Tommaso Buscetta “il Traditore”

di Ludovica Tripodi

Tommaso Buscetta “il Traditore”

di Ludovica Tripodi

Tommaso Buscetta “il Traditore”

di Ludovica Tripodi

Da ieri (23 maggio 2019) nelle sale di tutti i cinema italiani “Il Traditore” di Marco Bellocchio, in concorso al Festival del Cinema di Cannes 2019. Da ieri al cinema la storia di Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi, il pentito dei pentiti che “Io sono stato e resto un uomo d’onore. Per questo non mi considero un pentito”.

Pierfrancesco Favino, interprete magistrale del personaggio di Buscetta, un uomo teatrale, scenografico, vanitoso, “fimminaro”, il perfetto protagonista della regia di Bellocchio.

Strana la vita di Don Masino, sempre in fuga da quella morte che non sembra dargli scampo, che non ha dato scampo alla sua famiglia, separato da lei solo dalle sbarre, quelle della prigione, come quella tigre bianca che scruta in gabbia due bambini curiosi in una sequenza del film. Una climax discendente la vita di Buscetta nel film di Bellocchio, un mafioso atipico, un uomo d’onore, che considerava “la Mafia un’invenzione dei giornalisti”; esiste solo Cosa Nostra, esistono gli uomini d’onore”, afferma Don Masino davanti a Giovanni Falcone, giudice istruttore al quale egli decide di raccontare tutta la sua verità su quel patto d’onore che non può essere rescisso, su quel patto d’onore che ti impegna per la vita.

Non è un caso che il film sia uscito in tutte le sale proprio il 23 maggio, il giorno della commozione e della commemorazione della Strage di Capaci, ricordata intensamente anche ne “Il Traditore”.

Colpisce l’etica di Don Masino, dell’uomo d’onore “di altri tempi”, della mafia che non trafficava droga, che non uccideva i bambini e le donne, completamente opposta all’etica di quel giudice istruttore che svolgeva il suo compito, in assoluta reverenza nei confronti dello Stato. Colpiscono le sue testimonianze nel corso del Maxi Processo fino ai processi Andreotti, uno degli ultimi atti della tragedia della vita di Buscetta che nel film di Bellocchio, a questo punto, ritorna ad essere solo un mafioso pentito e niente di più.

Grottesco, verosimile, onirico, tragicomico, gli aggettivi adatti per descrivere il forte realismo del film caratterizzato dalle superbe interpretazioni di, tra gli altri, Luigi Lo Cascio (Salvatore “Totuccio” Contorno) e di Fabrizio Ferracane (Pippo Calò) – magistrali le scene girate nell’aula Bunker del Tribunale di Palermo- dal “siciliano portoghese” sottotitolato di Buscetta, dall’ autentico dialetto palermitano di Contorno.

Un personaggio verdiano il Buscetta di Bellocchio, regista, non a caso, anche del “Rigoletto” di Verdi, cullato dal “Va Pensiero” nella sequenza del film successiva alle condanne di 346 mafiosi o dal preludio del “Macbeth” che i più attenti avranno riconosciuto ben due volte e da altri intermezzi operistici.

Nonostante i suoi fantasmi il Buscetta di Favino è perso nella sua intimità, nella sua nostalgia, nelle sue convinzioni, anche in mezzo alla volgarità e alla spietatezza mafiose che spadroneggiano nell’ aula-bunker del carcere dell’Ucciardone.

In fin dei conti però quella di Buscetta è solo una discesa inesorabile: ciò che resta è solo un uomo, privo di alcuna redenzione né di una rivalutazione postuma, accompagnato solo da solito aggettivo, quello che Buscetta rinnegava, “mafioso”.

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