Tranquilli, c’è il Decreto Sicurezza. Intervista all’avv. Stefano Pazienza

di Sabrina Cicala

Tranquilli, c’è il Decreto Sicurezza. Intervista all’avv. Stefano Pazienza

di Sabrina Cicala

Tranquilli, c’è il Decreto Sicurezza. Intervista all’avv. Stefano Pazienza

di Sabrina Cicala

“Ciapa lì e porta a cà”, ha commentato il Ministro Matteo Salvini il 4 ottobre 2018, presentando il decreto sicurezza firmato dal Presidente della Repubblica. Per par condicio dialettale, potrebbe dirsi che ogni scarrafone è bello a mamma sua, e quindi la sua bontà va vagliata da soggetti estranei alla sua redazione. Per capire cosa effettivamente abbiamo portato a casa, ne abbiamo parlato con Stefano Pazienza, avvocato, socio Asgi (associazione studi giuridici sull’immigrazione) e Gd (giuristi democratici).

Il nome del decreto sembra già una promessa politica: decreto sicurezza. Quanto c’è di propagandistico in questo decreto?

Hai perfettamente centrato il problema. Per un giurista (ma per chiunque) le leggi non hanno nomi, né pseudonimi, hanno un numero seriale e un anno di emissione: purtroppo da decenni assistiamo ad una spettacolarizzazione delle politiche legislative che porta a dare dei nomi allettanti da fornire in pasto al pubblico, al pari di un qualsiasi spot televisivo. Ne sono un esempio i vari “pacchetti sicurezza” emanati durante i governi Berlusconi, ma durante il governo Renzi vennero emanati anche provvedimenti dai nomi esotici, quale il Job Act, adesso invece abbiamo il decreto sicurezza e lo Spazzacorrotti!

Tornando al nostro tema, questa legge fa di più, perché accosta esplicitamente due temi che, sebbene possano avere alcuni punti di contatto, sono ontologicamente distanti: Immigrazione e Sicurezza, facendo così intendere all’elettorato che il tema delle migrazioni sia esclusivamente un tema di sicurezza pubblica e che occorra quindi difendere “noi” da “loro”.

Ad una più attenta analisi, invece, il tema delle migrazioni è profondamente legato a quello dell’economia nazionale e globale e, in questo senso, la tematica migratoria che più ci dovrebbe preoccupare è la costante fuga di moltissimi italiani, giovani o meno giovani, verso paesi esteri, chiaro indice di un malessere economico forte del nostro Paese.

Più che della presunta invasione degli stranieri, dovremmo quindi preoccuparci dell’evasione degli italiani.

Quali sono le novità e quali i ritorni al passato (e quanto falsati e traditi nella loro ratio, penso all’accattonaggio)?

Quasi tutte le novità del decreto sono in effetti dei ritorni al passato; dopo il periodo delle depenalizzazioni a cavallo tra gli anni ’90 e primi anni del nuovo millennio, adesso si sta assistendo ad un netto ritorno del “panpenalismo”, con la pretesa che lo strumento penalistico possa avere un effetto salvifico sulla nostra società.

A bene vedere, sono altre branche del diritto che servono da leva per il miglioramento del sistema Paese, pensiamo alla tematica degli appalti pubblici o del diritto dei contratti; il diritto penale, invece, per la sua natura spiccatamente repressiva, dovrebbe essere utilizzato cum grano salis dal legislatore.

A titolo di esempio, il reato di accattonaggio molesto era stato abrogato nel 1999 e, nello stesso anno, era stata depenalizzata la fattispecie di blocco stradale; si può pertanto tranquillamente affermare che abbiamo portato la “lancetta dell’orologio del diritto” indietro di 20 anni.

Ad ogni modo, i reati “contro la povertà”, mi riferisco al reato di accattonaggio molesto e a quello di parcheggiatore abusivo, sono delle tipiche norme manifesto.  Ciò che si vuole realmente combattere non è l’insicurezza (vera o presunta), ma la percezione di insicurezza che hanno i cittadini. Si vuole tranquillizzare il cittadino onesto e per bene dicendogli che lo Stato sta provvedendo, combattendo dei fenomeni che sono mal tollerati dalla collettività. Le norme, pertanto, non sono scritte per funzionare veramente ma per rassicurare la collettività; detto altrimenti, mi sembra difficile che nei prossimi anni qualcuno possa andare in carcere per accattonaggio molesto o per aver svolto l’attività di parcheggiatore abusivo in modo reiterato o con minori.

La povertà è uno dei topoi di questo governo. Oltre alla sua abolizione, bersaglio di facile ironia, la povertà sembra essere con questo decreto non condizione da superare ma condizione pericolosa da cui difendersi.

Seguendo il tuo ragionamento verrebbe da chiedersi perché si inseriscano dei “reati contro la povertà” se con le riforme economiche questo Governo ha definitivamente cancellato la povertà!

