Parliamo di Afghanistan e dei nuovi talebani con Andrea Angeli.
Angeli ha fatto parte dei contingenti di pace delle Nazioni Unite in Namibia, Cambogia, Timor Est ed ex Jugoslavia dove è rimasto per sedici anni. Sempre con l’Onu ha prestato servizio a Santiago del Cile negli ultimi anni del regime militare, nella Baghdad di Saddam Hussein e infine a New York.
È stato portavoce Osce in Albania, della UE a Skopje e Kabul oltre che dell’Autorità di Coalizione a Nassiriya. Durante i governi Monti e Letta è stato stretto collaboratore alla Farnesina del sottosegretario De Mistura per poi divenire political adviser di sei comandanti Nato a Herat e Pristina. Con Rubbettino ha pubblicato Professione Peacekeeper, Senza Pace, Kabul-Roma e da poco L’Assedio invisibile.

Si occupa di peacekeeping da tutta la vita. Come le sono sembrate le parole dure di Biden “Our mission was never supposed to be nation building”?
Se si riferisce alla missione dell’Alleanza, di cui gli Usa sono stati Paese guida, non ha tutti i torti; se ne sono principalmente occupate le altre due grandi missioni, quella Onu e della UE, entrambe civili e con personale maggiormente addestrato in tal senso. Stabilità e sicurezza sono stati i pilastri della presenza Nato. Detto questo, il nation building è una priorità per tutte i Paesi occidentali ma anche di quelli della regione.
Le parole di Biden sono state offensive per le famiglie delle vittime dei soldati in missione? Il suo “Kabul Roma” è dedicato a uno di essi, Manuele Braj. È stato tutto vano?
Non direi, perlomeno di quelle americane. Anzi, sottolineando che soldati Usa non possono continuare a morire, ha mostrato rinnovata attenzione per le forze armate. Piuttosto mi domando quanto miopi siano stati gli interlocutori degli Usa che non hanno prima creduto che il presidente Trump facesse sul serio sul ritiro e poi che Biden potesse seguire la linea del predecessore. I vent’anni di presenza Nato hanno comunque portato dei miglioramenti irreversibili. Non sempre si vedono facilmente, ma ci sono.
Bisognava concludere la missione, ma poteva esser fatto diversamente?
Guardi, il padre nobile delle missioni Onu Sir Marracck Goulding nel suo libro di memorie scrive “Longevity in peacekeeping is not so attractive”. Una prolungata permanenza di forze straniere aprono per le missioni internazionali scenari imprevedibili. Negli anni passati le spedizioni sono partite con un forte dispiegamento iniziale a cui è seguito un graduale disimpeegno.
In Afghanistan invece si è inziato con poche migliaia di soldati crescendo via via fino a superare nel 2010 le centomila unità. Slogan dell’Alleanza quali “we are here to stay” o “long term presence” possono aver rassicurato qualcuno a Kabul e dintorni ma anche infastidito altri, forse i più. Questa è la lezione afghana: più rimani e più è difficile uscirne.
È stato la spalla di Staffan de Mistura che ha fatto molto per le donne afgane. È tutto perduto?
Sì, è vero, da sottosegretario agli Esteri del governo Monti de Mistura si batté molto per l’avanzamento delle condizioni delle donne. Le vorrei rivelare un retroscena in proposito.
Prego…
Al vertice sull’Afghanistan di Tokyo nel 2012 minacciò di non firmare a nome del proprio Paese il documento finale stante l’assenza di un adeguata menzione della condizione femminile. Il sottosegretario sostenne di avere chiare istruzioni governative. Forzò la mano, aveva solo raccomandazioni verbali di una pattuglia di deputate, ma funzionò, il testo fu modificato. Una goccia, se vogliamo. Ma anche la prova che con un impegno rinnovato non tutto è perduto.
Molti analisti dicono che la situazione attuale a Kabul era prevedibilissima. Cosa ne pensa?
Vede, gli stipendi dei membri dell’esercito sono stati sempre pagati con fondi internazionali, parliamo di esborsi fuori dalla portata delle casse del governo afghano. La fine della presenza straniera ha messo in discussione il futuro dei quadri militari e creato una pericolosa precarietà. Creare strutture non sostenibili a medio-lungo termine non è mai la soluzione migliore.
È possibile che i nuovi taliban siano più democratici? È vero o si tratta di propaganda?
Questo al momento non lo sa nessuno. Potranno essere meglio o anche peggio, ma difficilmente gli stessi. In vent’anni molte cose cambiano. Il primo test sarà nella Valle del Panshir, dove si dovranno regolare le future relazioni con i tagiki dell’Alleanza del Nord che tuttora controllano vaste aree del Nord-Est.
Quale futuro si immagina per quelle terre?
Gli afghani sono un popolo forte, ne hanno viste tante, hanno gli anticorpi per superare anche questa turbolenza. Non ci sono più gli anfibi dei soldati occidentali sul terreno, ma gli occhi del mondo sono rivolti a Kabul. Fatti salvi i soggetti realmente vulnerabili, che mi auguro siano messi in salvo al più presto speriamo di non assistere allo svuotamento del Paese. L’Afghanistan odierno ha bisogno più che mai delle proprie energie sane per costruire una società migliore. Ci sarà un prezzo da pagare, ma così è stato nel corso della storia in situazioni simili.