Shame: Il ritorno di McQueen

di Redazione The Freak

Shame: Il ritorno di McQueen

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Shame: Il ritorno di McQueen

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Recensione a cura di Daria Riz

Dopo tre anni il regista di Hunger torna, schiaffandoci sotto gli occhi la drammatica storia di un comune, almeno apparentemente, impiegato di NewYork. La pellicola si apre con l’immagine di Brandon (Michael Fassbender),disteso sul suo letto, nudo, un preludio a ciò che si presenterà nel corso del film.

Di primo acchito può sembrare si tratti del solito gigolò, intento a  cercare un’alternativa alla routine quotidiana attraverso l’erotismo di cui tutti i suoi incontri sono intrisi. Non è così. In realtà  è sintomo di un taglio molto più profondo che lacera la vita del protagonista, un uomo tanto affascinante quanto dannato.

Incatenato da una dipendenza sessuale incontrollabile, Brandon diventa sempre più inerme alle proprie pulsioni, nelle quali riversa tutta la sua rabbia e la paura di relazionarsi sentimentalmente.

Il successivo arrivo inaspettato della sorella, porta con se anche la speranza di far riemergere una forma di umanità, alla quale il fratello sembra aver rinunciato. Egli infatti, si commuove ascoltando Sissy cantare una versione malinconica di Newyork Newyork, interpretazione che sottolinea la dicotomia tra la bellezza della città  ed il suo lato triste, tra quella del fratello e il degrado da cui è corroso per aver scelto di reprimere la propria sensibilità.

Magistrale e press’a poco inverosimile il lavoro di Fassbender che gli è valso la Coppa volpi al Festival di Venezia e il British Indipendent Film Award,entrambi per la migliore interpretazione. Perfettamente permeato in ogni sfumatura del personaggio, imprigiona l’occhio e la mente di chi osserva grazie ad un’interpretazione legata e senza sbavature.

A fare da cornice, la fotografia di S. Bobbitt che pur mantenendosi classica ed elegante, riesce ad essere innovativa grazie alle inquadrature non sempre lineari,ed estremamente profonda, quando pone i soggetti in primo piano.

La drammaticità  della trama e delle sequenze è scandita dalle variazioni Goldberg di Bach (in una delle scene più significative il protagonista corre sulle note del preludio BMW 855 ) ,la più recente opera di Harry Escott, compositore contemporaneo della colonna sonora del film, e qualche punta di jazz, ulteriore conferma della minuziosa cura nel dettaglio del regista.

Un film straziante, lacerante, sulla profonda solitudine di cui ciascuno è potenziale preda, ma soprattutto sulla prigionia mentale, unico nemico in grado di annientare completamente le fondamenta dell’essere umano.

 

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