SIBOMANA, L’ARTISTA DELLA SOLIDARIETÀ: UNA MISSIONE DI VITA

di Enrichetta Glave

SIBOMANA, L’ARTISTA DELLA SOLIDARIETÀ: UNA MISSIONE DI VITA

di Enrichetta Glave

SIBOMANA, L’ARTISTA DELLA SOLIDARIETÀ: UNA MISSIONE DI VITA

di Enrichetta Glave

Incontro Sibomana in un piovoso pomeriggio di Marzo. Ad accogliermi a Piazza della Repubblica, due occhi giovani, azzurri, sorprendentemente vitali ed un sorriso timido e composto, nascosto dietro una sigaretta appena accesa.
Sibomana è un giovane uomo che ha votato la sua esistenza all’arte. Comincia all’età di quattordici anni a realizzare graffiti ma giunto a Roma, appena ventitreenne, dopo una laurea a Bruxelles in grafica multimediale, abbandona la bomboletta e si dedica alla creazione di poster, colto, come lui stesso precisa, da un’improvvisa nostalgia di vernice fresca impregnata sui pennelli. Colori vivaci e pennelli dalle setole sempre più consumate e vissute plasmano una creatività irrefrenabile, un istinto quasi primordiale racchiuso in linee e forme definite. Volti ammaliatori di donne dalla pelle color dell’ebano, gote rosee incorniciate da lunghi veli e bambini sorridenti riempiono i muri di una Roma nascosta, quella meno gettonata, lontana dagli occhi indiscreti dei turisti.

Passando per il Pigneto o attraversando di fretta qualche suggestivo vicolo di San Lorenzo è possibile scorgere uno di quegli sguardi genuini ed eloquenti, destinati sin da subito a godere di una bellezza duratura. L’artista vuole sorprendere il passo deciso e calzante dei passanti destandoli dalla frenesia delle loro vite e regalando così un momento di quiete e serenità. Decine di poster si affacciano ogni giorno, quasi prepotentemente, sulle strade trafficate, risvegliando la curiosità anche dei conducenti più distratti. Free Palestine

Sibomana è un irrequieto ed eclettico viaggiatore, instancabile sognatore dall’aria scapigliata e un po’ bohémien. Mi spiega di avere origini italo-belga da parte di madre e congolesi da parte di padre mostrandosi fiero della sua condizione di cittadino di mondo. Una sensibilità coraggiosa nei confronti della multietnicità, infatti, guida ogni sua scelta. Il suo messaggio è chiaro: educare la gente all’integrazione tra popoli. Sì, è proprio questa la sua missione di vita, insegnare con umiltà e senza alcuna presunzione che la solidarietà sa essere un’arma potente contro la violenza e la paura del diverso. Così, tra un sorso di birra e fugaci pause di riflessione, decide di condividere con me la sua esperienza come volontario presso il centro Baobab di Roma, punto di riferimento per migliaia di profughi e migranti. Al di fuori del centro, due volti di bambini vestono i muri di via Cupa infondendo serenità e tenerezza nell’animo di chi ha ancora spazio, in sé, per la compassione, per l’umanissima sensibilità.

Anche il fumettista Mauro Biani ha voluto omaggiare l’impegno e il forte attivismo sociale dell’artista, facendo di questi volti innocenti, i protagonisti di alcune sue vignette. Sibomana non ha paura di ricordare al Mondo quanta bellezza intima si nasconde dietro ogni forma di diversità, essa è fonte di ricchezza in coloro che sanno riconoscerla. Eppure Sibomana continua a sentirsi amareggiato, la sua rabbia deriva dal miopismo di una società evoluta che tuttavia non riesce ancora a contaminarsi, a mescolarsi. Tendere le mani a migliaia di rifugiati, rassegnati ad un destino crudele, privati di ogni possibilità di scelta significa non rinunciare alla propria umanità, mostrarsi straordinariamente audaci e maturi anziché vulnerabili.

Pigneto, Roma

La nostra conversazione continua veloce, scandita da una fitta pioggia primaverile; ad un tratto sento pronunciare con fermezza il suo motto “Protect People Not Borders”, il respiro diventa affannoso e si traduce in un inspiegabile desiderio di azione. Un pensiero s’insinua in me: mentre esprimiamo la nostra rabbia ed il nostro dolore per gli attentati di Parigi del 13 novembre, dovremmo ricordarci che migliaia di uomini fuggono da quello stesso tipo di violenza, che lo Stato Islamico ha tutto l’interesse a creare diffidenza verso profughi deboli e facilmente corruttibili perché i nostri paesi voltano loro le spalle e creano terreno fertile per la radicalizzazione di futuri jihadisti.

I terroristi delle stragi di Parigi, di nazionalità belga o francese sono cresciuti nelle nostre periferie sperimentando il degrado e covando rancore. La loro violenza parla della violenza della nostra società.
Riaprire le frontiere? Siamo parte di una comunità in mutamento, e se per essa ognuno facesse tutto il possibile, non come obbligo, ma come privilegio (così diceva già G. Bernard Shaw), riaprire le frontiere non sarebbe più una faziosa posizione, arrendevole o ostinata. Riaprire le frontiere sarebbe un privilegio.

https://www.facebook.com/sibomana.art/videos/1493521067610706/

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