Sui binari del villaggio fantasma di Julaca

di Redazione The Freak

Sui binari del villaggio fantasma di Julaca

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Sui binari del villaggio fantasma di Julaca

di Redazione The Freak

Ci sono luoghi in cui la curiosità dei viaggiatori più euforici deve arrivare in punta dei piedi e senza far rumore. Osservare non sempre basta per approfondire la conoscenza di certi luoghi e per questo che ho sentito la necessità di condividere la storia di uno dei villaggi più silenziosi della Cordigliera delle Ande.

Nonostante le ostili condizioni climatiche e geografiche, l’istinto di sopravvivenza umana ha sfidato il gelo delle notti desertiche e l’isolamento montuoso a favore delle miniere e della rete ferroviaria. Nel secolo scorso tra il nord del Cile e la Bolivia si trovavano il maggior numero di miniere soprattutto di rame, componente fondamentale per fabbricare le armi necessarie per i conflitti mondiali del ‘900.

Ernesto Che Guevara di queste zone ha descritto la disperazione operaia: L’unica cosa che conta è l’entusiasmo con cui l’operaio si va a rovinare la vita in cambio delle briciole che gli permettono di sopravvivere scriveva nel suo diario durante il suo viaggio in motocicletta. Se è giusto non dimenticare i cimiteri sotterranei delle miniere è giusto anche dare una visione di cosa è rimasto di questi luoghi senza tempo e a noi cosi estranei.

Uno dei villaggi oggi aperto a sporadiche visite turistiche è il  villaggio fantasma di Julaca che si trova 3.800 metri di quota e l’unico modo per raggiungerlo è con una jeep attrezzata per strade non asfaltate.  Le poche abitazioni sono divise dai binari ottocenteschi che hanno dato origine al villaggio il secolo scorso, proprio il treno era l’unico contatto con il mondo esterno e trasportava i minerali provenienti dalle miniere circostanti. Ad oggi la sua funzione è ornamentale in quanto il treno passa solo una volta all’anno e ha perso la sua utilità commerciale. Insieme alle montagne sullo sfondo il vero protagonista è  il silenzio ad avvolgere tutto intervallato da qualche passo enfatizzato dall’eco. I pochi sguardi che si  incontrano sono miti, quasi timorosi e indifferenti al mondo esterno, ma allo stesso tempo fieri di aver preservato le loro tradizioni etnico-linguistiche. Alcuni danno l’impressione di vivere solo perché è un’abitudine a cui non si può fare a meno e viene disturbata dall’arrivo di qualche turista gringo pronto ad avventarsi sulla loro cerveza di quinoa.

Stesse sensazioni si avvertono a 198km di distanza nel cimitero dei treni di Uyuni dove le carcasse arrugginite dei treni sono il ritrovo del doposcuola dei ragazzi della zona e panchine per coppie di anziani.

La percezione del tempo è la ricchezza più grande in questi luoghi dove si ha la percezione del passato e del presente ma manca quella del futuro e credo sia questa l’invidia più grande per chi arriva per la prima volta e per chi in passato si è illuso di poter omologare l’identità culturale dei diversi villaggi locali con la costruzione dei binari.

di Federica Mirto, all rights reserved

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