Tornando seri, mi sembra opportuno ricordare le parole con cui la Corte Costituzionale – nel lontano 1995 – aveva dichiarato l’incostituzionalità del reato di mero accattonaggio: “gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le società più avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, sì che senza indulgere in atteggiamenti di severo moralismo non si può non cogliere con preoccupata inquietudine l’affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a “nascondere” la miseria e a considerare le persone in condizioni di povertà come pericolose e colpevoli. Quasi in una sorta di recupero della mendicità quale devianza, secondo linee che il movimento codificatorio dei secoli XVIII e XIX stilizzò nelle tavole della legge penale, preoccupandosi nel contempo di adottare forme di prevenzione attraverso la istituzione di stabilimenti di ricovero (o ghetti?) per i mendicanti. Ma la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di comportamenti un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata convivenza, e la società civile consapevole dell’insufficienza dell’azione dello Stato ha attivato autonome risposte, come testimoniano le organizzazioni di volontariato che hanno tratto la loro ragion d’essere, e la loro regola, dal valore costituzionale della solidarietà”.

Tornando ai nostri giorni, non solo si criminalizza la povertà, ma si criminalizza la solidarietà, basti pensare alle numerose inchieste (poi finite nel nulla) in cui si contestava a personale delle ONG impegnate nel Mediterraneo il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina per aver salvato vite umane in pericolo; ma già negli anni scorsi avevamo assistito a iniziative aberranti: basti ricordare l’ordinanza del Sindaco di Ventimiglia con cui si vietava la distribuzione di cibo ai migranti.

Se tornasse oggi Gesù sarebbe certamente considerato un pericoloso sovversivo, poiché diceva frasi del tipo “dar da mangiare agli affamati”! D’altro canto, recentemente dei ragazzi che camminavano durante una manifestazione della Lega con un cartello recante la scritta “Ama il prossimo tuo” sono stati identificati da agenti in borghese, evidentemente perché la citazione è stata considerata pericolosa per l’ordine pubblico!

Il luogo di sicurezza per eccellenza è la casa. Cosa cambia in materia di occupazioni abusive e quanto la riforma è mezzo di contrasto di forme radicali di protesta politica dal basso?

Se le norme contro la povertà si sostanziano in reati bagatellari, destinati ad avere minima (o nulla) efficacia pratica, nelle disposizioni che si occupano di contrasto alle rivendicazioni sociali e politiche il Governo ha mostrato tutta la sua forza repressiva.

Con le nuove norme in tema di occupazione di immobili e di blocco stradale si vogliono colpire precipuamente tutte quelle rivendicazioni “dal basso” che, sebbene a volte si esplichino in condotte non pienamente condivisibili, spesso sono sintomatiche di malesseri sociali molto forti.

Partiamo dal reato di blocco stradale.

Cosa hanno fatto i pastori sardi di recente per far sentire la propria voce in merito ai prezzi del latte, troppo bassi per poter permettere loro di proseguire l’attività? Hanno bloccato le strade. La stessa cosa hanno fatto, durante degli scioperi spontanei, i braccianti agricoli immigrati ridotti in schiavitù nelle nostre campagne del centro sud, o i lavoratori della logistica, sempre immigrati e altrettanto schiavizzati, che operano nelle regioni del centro nord. Il blocco stradale, piaccia o meno, è spesso utilizzato per dare voce a chi non la ha.

Ebbene, oggi per un blocco stradale, se fatto da più persone, si possono rischiare fino a 12 anni di reclusione, più di quanto si rischi per una bancarotta fraudolenta!

Non solo, se sei straniero e titolare di un permesso di soggiorno, la condanna per questo reato comporta la revoca dello stesso: una grandissima leva di pressione psicologica verso i migranti, che ci penseranno due volte a protestare per le condizioni di sfruttamento cui sono sottoposti.

Per quanto concerne le istanze per il diritto all’abitare, queste vengono contrastate anzitutto attraverso l’innalzamento delle pene previste per il già esistente reato di invasione di terreni o di edifici, ma soprattutto con la possibilità di permettere le intercettazioni per questo tipo di reato e con il divieto di poter ottenere gli arresti domiciliari in un domicilio occupato abusivamente.

Sul punto, però, voglio segnalare una illogicità normativa, poiché si è considerata la sola misura cautelare degli arresti domiciliari e non l’analoga misura di espiazione della pena alternativa alla detenzione della detenzione domiciliare. Ad oggi, pertanto, si potrà espiare una pena definitiva in detenzione domiciliare in un immobile occupato ma non la misura cautelare degli arresti domiciliari.

Questa contraddizione, peraltro, potrebbe comportare un dubbio di costituzionalità per contrasto della norma con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., poiché si trattano in maniera differente situazioni sostanzialmente analoghe. Anzi, si potrebbe dire che meno dubbi di costituzionalità avrebbe suscitato una norma che permettesse l’esecuzione degli arresti domiciliari in un immobile occupato e non la detenzione domiciliare, posto che la prima è una misura che fa eccezione rispetto alla regola dell’espiazione in carcere e riguarda un soggetto acclarato come colpevole di un reato, mentre le misure cautelari si applicano per definizione a soggetti non colpevoli e rappresentano un’eccezione al principio del favor libertatis.

