Sì TAV-No TAV: un dibattito in corso

di Mauro Mongiello

Sì TAV-No TAV: un dibattito in corso

di Mauro Mongiello

Sì TAV-No TAV: un dibattito in corso

di Mauro Mongiello

Di grandi opere e miglioramento delle infrastrutture e dei trasporti si discute da anni.

Dal 1999, nell’ambito della costituzione di una linea di mobilità transfrontaliera comune agli Stati Membri dell’Unione Europea (c.d. Ten-T: Trans-European Transport Network), si è sentita la necessità di una linea ferroviaria che collegasse Torino e Lione, in modo tale da decongestionare l’area di confine rispetto ai parametri ambientali relativi al trasporto su gomma e all’inquinamento ad esso susseguente.

Nello specifico, l’accordo del 1999, vero e proprio architrave normativo del progetto, prevede la realizzazione di una linea ferroviaria divisa in tre zone di pertinenza: italiana, francese e unionale, con le rispettive fonti di finanziamento. Nel 2012, attraverso un protocollo addizionale, le parti contraenti hanno ridefinito alcuni dettagli dell’opera e, soprattutto, hanno disegnato il quadro complessivo delle condizioni di realizzazione della stessa (affidamento della gestione del progetto complessivo ad un promotore pubblico bilaterale, ricostruzione delle modalità di finanziamento dei singoli tronconi, modalità di risoluzione delle controversie).

La svolta arriva nel biennio 2015-2016, quando viene stipulato un nuovo accordo tra Italia e Francia, successivamente  integrato da un Protocollo Addizionale che fissa il costo complessivo del progetto a 8.300,8 milioni di euro, all’approssimarsi dell’avvio dei lavori e della susseguente cantierizzazione dell’opera: peraltro, da tale cifra sono espungibili i circa 300 milioni relativi alle spese accessorie (inferenze di rete, espropri fondiari e relativi contenziosi ecc..; le cifre sono tratte dalla relazione tecnico-giuridica pubblicata nei giorni scorsi e voluta dal governo gialloverde).

Il teatro principale, nello scenario italiano della TAV, è la Val di Susa, in alto Piemonte: sin dagli anni Sessanta, ai tempi della stesura del progetto relativo all’A32, la zona era stata interessata da forti movimenti di protesta, innervati perlopiù dalle aree antagoniste della sinistra extraparlamentare. Queste stesse esperienze di lotta politica, all’indomani della “sconfitta” sull’autostrada, la quale in effetti verrà realizzata, confluiscono nell’esperienza del movimento “NO Tav”: si tratta, ad un’analisi senza alcuna pretesa di essere totalizzante, di movimenti particolarmente attivi sul piano sociale, dotati di una struttura completamente orizzontale e basata sulla coesistenza e il co-working di numerosi gruppi tematici. Non manca, come in qualunque tipo di contesto afferente a quest’area, una parallela organizzazione di “lotta”, che si occupa dei picchetti, delle manifestazioni, degli atti dimostrativi e di tutto ciò che può portare alla ribalta nazionale la protesta contro la TAV. Non è un caso che, all’interno dell’anima movimentista, siano particolarmente attivi e noti gli appartenenti al centro sociale “Askatasuna” di Torino. Non mancano, in realtà, numerose adesioni sul piano istituzionale, se sol si pensa che numerosi sindaci dei paesi della Val di Susa si sono schierati contro il progetto, esprimendo così il comune sentire di una parte della popolazione. Ci si riconosce, per quanto attiene alle posizioni espresse, in una tesi che ribadisce, da un lato, l’inutilità dell’opera per la presenza di comunicazioni preesistenti sulla stessa tratta; dall’altro, si sottolineano gli enormi costi ambientali ed economici per l’area, già alle prese con gli effetti deleteri della crisi economica e dell’arretramento di un certo tipo di sistema legato all’agricoltura e alla valorizzazione del territorio. Si contestano inoltre, gli aggravi di spesa particolarmente alti della TAV, a tutto vantaggio dei privati coinvolti nella costruzione della linea ferroviaria e a detrimento delle popolazioni della valle.

