Third-person. Un ottimo cast al servizio di un’occasione mancata

di Ilaria Pocaforza

Third-person. Un ottimo cast al servizio di un’occasione mancata

di Ilaria Pocaforza

Third-person. Un ottimo cast al servizio di un’occasione mancata

di Ilaria Pocaforza

Third-person è il quinto film di Paul Haggis, già vincitore di un Oscar al miglior sceneggiatore per Million dollar baby (regia di Clint Eastwood), e, nel medesimo anno, di un altro Academy Award per Crash-Contatto fisico, per il miglior regista.

La trama si dipana in tre storie d’amore, ambientate in altrettante città (Roma, Parigi e New York), che apparentemente sembrano non avere alcuna connessione: Michael (interpretato dal bravo Liam Neeson), è uno scrittore che ha vinto il premio Pulitzer, e che sta faticosamente terminando il suo ultimo libro, ma ormai è lontano dai successi che hanno contrassegnato gli inizi della sua carriera, ed anche la sua situazione sentimentale è assai complicata: dopo aver lasciato la moglie (Kim Basinger), infatti, vive una tormentata storia con la giovane Anna (Olivia Wilde), scrittrice in erba.

Intanto Scott (Adrien Brody), americano in viaggio di lavoro a Roma, si reca in un bar (dove lo serve un Riccardo Scamarcio intento a scimmiottare l’idioma della capitale) ed incontra la bella Monika (Moran Atias), gitana dal difficile passato.

Ancora, Julia (Mila Kunis), ex attrice di soap opera, è alle prese con una battaglia legale contro l’ex marito Rick (James Franco) per la custodia del figlio di sei anni, protagonista di un oscuro incidente domestico, al fianco dell’avvocato Theresa (Maria Bello).

L’intero film possiede una forte caratterizzazione simbolica, a cominciare dal ricorrere all’elemento dell’acqua, o meglio, a qualcosa che affonda, ad esempio 50 centesimi vengono lasciati cadere in un bicchiere, lo stesso accadrà con un telefono, un orologio, il ricordo di un bambino che, scopriamo ad un certo punto, affoga in una piscina.

Sarà, poi, la volta del colore bianco, “il colore della fiducia, il colore dell’onestà e il colore delle bugie che egli ha raccontato a se stesso” scriverà Michael a conclusione del suo libro.

La terza persona del titolo è, probabilmente, la voce del bambino di cui sopra, che, da qualche universo parallelo, sussurra più volte “Guardami”, e sembra voler richiamare l’attenzione dello spettatore. Però, questa terza persona è adoperata anche da Michael nella stesura del libro, il quale fa ricorso a tale artificio per narrare vicende che apparentemente non lo riguardano, ma che, come rivelerà Anna, in realtà hanno molto di autobiografico.

Purtroppo il film scorre lento e, in alcuni tratti, è velato da una monotonia insistente: se, infatti, la storia legata a Neeson ed alla brava Olivia Wilde riesce a convincere, soprattutto per il suo aspetto metanarrativo, quella di Mila Kunis e James Franco e, più di tutte, quella che ha per protagonisti Adrien Brody e Moran Atias, paiono dei ripieghi volti a richiamare la struttura narrativa corale di Crash. Non è certo una novità che il passaggio dalla sceneggiatura alla regia per molti artisti possa essere complicato, però elementi come l’eccessiva durata (quasi due ore e 20) o il bisogno di dare a tutte e tre le vicende lo stesso spazio e la medesima importanza, provano un’adesione forse eccessiva al copione, che avrebbe avuto bisogno, al contrario, di uno sguardo esterno.

Haggis è partito con l’ambizione di riscrivere un nuovo film corale, ove tutti i personaggi riescono ad incastrarsi come i pezzi di un puzzle perfetto; purtroppo però, nonostante la pregevole interpretazione di tutto il cast americano (ed anche di alcuni dei volti nostrani, tra i quali merita di essere menzionato Vinicio Marchioni), c’è più di un elemento che non funziona.

Ad esempio, l’intera parte iniziale, ambientata a Roma, è colma di luoghi comuni e personaggi che paiono delle caricature (come abbiamo avuto modo di dire sopra, il barista\Scamarcio viene definito “Totti dei poveri” da Monika), mentre altrettanto scontati sono la forzata eleganza parigina e la frenesia e la velocità di New York.

Nell’Italia che Haggis porta sul grande schermo, vi sono solo caos, truffe e trovate (tra le quali la borsa che si immagina contenere una bomba) degne di un film demenziale.

In definitiva, forse il regista avrebbe voluto citare Antonioni e Fellini, ma agli spettatori è parso di rivivere un’imitazione di To Rome with love di Woody Allen, ben lontana dalla magnificenza e dall’eleganza a cui Paul Haggis ci aveva abituati con pellicole come Million dollar baby.

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