Stati Uniti-Iran: una triste storia che iniziò negli anni Cinquanta.

di Nadia Feola

Stati Uniti-Iran: una triste storia che iniziò negli anni Cinquanta.

di Nadia Feola

Stati Uniti-Iran: una triste storia che iniziò negli anni Cinquanta.

di Nadia Feola

Le relazioni tra il “Grande Satana” e uno dei Paesi dell’”Asse del Male”

Si tratta di una triste storia che cominciò negli anni Cinquanta, quando gli Stati Uniti deposero Mossadeq, che era stato eletto democraticamente dal Parlamento, e riportarono al potere lo Scià. Questi fu successivamente rovesciato dall’Ayatollah Khomeini il quale ci sospinse nelle braccia di Saddam Hussein”, ha dichiarato Bill Clinton a margine del vertice di Davos del World Economic Forum del 2005. Per analizzare le recenti tensioni tra gli Stati Uniti e l’Iran si deve partire proprio da quanto accaduto negli anni ’50.

Nel 1952, Muhammad Mossadeq, viste le difficili condizioni del Paese e considerato che dagli inizi del Novecento la Anglo-Iranian Oil Company (“Aioc”) deteneva il monopolio dello sfruttamento petrolifero, decise di nazionalizzare la principale ricchezza, il petrolio, per uscire dal sottosviluppo. Dopo la nazionalizzazione della compagnia petrolifera, gli inglesi chiesero il sostegno degli Stati Uniti e decisero di sostituire al monopolio dell’Aioc un consorzio petrolifero internazionale a cui aderirono anche gli USA.

La caduta di Mossadeq divenne dunque inevitabile. Infatti, il 19 agosto 1953 ebbe inizio l’Operazione Ajax, un colpo di stato con cui Inghilterra e Stati Uniti deposero ed arrestarono Mosaddeq, successivamente condannato a tre anni di isolamento seguiti dagli arresti domiciliari fino alla morte. Il golpe spianò la strada alla dittatura dello Scià Reza Pahlavi, che da quel momento in poi divenne un fedele alleato degli Stati Uniti.

L’interesse degli USA per l’Iran poggiava su due pilastri: di ordine economico, ossia i ricchi giacimenti di petrolio del paese; di ordine strategico, per via della peculiare collocazione geografica dell’Iran.  

Agli inizi degli anni ’60, lo Scià Reza Pahlavi avviò la cosiddetta “rivoluzione bianca”, una politica di modernizzazione accelerata al fine di trasformare il Paese in una grande potenza militare. A livello internazionale, lo Scià si schierò a favore del blocco occidentale, diventando un alleato fedele di Washington. Ciò suscitò una crescente opposizione sia da parte dei gruppi di sinistra che da parte del clero islamico tradizionalista di osservanza sciita: quest’ultimo, nel 1978, assunse la guida di un vasto movimento di protesta popolare.

Lo Scià tentò di fermare la rivolta prima con sanguinose repressioni, poi chiamando al governo esponenti dell’opposizione moderata. Ma nel gennaio del 1979 dovette lasciare il Paese. Dopo la fuga di Pahlavi, rifugiatosi negli Stati Uniti, l’Ayatollah Khomeini assunse il potere nominando un governo provvisorio. A seguito di un referendum, venne proclamata la Repubblica Islamica dell’Iran mentre, con un altro referendum, fu approvata la nuova Costituzione basata sul velayat-e-faqih, un sistema dominato da organi formati da religiosi e con a capo la guida suprema del Paese, ossia Khomeini. Nel 1979 nacque il corpo delle guardie rivoluzionarie (conosciuto con il nome persiano Pasdaran), accusato oggi dagli USA degli attacchi alle due petroliere nel Golfo dell’Oman. Con Khomeini i rapporti tra Iran e Stati Uniti mutarono. Gli USA, infatti, vennero additati come il “Grande Satana”.

Nel novembre del 1979, ebbe inizio la cosiddetta Crisi degli Ostaggi. Un gruppo di studenti occupò l’ambasciata americana a Teheran e tenne in ostaggio 54 statunitensi minacciando di ucciderli se gli Stati Uniti non avessero consegnato lo Scià. Nell’aprile del 1980 il presidente americano Carter tentò inutilmente di liberare gli ostaggi con un blitz che causò la morte di otto americani.

Questo segnò la fine politica di Carter. L’evento decisivo per la risoluzione della crisi fu lo scoppio della guerra tra Iran e Iraq. Infatti, al governo iraniano iniziarono a pesare le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti. La fase di trattative fu mediata dall’Algeria e terminò con lo sblocco dei conti iraniani e la liberazione degli ostaggi che avvenne nel gennaio del 1981, dopo 444 giorni.  

Nel 1988, al termine della Tanker War tra Iran e Iraq, una mina esplose causando danni ad una unità militare americana. Gli Stati Uniti decisero dunque di compiere una rappresaglia. Iniziò così l’operazione Praying Mantis durante la quale le navi americane attaccarono le piattaforme petrolifere iraniane e varie navi militari di Teheran vennero affondate. Qualche mese dopo, un missile lanciato dalla USS Vincennes colpì l’Airbus 655 della Iran Air mentre sorvolava lo stretto di Hormuz, scambiandolo per un F14 Tomcat in dotazione all‘aviazione iraniana. 