Dall’altra parte, lo schieramento dei favorevoli alla TAV comprende ampie fette del mondo produttivo e dell’impresa. A livello politico, gli sponsor dei “pro” sono maggiormente riconoscibili ed “istituzionali”, oltre che particolarmente trasversali: nella stessa trincea compaiono tanto l’ex sindaco dem di Torino e attuale Presidente della Regione Piemonte Sergio Chiamparino, quanto il Ministro dell’Interno Matteo Salvini e i maggiori esponenti della Lega Nord e del centrodestra berlusconiano. Il “Partito dell’Impresa”, d’altro canto, sottolinea i benefici economici derivanti dalla realizzazione dell’opera, non disdegnando un notevole impatto ambientale positivo, ottenibile grazie alla riduzione del trasporto su gomma. Last, but not the least, si considerano dirimenti anche i risvolti occupazionali della TAV, per quanto attiene al coinvolgimento delle imprese e delle proprie maestranze, oltre che dei professionisti e dei progettisti legati alla realizzazione della stessa. Insomma, si tratta del sempreverde argomento dei benefici a cascata, dall’alto verso il basso.

In questa sede, ricorrendo ad un quanto mai opportuno esercizio di umiltà, non si entrerà nel dettaglio dell’analisi dei costi-benefici recentemente emanata su proposta del Movimento 5 Stelle, né ci si addentrerà nell’immensa mole di documenti prodotti in questi anni dai movimenti favorevoli e contrari alla TAV: si tratta di relazioni, analisi, lavori e dati particolarmente complessi, spesso tra loro in completo disaccordo e per i quali è necessaria una competenza che non fa parte del bagaglio culturale di chi scrive.

Com’è abitudine, si cercherà di analizzare la prospettiva eminentemente politica della questione, mettendo assieme gli accadimenti degli ultimi anni, tenendo conto che la percentuale realizzativa della TAV è probabilmente troppo avanzata per poter pensare di recedere dai contratti stipulati con la Francia senza colpo ferire.

In tal senso, balza subito agli occhi come le politiche degli ultimi governi, anche prima dell’esplosione della crisi economica nel 2008, abbiano visto nelle grandi opere un valido approdo per rilanciare, o far ripartire, il volano dell’economia: basti pensare al cavallo di battaglia dei ruggenti anni azzurro-berlusconiani, il ponte sullo Stretto. In maniera altrettanto evidente, son piene le fosse di opere mai realizzate o il cui impatto positivo si è notevolmente sottodimensionato una volta che queste siano state portate a termine (si pensi alla Brebemi).

A livello di politiche pubbliche, non può essere messa in discussione l’importanza di un grande piano infrastrutturale per il Paese, volto a superare le criticità ancora esistenti sul territorio: tuttavia, a livello di strategia complessiva, l’intervento statale, al netto del colore dell’esecutivo di turno, è stato spesso dominato da improvvisazione e logiche elettorali/emergenziali, le quali emergono drammaticamente nel momento in cui si nota il dislivello tra Nord e Sud. In altre parole: se si concepisce un’opera come la TAV Torino-Lione, non ci si deve dimenticare delle ampie tratte ferroviarie costituite da un solo binario, una volta che si sia superata la frontiera del Garigliano, a maggior ragione, quando si pontifica –a giusta ragione- sulle ricadute occupazionali delle grandi opere.

Insomma: una volta accertata l’impossibilità di recedere nel modo più indolore possibile dai contratti che ci legano alla TAV e una volta conclusa questa, è tempo che la politica guardi alle zone più povere e meno attrezzate del Paese, fuoriuscendo dalla solita logica clientelare che ha permeato l’intervento statale nel corso dei decenni.

Come se non bastassero i problemi di ordine tecnico ed economico, l’aspetto politico dell’opera si è evidenziato nella congiuntura con il caso della nave Diciotti che ha visto negata, da parte della Giunta per le Immunità, l’autorizzazione a procedere nei confronti del Ministro dell’Interno Salvini: le opposizioni, con il PD in testa, hanno contestato il congelamento dietro la mozione di ridiscussione presentata dal Governo, sottolineando il do ut des, rispetto alla cronologia della vicenda Diciotti e all’adesione dei pentastellati alla negazione dell’autorizzazione a procedere per Salvini.

Insomma, un ulteriore elemento di disturbo in una partita che assume contorni politici sempre più rilevanti in detrimento di una discussione che dovrebbe interessare solo e soltanto le comunità della Val di Susa e le controparti imprenditoriali/istituzionali.

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