Squid Game:
una figata? No…

Squid Game: una figata pazzesca?
No, grazie!

Spopola la serie coreana di Netflix
Ma quali sono le vere ragioni di questo successo?

di Cristina de Palma

Squid Game:
una figata? No…

Squid Game: una figata pazzesca?
No, grazie!

Squid Game: una figata pazzesca?
No, grazie!

di Cristina de Palma
Squid Game

Squid Game:
una figata? No…

Squid Game: una figata pazzesca?
No, grazie!

Spopola la serie coreana di Netflix
Ma quali sono le vere ragioni di questo successo?

di Cristina de Palma

È la serie del momento. Squid Game, ovvero “il gioco del calamaro”. Uscita il 17 settembre scorso su Netflix, in un mese ha avuto un seguito mondiale senza precedenti, grazie al tam tam social. Malgrado sia stato tradotto in pochissime lingue, circa 132 milioni di persone hanno visto almeno 2 minuti della serie nei primi venti giorni dal lancio, battendo il record di Bridgerton, e il 66% degli utenti (87 milioni di persone) hanno finito di vedere la serie nei primi 23 giorni.

Record su record. Ma come ogni serie di successo, il rischio emulazione è dietro l’angolo e ha colpito soprattutto i minori di 14 anni. Un paradosso se si pensa che Squid Game è vietato proprio a loro.  

La petizione su change.org

Proprio per tutelare i bambini, qualche giorno fa, la Fondazione Carolina Onlus ha lanciato su Change.org una petizione per fermare la serie coreana ed evitare emulazioni a scuola. Di fronte allo sgomento di mamme e maestre delle scuole materne non bastano i buoni propositi, ma serve “un’azione concreta” dicono dalla Onlus, spiegando che il loro “non è un atto censorio, ma risponde alla necessità di far fronte alla sconfitta dei parental control e alla crisi della genitorialità. L’unica soluzione possibile sembra la censura vecchio stampo. Qualcuno storcerà il naso, ma oramai sembra l’unico strumento possibile a difesa del principio di incolumità dei minori”. 

Ma perché questa richiesta di cancellazione? Sono oltre 30mila le segnalazioni arrivate alla Fondazione da parte di genitori preoccupati per l’integrità dei propri figli a scuola. Diversi gli episodi che hanno creato panico ed allarme: “Mio figlio ha picchiato la sua amichetta mentre giocava a Squid Game“; “A mia figlia hanno rovesciato lo zaino fuori dalla finestra dell’aula perché ha perso a Squid Game, ora non vuole più uscire di casa“. Queste solo alcune delle denunce fatte ai presidi delle scuole elementari di Roma, Torino e Milano. 

Al di là della petizione che mi sembra alquanto pretestuosa, la serie continua a dividere e far discutere: c’è chi lo trova noioso e lento, chi invece lo osanna come fosse una divinità greca. A mio parere, la verità sta nel mezzo, come sempre. 

Iniziamo con il dire che Squid Game è stato un vero parto per il regista, Hwang Dong-hyuk, che ci ha messo ben 10 anni per sviluppare il progetto e realizzarlo. Il motivo? Nel 2008, la società non era abbastanza abituata alla violenza e quindi secondo lui, la serie non avrebbe avuto il successo sperato. Ebbene, ora nel 2021, le cose sono cambiate… in peggio ed a quanto pare siamo più propensi ad accettare le scene di violenza (a volte gratuita) contenute nei 9 episodi di Squid Game, visto l’enorme successo mediatico. 

I motivi del successo

Ecco gli ingredienti usati per tenere incollati gli spettatori al proprio divano:  una trama all’apparenza semplice – 456 concorrenti devono superare 6 giochi da bambini per vincere un jackpot milionario; dei personaggi intriganti che nascondono segreti e ferocia e svelano la loro natura poco per volta; dei costumi riconoscibili ed imitabili – tute rosse in stile La Casa di Carta, maschere con le lettere dell’alfabeto coreano. Il tutto condito con una nenia che ti entra nel cervello.

La serie ha il grande vantaggio di mettere in rilievo la disparità sociale tra ricchi e poveri. Poveri buttati nella fossa dei leoni, come ai tempi dei gladiatori, per divertire i ricchi signori. Un tema quello della disparità economico sociale già affrontato nel pluripremiato Parasite del 2020 e sempre caro alla filmografia coreana e che, diciamolo, serve come tema di conversazione alle cene per far bella figura.

Eppure, qualcosa non torna. 

Se l’inizio parte promettente, molti episodi diventano lenti e difficili da capire. Alcune scene sono violente e inutilmente sadiche, come se il regista volesse metterci a disagio subito, in stile Saw -l’enigmista. In totale contrapposizione poi con i colori della scenografia che richiamano i videogames anni 80’ e fanno pensare a qualcosa di leggero e spensierato. Si passa quindi da momenti di blanda tranquillità a momenti di crudeltà indicibile.

Inoltre, la serie non è stata tradotta in italiano, e si è obbligati a guardare la versione originale con i sottotitoli. Niente di estremamente fastidioso sia chiaro, ma indubbiamente l’attenzione viene spostata, anche perché il coreano non è proprio foneticamente comprensibile e seguire la trama diventa macchinoso se uno si distrae per qualche minuto. 

I nove episodi potevano essere benissimo ridotti a sei, cercando di velocizzare dei meccanismi psicologici che invece vengono spalmati senza senso su più capitoli. E invece no, ad eccezion fatta per i momenti dei giochi il resto è alquanto flemmatico.

La morale della serie poi è scontata e buonista. C’è una visione molto umana delle amicizie. Il successo individuale è un mito, perché nessuno che sopravvive lo fa da solo, ma ci riesce grazie ai sacrifici degli altri. E i giochi usati per sfidare i concorrenti ne sono l’esempio, mostrando bene che l’individuo si salva solo se fa gioco di squadra. E la domanda sorge spontanea: ci volevano dei giochi mortali per farci capire questo meccanismo? Mi si obietterà che molti personaggi dall’apparenza gentile e sorridenti, poi si rivelano feroci assassini. Ma non entrerò nei dettagli per evitare spoiler fastidiosi.  

Insomma, sicuramente mi troverò in minoranza, ma Squid Game mi ha lasciato l’amaro in bocca e non sono certa che la stagione 2, già in programma, possa risvegliare in me una nuova curiosità. 

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