorale, in questa congiuntura politica, serve a poco. Ed ecco tornare di moda l’arte del compromesso, quell’arte messa da parte dalle esperienze, figlie del maggioritario, dei governi dei primi anni 2000. Mentre nella struttura i 5 Stelle sono molto simili al PCI: rivendicano una loro superiorità morale, e la struttura interna è gerarchicamente organizzata; una macchina perfetta fatta di regolamenti e procedure.

I 5 stelle e il PD hanno molti punti di contatto sui temi, per stilare il contratto con la Lega ci è voluto molto tempo, mentre l’accordo con il PD è stato messo su in pochi giorni. Mentre le distanze sono siderali sul modo di pensare e di fare politica: il PD predilige la democrazia rappresentativa, le Direzioni di Partito, i 5 stelle credono nella democrazia diretta e le decisioni più importanti passano per Rousseau. Il PD ha una complessa rete di correnti e ramificazioni territoriali, i 5 stelle sono un Movimento nazionale e la linea è dettata dal Capo Politico. Gli opposti si attraggono. Ma anche in Politica? Forse…

di Demetrio Scopelliti, all rights riserved

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