Nei primi anni Novanta, con la Presidenza Clinton iniziò un’escalation di misure punitive verso l’Iran che culminarono nel 1995 con un embargo seguito da un ordine esecutivo che proibiva, sia ai soggetti pubblici che ai privati, di avere legami economici con le compagnie petrolifere iraniane. Nel 1996, fu approvato l’Iran Sanctions Act, un pacchetto di misure restrittive contro le compagnie straniere pronte ad aiutare l’Iran a sviluppare nuovi progetti nel settore petrolifero. 

Nel 1997, il candidato riformatore Khatami venne eletto alla presidenza della Repubblica Islamica. Khatami aprì al confronto con gli Stati Uniti e due anni più tardi l’allora Segretario di Stato Albright annunciò la fine dell’embargo su alcune merci iraniane.  

Nel 2002, durante l’annuale intervento sullo Stato dell’Unione, l’allora Presidente Bush definì l’Iran, l’Iraq e la Corea del Nord parti di un asse del male (axis of evil) ed esortò le altre nazioni ad agire contro di essi. Bush decise dunque di inasprire il regime sanzionatorio contro l’Iran estendendo le restrizioni imposte da Clinton e riconfermando il divieto di stringere rapporti commerciali con le compagnie petrolifere. Nel frattempo, nel 2005, Mahoumd Ahmadinejad venne eletto presidente. Egli si distinse per una politica aggressiva che portò ad ulteriori tensioni con gli USA. Durante i suoi due mandati, impose una linea molto conservatrice e decisa a tutelare il diritto di portare avanti il proprio programma nucleare. L’ONU, con la Risoluzione 1696, diede all’Iran un termine di trenta giorni per sospendere le attività nucleari e, in caso d’inosservanza, annunciò l’applicazione di sanzioni, adottate poi con una seconda Risoluzione. Tra queste, fu imposto il divieto di vendere e trasferire all’Iran prodotti, materiali, attrezzature, beni e tecnologie che avrebbero potuto contribuire alle attività connesse con l’arricchimento dell’uranio. 

Nel 2009, il presidente Obama cercò di aprire un dialogo politico con l’Iran e risolvere la crisi con metodi diplomatici, ma questi contatti si interruppero a causa delle tensioni politiche dovute alla vittoria del secondo mandato di Ahmadinejad. Nel 2013, Hassan Rouhani salì alla presidenza dell’Iran. Con la sua presidenza finì la stagione dell’oscurantismo e nel settembre del 2013, Obama e Rouhani ebbero una conversazione telefonica che passò alla storia come il primo contatto tra Iran e Usa dal 1979. Questi contatti portarono alla firma dello storico accordo raggiunto tra l’Iran e i cosiddetti 5+1, ossia i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania. Con tale accordo l’Iran si impegnò a fermare il programma nucleare e in cambio la comunità internazionale pose fine alle sanzioni imposte nei confronti della Repubblica Islamica.  

Tale excursus termina con l’attuale situazione di crisi tra gli USA e l’Iran. Questa crisi è iniziata nel 2018 quando l’amministrazione Trump ha deciso di ritirare gli Stati Uniti dall’accordo firmato da Obama. Le tensioni, mai sopite, tra gli USA e l’Iran sono aumentate di recente in seguito all’esplosione, nello Stretto di Hormuz, di due petroliere. Il Pentagono ha fatto circolare un video in cui si nota un’imbarcazione con a bordo, secondo gli USA, i Pasdaran intenti a rimuovere una mina inesplosa dal fianco di una delle petroliere. Dopo circa una settimana, l’Iran ha abbattuto un drone spia degli Stati Uniti vicino allo stretto di Hormuz poiché, secondo le guardie della rivoluzione, stava sorvolando lo spazio aereo iraniano. L’esercito statunitense ha replicato affermando che il drone si trovava nello spazio aereo internazionale.

Trump ha definito l’azione iraniana una “provocazione inaccettabile” dando quindi il via libera ad una rappresaglia contenuta. In risposta all’abbattimento del drone, Trump ha dapprima ordinato e poi bloccato, poiché ritenuti non proporzionati all’abbattimento di un drone, tre interventi mirati contro postazioni missilistiche. Dopo tale ripensamento, gli Stati Uniti hanno lanciato attacchi cyber contro i sistemi di controllo missilistico iraniano.

Tali attacchi, ritenuti da Trump proporzionati all’abbattimento del drone, hanno disabilitato i computer utilizzati per controllare lanci di razzi e missili e, secondo alcune fonti, hanno preso di mira anche i sistemi di rilevamento delle navi nello stretto di Hormuz. Inoltre, il tycoon ha firmato un ordine esecutivo imponendo sanzioni atte ad impedire all’Iran di accedere a qualsiasi strumento finanziario che possa servire a finanziare il programma nucleare. Questo nuovo regime sanzionatorio ha come obiettivo anche persone fisiche, in particolare la Guida suprema Ali Khamenei e otto generali dei Pasdaran

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