Teheran contesta il rapporto AIEA, ma resta aperta l’ipotesi di conflitto

di Lilith

Teheran contesta il rapporto AIEA, ma resta aperta l’ipotesi di conflitto

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Teheran contesta il rapporto AIEA, ma resta aperta l’ipotesi di conflitto

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NUCLEARE, TENSIONE IRAN-ISRAELE. TELAVIV SI SPACCA SULL’INTERVENTO ARMATO

È caos-calmo tre Israele e Teheran. Là fuori, nella piazza persiana la folla di pellegrini è composta e Ali Khamenei, più statuario che mai nel suo abito talare, li rassicura, non teme l’attacco dei deboli sionisti. In Terra santa, invece la confusione si insinua nei palazzi del potere. Le pressioni del capo di Stato, contro il premier di centrodestra Benjamin Netanyahu, che ha infatti iniziato l’opera di moral suasion per convincere i ministri di Interni e Difesa della necessità  di un attacco. Se nei mesi trascorsi l’agenda medio-Orientale segnava gli entusiasmi e i più sanguinosi risvolti della “Primavera a effetto-domino”, in questi giorni Ahmadinejad e il suo programma atomico tornano al centro dell’attenzione. Se prima non c’era sdegno per gli insulti antisionisti né per le violenze perpetrate ad Evin né preoccupazione per gli esperimenti atomici degli scienziati, oggi a Gerusalemme si riaccende la miccia offensiva. Per una volta i due Stati si scambiano i ruoli. Da un lato si apre la spaccatura e Shimon Peres si adopera insieme agli ex capi del Mossad, Meir Dagan ed Efraim Halevy per frenare l’esecutivo interventista. Dagan,dal 2002 al gennaio 2011 a capo della famigerata intelligence israeliana, ha dichiarato “un attacco all’Iran sarebbe un’idea folle, la madre di tutte le guerre”. Per parte sua, la teocrazia erede di Khomeini, non mostra le solite turbolenze interne alla leadership, che lasciano spazio a una linea politica uniforme. Ancora scarseggiano i rilievi sulla stampa iraniana, che anzi minimizza. Solo ieri Iran Daily titolava “Perché Israele non attaccherà  l’Iran. Hassan Firouzabadi, capo di stato maggiore delle forze armate avverte “Una minaccia militare israeliana comporterà  gravi perdite militari anche per gli USA”. A questo punto è scattata la triplice morsa del pressing internazionale : da Berlino, che ha chiesto una soluzione diplomatica, alla Cina, che il 5 novembre ha avvertito “Teheran sia flessibile con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), ma no all’uso delle armi, anche per evitare nuove tensioni in Medio Oriente”. E lo stesso giorno il sito del quotidiano israeliano Haaretz ha evidenziato le dichiarazioni di un alto funzionario militare americano, rimasto anonimo, secondo cui gli Usa hanno paura che Israele possa attaccare senza avvertirli, e drastici additano lo Stato persiano di aver ordito il complotto ai danni dell’ambasciatore saudita a Washington. Lo scacchiere globale si scalda e la corda degli equilibri è sempre più tesa. Ma questo caos-calmo di frizioni latenti conferma la solita storia che da decenni si racconta in medio-Oriente. A ben vedere, i timori occidentali e di Israele poco o nulla hanno a che fare con la questione del nucleare. Per Tel Aviv è infatti gli effetti della Primavera Araba hanno prodotto sgradevoli esiti, come il rovesciamento di regimi compiacenti  e l’esplosione di proteste e manifestazioni anti-governative senza precedenti all’interno dei propri confini. Dunque prendere le armi  sarebbe un’ottima mossa per riguadagnare terreno e distogliere l’attenzione dai problemi interni. Per gli Stati Uniti, innalzare i toni nei confronti di Teheran equivale ad ammettere sia il sostanziale fallimento delle missioni in Iraq e Afghanistan sia la necessità  di mantenere la supremazia in un’area cruciale. Ben consapevoli delle conseguenze che un nuovo conflitto in Medio Oriente scatenerebbe nella regione e non solo, i governi di Stati Uniti e Israele sono comunque pronti a rischiare pur di difendere i propri interessi strategici. Il rapporto dell’AIEA sul programma nucleare di Teheran, in questo scenario, non è altro che una parte della propaganda orchestrata per convincere l’opinione pubblica di quanto sia inevitabile la soluzione militare per risolvere definitivamente il “problema iraniano”.

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