Intervista a Giuseppe Pignatone, Procuratore Capo di Reggio Calabria

di Marzia Chiavelli

Intervista a Giuseppe Pignatone, Procuratore Capo di Reggio Calabria

di Marzia Chiavelli

Intervista a Giuseppe Pignatone, Procuratore Capo di Reggio Calabria

di Marzia Chiavelli

Un illustre ospite – in un incontro a tu per tu – concede un’intervista a The Freak. 

di Marzia Chiavelli

Giuseppe Pignatone, classe ’49, siciliano di Caltanissetta, entrato in Magistratura nel 1974, dopo una breve parentesi come Pretore a Caltanissetta, viene trasferito alla Procura della Repubblica di Palermo dove nel 2000 sarà  chiamato a ricoprire la carica di Procuratore Aggiunto.

Per lungo tempo ha collaborato con l’attuale Procuratore Nazionale Antimafia Piero Grasso, ex Procuratore capo di Palermo nella conduzione della Direzione Distrettuale di Palermo.

Nel capoluogo siciliano ha portato a termine numerose indagini controCosa Nostra, arrivando a condannare vari capi e gregari della criminalità  organizzata siciliana ( in particolare negli anni ’80  Vito Ciancimino,ex sindaco di Palermo, poi condannato per Mafia; ha messo sotto indagine Totò² Cuffaro, ex Presidente della regione Sicilia, poi condannato definitivamente a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra).

Sua l’istruttoria del processo Agrigento +60, atto d’accusa contro la mafia corleonese; ha inoltre coordinato le indagini che hanno portato all’arresto del super-latitante Bernardo Provenzano. Nel 2008 viene nominato dalCSM Procuratore capo di Reggio Calabria.

In Calabria continua la sua attività  contro la criminalità  organizzata assestando numerosi colpi alla Ndrangheta – essendo anche a capo della DDA di Reggio Calabria; nonostante abbia subito intimidazioni e minacce (il 5 ottobre 2010 viene trovato un bazooka dinanzi la sede della Procura della Repubblica di Reggio C. indirizzato proprio al Procuratore), continua con costante impegno la sua lotta contro la criminalità  organizzata.

1.Dottt. Pignatone, dovendo fare un bilancio sul’attività  sinora svolta, si ritiene soddisfatto dei risultati raggiunti?

I bilanci – specie se fatti in corso d’opera – sono sempre difficili e provvisori. Io credo che in questi anni è stata dimostrata, anche a Reggio Calabria, la volontà  e la capacità  dello Stato di impegnarsi in modo serio, efficace e continuo nel settore della repressione, che è quello in cui ho un ruolo e del quale ritengo di poter parlare.

Si è affermato inoltre un metodo di indagine che ha cercato di mettere a frutto l’esperienza maturata da me e da altri nei grandi processi contro la mafia siciliana, combinandola con la grande conoscenza della realtà  reggina di alcuni colleghi calabresi con le capacità  tecniche, l’entusiasmo e il senso istituzionale degli altri colleghi dell’ufficio.

Sul piano più specifico delle indagini, a parte i numeri impressionanti degli arresti e delle condanne, dei sequestri e delle confische, di cui va dato merito alle forze di polizia e a tutta la magistratura reggina, il salto di qualità  vero è venuto dal miglioramento delle nostre conoscenze.

È difficile combattere la ‘ndrangheta senza conoscerla. L’ operazione Il Crimine, condotta insieme alla DDA di Milano, e altre indagini molto importanti fatte a Reggio, ci hanno permesso di comprendere la struttura della ‘ndrangheta e di superare alcune idee del passato che non sono più valide.

Si riteneva che la ‘ndrangheta fosse una struttura familiare, composita, non centralistica, formata da cosche tutte distinte l’una dall’altra e solo episodicamente alleate. E invece non è così, o almeno non è più così.

La ‘ndrangheta ha una sua struttura unitaria, come la mafia siciliana, anche se più flessibile.

Ha i suoi capi, le sue regole, le sue strategie. E proprio l’unitarietà  dell’associazione che le consente di gestire le ricchezze di cui dispone, di coordinare l’azione delle locali presenti in tante parti d’Italia e del mondo, di essere molto più forte della sommatoria delle singole cosche e di acquisire collusioni e complicità  in ogni settore della società  calabrese e di altre parti d’Italia. Di questo sono ben consapevoli gli stessi ‘ndranghetisti e lo dicono chiaramente nelle loro conversazioni che abbiamo intercettato. Sapere queste cose non è una pura curiosità  intellettuale. È decisivo per l’attività  investigativa. E queste conoscenze ci hanno anche permesso di rompere il tabù sul pentitismo. Si diceva che la ‘ndrangheta non ha pentiti perché è una struttura familiare, senza lotte interne. E invece non è così, e infatti dall’estate 2008 abbiamo una decina di collaboratori di giustizia; le loro dichiarazioni sono state già  molto utili e potranno esserlo.

Naturalmente, nemmeno la repressione più efficace è sufficiente a battere le mafie proprio per la loro intrinseca natura e per gli intrecci consolidati con la società, la politica, l’economia. Da qui nasce l’appello alla società  civile. Ci sono state a Reggio le prime manifestazioni di solidarietà  ai magistrati e alle forze di polizia, oggetto di minacce e attentati. Non vanno sottovalutate anche se coinvolgono piccoli gruppi di persone: non è irrilevante firmare un documento o sfilare per le vie del centro quando, magari, il tuo vicino di casa è parente di un capo-cosca o è legato alla zona grigia di cui tanto si parla. Certo è un processo lungo e difficile, ma i progressi ci sono stati.


2. Ricorda le prime sensazioni successive alla sua nomina di Procuratore Capo della città  di Reggio Calabria?

La prima cosa che mi ha impressionato, arrivando a Reggio, è stato il silenzio, il silenzio sulla ‘ndrangheta, sugli omicidi, sui delitti gravissimi e sulla violenza quotidiana (incendi, danneggiamenti e intimidazione in numero di gran lunga maggiore che in altre parti d’Italia). La parola stessa, ‘ndrangheta, non veniva quasi pronunziata nei discorsi pubblici, non veniva trattata come problema in nessuna sede di discussione, figurava nei giornali solo quando davano notizia di qualche «operazione» da parte delle forze di polizia. E questo silenzio era ancor più impressionante per me che arrivavo da Palermo dove a volte si corre il rischio opposto, quello riassunto nell’espressione tutto è mafia, quindi niente è mafia. L’altra sensazione immediata, questa però positiva, è stata quella di avere incontrato nel nuovo ufficio un gruppo di magistrati eccezionali sia dal punto di vista professionale che personale.

3. In alcune precedenti dichiarazioni ha più volte evidenziato una sorta di indifferenza mediatica nei confronti dell’argomento lotta all’ndrangheta; secondo lei a cosa è dovuto questo assenteismo dei mezzi di informazione?

Per la verità , è la società  calabrese che è isolata dal resto del paese.

Ripeto sempre che non esiste la Calabria, ma esistono le Calabrie: la provincia di Reggio è totalmente diversa da quella di Cosenza o dall’alto catanzarese. L’isolamento tra le diverse province e dell’intera regione con il resto del Paese è innanzitutto fisico. La rete viaria inadeguata, i cantieri perenni dell’Autostrada Salerno “ Reggio Calabria, le carenze della rete ferroviaria, lo sbarramento fisico dello Stretto amplificano l’isolamento geografico. C’è poi l’isolamento informativo: l’agenzia Ansa è a Catanzaro, la sede Rai a Cosenza, nessuna testata nazionale ha una redazione in Calabria, il quotidiano più diffuso, La gazzetta del Sud, è un giornale di Messina che pubblica pagine sulla Calabria. A questo si aggiunga la scelta strategica della ‘ndrangheta di adottare una politica di basso profilo evitando, salvo casi particolari come la strage di Duisburg, i delitti eclatanti che provocano un più incisivo intervento dello Stato e attirano l’attenzione degli organi di informazione. Proprio per questo, e per la sostanziale disattenzione, salvo occasionali eccezioni, della stampa e delle televisioni nazionali, ho parlato di un cono d’ombra sulle vicende calabresi.

4.Come può il singolo cittadino dare il suo contributo  nell’ardua battaglia contro la ‘ndrangheta , al fine di sentirsi parte attiva del sospirato processo di rinnovamento,a cui mira l’intero sistema sociale?

La prima cosa da fare è prendere le distanze dalla ‘ndrangheta, rifiutare qualsiasi coinvolgimento, anche quelli apparentemente meno gravi, come la ricerca della raccomandazione, del favore, della «piccola» corruzione, del posto di lavoro o del voto alle elezioni.

Anche senza considerare i delitti più gravi e clamorosi, tutto questo costituisce un avvelenamento progressivo della società, una quotidiana rinunzia a una parte, piccola o grande, della nostra libertà, una rinunzia alla speranza di costruire un futuro migliore per noi e per le nuove generazioni.

In altre parole si vende la propria dignità  di persona libera e si contrae un debito che prima o poi il mafioso verrà  ad esigere e che potrà  essere anche molto oneroso. La seconda cosa è – io credo – ma su questo ho il conforto di opinioni autorevoli, fare bene il proprio lavoro, qualunque esso sia, scoraggiando con questo il diffondersi del fenomeno mafioso, che i Vescovi italiani giustamente hanno definito un vero e proprio cancro della società.

Faccio un esempio banale: se in una agenzia di banca con cinque dipendenti, quattro sono assolutamente corretti e vigili, sarà più difficile per il quinto accettare la proposta di compiere operazioni strane, di riciclare denaro sporco e così via. Altra cosa importante da fare è rompere il silenzio: questo è oggi, secondo me, un imperativo morale per tutti e, per fortuna, di ciò vi è una consapevolezza crescente.

5.Curiosità: come si svolge una sua giornata-tipo?

Risposta facilissima: dalle 9 alle 21 in ufficio; poi alloggio in una struttura dei Carabinieri. Però quasi ogni settimana vado uno o due giorni a Roma o in altre città  per ragioni di lavoro.

6.Oramai sono trascorsi più di tre anni dal suo trasferimento a Reggio Calabria: una cosa che ama particolarmente dei Calabresi ed una, invece, che cambierebbe volentieri?

Da siciliano apprezzo e condivido l’amore per la propria terra. Per il secondo punto rispondo con le parole di un sacerdote e sociologo calabrese secondo cui i calabresi continuano a offrire un parziale consenso a un sistema dominato dalla ‘ndrangheta per ignavia, per individualismo, perché non vogliono avere problemi credendo, erroneamente, che finché pensano agli affari propri il fenomeno non li riguardi


7.Un sogno realizzato ed uno invece racchiuso ancora “nel cassetto”?

Preferisco indicare due grandi risultati sul piano professionale: la cattura di Bernardo Provenzano per quello che significava dopo le stragi e dopo 42 anni di latitanza; l’operazione Il Crimine perché, al di là  dei risultati processuali, importantissimi, ha contribuito a far comprendere che la ‘ndrangheta è un problema non solo calabrese ma fondamentale per l’economia e la democrazia di tutto il Paese.


8.Prima di concludere: un consiglio a chi aspira a svolgere il suo lavoro in futuro?

Studiare, prima e dopo il concorso. Ricordarsi che il nostro primo compito è assicurare l’osservanza della legge nel rispetto delle regole. Come diceva Leonardo Sciascia, se lo Stato non rispetta le regole, la lotta contro la mafia è già  perduta.

Ringraziamo il Procuratore, e lo congediamo porgendogli l’augurio di raggiungere risultati sempre maggiori per il bene di tutto il nostro Paese.


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