Sorella, io sì ti credo

di Redazione The Freak

Sorella, io sì ti credo

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Sorella, io sì ti credo

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La vicenda spagnola delle suore, che scrivono un post contro una sentenza che condanna a metà degli stupratori, fa riflettere sul perché ci sia ancora bisogno di tutto questo femminismo, qui a casa nostra, in Europa, e nella vicina e calda Spagna. Velocemente riepilogando: una ragazza di 18 anni viene violentata da cinque uomini, i quali vengono condannati per abuso, non per stupro, secondo la distinzione fatta dalla legge spagnola in ragione del ricorso o meno alla violenza o intimidazione. Il post delle carmelitane dice:“Noi viviamo in clausura, indossiamo un vestito che arriva quasi alle caviglie, non usciamo mai la notte (tranne le emergenze), non andiamo alle feste, non beviamo alcolici e abbiamo fatto voto di castità, è una scelta che non ci rende migliori o peggiori di nessuno, sebbene paradossalmente ci renda più libere e felici di molte. E proprio perché è una scelta libera, difendiamo con tutti i nostri mezzi a nostra disposizione (e questo è uno di quelli) il diritto di tutte le donne di fare liberamente il contrario senza per questo essere giudicate, violentate, intimidite, assassinate o umiliate”.

Il post su Facebook delle carmelitane scalze si conclude con “Sorella, io sì ti credo”. C’è bisogno del #metoo e delle denunce, delle proteste, dei discorsi che qualcuno, a vario titolo, ha tacciato di essere pedissequi, come se si trattasse di una caccia alle streghe. Sì, c’è ancora bisogno del femminismo, inteso come parità di genere, reale, meritoria e non di comodo. Ma c’è proprio tutto questo bisogno di portare avanti la causa? Di svegliare le coscienze, di riformare il linguaggio? Vi rispondo di sì, lasciando da parte la calma. C’è ancora bisogno del femminismo perché se un uomo pensa ancora di far colpo su una donna, come se fosse alla solita battuta di caccia che dura da secoli, con i ruoli ben distinti, lui nei panni de “Il conquistator”, dicendole frasi del tipo “tu non sei come le altre”, allora le cose non vanno. Ma le altre chi? Le altre cosa? È possibile che per esaltare qualcuna si debba necessariamente ammucchiare “le altre” in un pollaio, che neanche le galline, e poi denigrarle e schernirle e ancora etichettarle in categorie subumane? E ancora continuare con gli sproloqui d’inutili distinzioni tra donne di serie a e donne di serie b, donne con la D maiuscola e quelle con la d minuscola, e ancora tutte contro tutte, per arraffare il consenso di una società maschilista e patriarcale, di una società che mi vuole a casa presto la sera, che fuori è buio ed è pericoloso, di una società che dice non è bene che io viaggi, viva da sola. Di una società che decreta di che lunghezza debba essere la mia gonna, il numero dei miei partner, l’età anagrafica che devo dimostrare per esser piacente. C’è ancora bisogno di femminismo se la persona che dietro di me nell’autobus mi tocca il sedere non si sente in imbarazzo e mortificata come me, che subisco il suo atto di prevaricazione. C’è ancora bisogno di femminismo se la colpa della fine di una relazione è sempre dell’altra e mai di lui. Ce ne sarà bisogno fino al momento in cui due persone di genere diverso, per la stessa mansione o compito lavorativo, percepiranno due salari diversi. Fino a che le scelte personali di una donna ricadranno sulla sua possibilità d’impiego, e ancora finché ci sarà chi crederà che una donna che decide di non essere mamma e moglie sia una donna a metà. C’è bisogno di femminismo ogni volta che fischiano per strada, con il rischiamo da zoo; c’è bisogno di femminismo ogni volta che s’insinua in me il pensiero vile e meschino che una bella donna, che gode di notorietà e successo, sia lì per meriti non suoi. Le grandi violenze si generano da pensieri malsani come questi, le privazioni, che possono sembrare cose da niente, originano il sentimento di possesso, di superiorità e commenti inappropriati e indecorosi possono far sorgere l’arroganza che il silenzio potrebbe essere assenso, che un no vale a metà se detto da una donna. Il mio no vale esattamente quanto il tuo, fattene una ragione, e per quello che può valere, “sorella, io sì ti credo”

di Chiara Ubbriaco, all rights reserved

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