In cosa consiste il nuovo Daspo urbano? Quanto potere di limitare le libertà si sta concedendo a chi non ha rappresentatività democratica, al di fuori delle garanzie procedurali?

Questo è uno dei principali punti dolenti del Decreto anche se la novella normativa altro non fa che inserirsi nel solco di quanto fatto da Minniti/Gentiloni con il decreto sulla sicurezza urbana.

Si prevede, infatti, un DASPO molto simile a quella già esistente, ma ampliandone a dismisura i presupposti applicativi.

Anche in questo caso il Questore potrà imporre un DASPO urbano, per ragioni di sicurezza e per una durata compresa tra i sei mesi e due anni, con divieto di frequentare locali o esercizi pubblici specificamente individuati ovvero di stazionamento nelle loro immediate vicinanze.  

Il punto è che la norma afferma che esso può essere applicato nei confronti delle persone condannate con sentenza definitiva o confermata in grado di appello nel corso degli ultimi tre anni per reati commessi in occasione di gravi disordini avvenuti in pubblici esercizi ovvero in locali di pubblico trattenimento, per delitti non colposi contro la persona e il patrimonio, nonché per i delitti previsti in materia di spaccio di sostanze stupefacenti.

Così scritta la norma, pertanto, il DASPO sarà applicabile anche in relazione a fatti che non hanno alcuna attinenza con i locali pubblici o esercizi pubblici, bastando il solo elemento delle “ragioni di sicurezza” che il questore potrà addurre a giustificazione del provvedimento.

Inoltre, tale divieto è applicabile anche ai minorenni.

Ci si trova ancora una volta di fronte ad un incremento del diritto di Pubblica Sicurezza, con misure che possono essere adottate a prescindere dalla commissione di reati (o almeno a prescindere dal loro accertamento in via definitiva) ma che limitano fortemente la libertà personale, o meglio la libera circolazione.

La spinta verso l’utilizzo – in chiave di prevenzione – di misure di pubblica sicurezza, di misure di prevenzione atipiche applicate non già da Magistrati ma da personale di Polizia o dal Prefetto, con un controllo giurisdizionale che avviene solo successivamente ed in via eventuale, suscita più di una perplessità nel giurista, tanto è vero che lo stesso CSM ha parlato di una norma caratterizzata da eccessivo rigore.

Infine, come già accennato, in questo caso si equipara il condannato in via definitiva al soggetto condannato in grado di appello con cd. “doppia conforme”, ma, così facendo, si inverte il principio di presunzione di non colpevolezza che è uno dei cardini del nostro sistema di garanzie costituzionali in materia penale.

Cosa cambia in materia di immigrazione? Questo diritto penale “del cittadino” viola obblighi giuridici sovranazionali e principi fondamentali domestici?

Non è possibile in questa sede enucleare tutte le perplessità riguardanti la costituzionalità delle nuove norme in materia di immigrazione.

Ne voglio citare una su tutte: il richiedente asilo (quindi un soggetto che non è irregolare sul territorio italiano e che ipoteticamente ha diritto all’accoglienza) può essere ristretto fino a 180 giorni in un Hotspot o in un Centro per il Rimpatrio al solo fine di permettere la sua identificazione. Un cittadino italiano, a fini identificativi, può essere trattenuto fino ad un massimo di 24 ore! Sulla disparità di trattamento non credo ci siano da fare ulteriori considerazioni.

Di fatto si sta permettendo una sorta di “detenzione amministrativa” che può arrivare fino a sei mesi dello straniero richiedente asilo, con buona pace dei principi sulla libertà personale sanciti dall’art. 13 della nostra Costituzione.

Più in generale, a mio parere, la novella legislativa non porterà ad avere meno immigrati, ma meno immigrati regolari.

In pratica, si andrà a creare sempre più manodopera a basso costo e facilmente sfruttabile (o finanche schiavizzabile) nelle nostre campagne o nelle nostre attività produttive; fantasmi senza diritti, senza tutele e senza prospettive.

Stiamo invece smantellando quell’accoglienza che porta all’integrazione degli stranieri nel tessuto socioeconomico italiano e che – lo dicono gli economisti – rappresenta una linfa necessaria per il futuro del nostro Paese.

La sicurezza si paga con l’obbedienza, come ci insegna Hobbes. Così, per vivere più sicuri occorre cedere un po’ di libertà, compromettere un po’ di diritti, meglio se altrui e d’altri accenti, quelli del mare o delle periferie, e i sindaci che hanno annunciato disobbedienza al decreto sono stati tacciati di attentare alla tranquillità dei propri cittadini. Ecco, forse in questo passaggio inconscio da “sicurezza” a “tranquillità” si cela l’anima della riforma: ora che abbiamo i mezzi per combattere il nemico, possiamo stare sereni.

Ah no, era tranquilli.

di Sabrina Cicala,all rights reserved

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati