ROMAGNA, L’ITALIA CHE ANCORA NON CONOSCI

di Fabrizio Spaolonzi

ROMAGNA, L’ITALIA CHE ANCORA NON CONOSCI

di Fabrizio Spaolonzi

ROMAGNA, L’ITALIA CHE ANCORA NON CONOSCI

di Fabrizio Spaolonzi

Un titolo simile, a quanto dice Davide, usciva su una rivista polacca non troppo tempo fa. Il motivo? La Romagna sta investendo molto nel vino, con la forza dei piccoli produttori, l’ingegno delle giovani generazioni imprenditoriali e quel coraggio che certamente mai manca agli italiani. In un’umida mattina di inizio Gennaio, dopo essermi preso un caffè a Mercato Saraceno (paesino della Provincia Forlì-Cesena particolarmente fervido in termini di economia vitivinicola) mi reco alle cantine Bartolini dove, appunto, Davide, alla guida della cantina giunta alla quarta generazione e che, grazie all’ iniziativa ed al coraggio, ha messo in moto un processo di rinnovamento con il consolidamento e il miglioramento della produzione, il restyling dell’immagine dell’azienda e la ricerca di partners commerciali che condividano la stessa passione per il vino, mi spiega che il problema principale in quest’area è ancora la concorrenza. Numerosa, e di qualità. Soprattutto se gareggi con altri produttori italiani e, ancor di più, ribadisce comprensibilmente, se a pochi chilometri da te hai la Toscana. Non un concorrente, ma un colosso nel settore del vino. E certamente ha ragione. Ma io sono un curioso, e non mi arrendo a “ciò che si vede” (come direbbe l’autore francese Frédéric Bastiat a me caro) e quindi decido di farmi raccontare la Romagna attraverso le parole del vino.
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In particolare però, cosa che vi dirò in seguito, qui nelle terre di Plauto, ero interessato a trovare una bottiglia di Pagadebit, un vino che, come piace a me, porta con sé una Storia. E che affonda le sue radici, come il proprio nome, nella cultura e nella società di quelle terre. Altro che DOC e IGP decisi a Bruxelles, queste sono le vere produzioni locali che, con o senza marchio, la tradizione ce l’hanno ben salda nell’anima. Anche se, c’è da dirlo, trattasi di un vino povero e…calma. Vi ho detto che ve ne parlo dopo. Ora sono alle Cantine Bartolini a farmi raccontare la produzione del Montesorbo e dell’Albana. Già, e proprio su quest’ultimo ricevo subito una dritta da Davide che, incalzato dal mio accompagnatore – e guida (che poi è mio cognato..) – che chiameremo con un nome di fantasia, “Marco”, ci spiega che proprio l’Albana, conosciuto in Romagna per essere un vino dolce o IL vino dolce per antonomasia di quelle zone, in realtà ha un suo “fratello” secco, più nobile (o fratello maggiore, perché sul Nobile, magari meglio leggersi questo!). Ed ecco quindi la prima novità. Esiste un Albana secco, e che mi dice su questo? Che ci stiamo investendo molto, che gli ordini crescono seppur a piccoli passi e che ci permette, insieme al Montesorbo ed altri prodotti – tipo Oro e Rocca Saracena, Sangiovese Superiore il primo e Superiore Riserva il secondo – di presentarci al cliente estero, sul quale puntiamo, con prodotti variegati, gradevoli e, per il mercato, praticamente nuovi. Però è Sangiovese penso..sì, ripenso, ma ricordiamoci che dalle uve Sangiovese nasce una delle Star dell’industria vinicola italiana – e Toscana, come dicevamo – il Brunello. In ogni caso, trovo interessante il Montesorbo, Sangiovese-Cabernet Sauvignon con uno spruzzo di Alicante. E bella anche l’etichetta. Lo compro, e mi porto questi 12 mesi di barriques affinati in bottiglia a Roma per una delle mie prossime cene di carne! Riguardo alle bottiglie presenti in cantina, si presentano certamente bene, si vede che stanno puntando anche sul marketing, e quello conta, conta eccome. Romagna-provincia-unica

E do proprio ragione a quel direttore commerciale di un’impresa di vino che mi disse, “quando pensi al vino italiano venduto all’estero, a cosa pensi?” Al fiaschetto di Chianti. “Bravo, quello è il marketing”. E quindi bene che anche in Romagna ci sia qualcuno che si impegna in questa direzione, con tutte le difficoltà del caso, certo. Ma sarà mica un unicum? Sembrerebbe di no, perché quando Davide ci parla – ricordate che ero accompagnato dalla guida-cognato per noi detto Marco – dice sempre “noi”. E quindi ci incuriosiamo e lasciamo parlare, per capire cosa intende con questo “noi”. Ed è strano ma vero, ma di questi tempi duri per i “winemakers” – perché ahimè così si devono presentare ai clienti esteri, o winyards, che sembra più gradevole come termine, ma che pur sempre si riduce a snaturare il mondo del vino con parole inglesi – la Romagna sta facendo sistema, come si dice in politichese, che nella vita fuori dai palazzi vuol dire che gli imprenditori della stessa area, che producono prodotti simili, invece che cercare di strapparsi di bocca un cliente, vanno insieme e si presentano come territorio, come regione (eh sì dai, non posso non inorgoglire i romagnoli con questo termine..si sa, la Romagna non è Emilia, è Romagna!).

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Così la Romagna sta iniziando a vendersi diversamente. Non solo come lidi e discoteche (Rimini e la Riviera parlano da sé), bensì ponendo al turista e cliente la domanda: cosa c’è di più in Romagna? Esatto, c’è proprio quell’Italia che ancora non conosci e, per certi versi, che non ti aspetti. E infatti ben venga la piada, i salumi, i rotoli, i crescioni o i ciccioli (ah, i ciccioli, che bontà, me ne sono portati a casa 2 chili, tanto poi vado a correre!). In ogni caso, tra il ciò che non ti aspetti e il ciò che non conosci, c’è proprio il vino. I vini comprati (non solo da Davide, ma neppure i Braschi, cantina forse un po’ più varia, sempre ben presentata in termini di etichetta) non li ho ancora bevuti, lo ammetto, ma non sono qui a parlare di qualità organolettiche, bensì di sensazioni. In ogni caso, mi porto a casa un consistente sorso di Romagna, sperando di non far la fine del Callidamate della Mostellaria! E questa è stata, seppur tra nebbia e freddo, una piacevole sensazione.

Ma volete sapere cosa mi ha incuriosito più di tutto (tornando un attimo a Mercato Saracena da Davide)? La produzione di vino in anfora georgiana (che è, nelle Regioni di Khakheti, Imereti, Kartli e Guria, Presidio Slow Food!). Appena vista, neanche il tempo di chiedere che già avevo la risposta. Non è solo un esperimento, bensì, come ho avuto modo di scoprire più avanti, usanza di alcune produzioni di queste zone. Pazzesco. Sapevo infatti, ma continuo a non trovare un nesso con la Romagna, che la produzione di vino georgiana è storica, risalente a prima dei romani e dei greci, fatto confermato anche dal recente ritrovamento di una cantina utilizzata circa 6000 anni fa. Tanto che sia nell’Odissea, che poi ne Le Argonautiche (Apollonio Rodio) i personaggi si ritrovano a bere dell’ottimo vino in Colchide, attuale Georgia. Il Vino è proprio un mondo. Dalla Georgia a Plauto, tutto nello stesso territorio. Ebbene, ho divagato un attimo, lo so. Ma scrivere è un viaggio della mente, e quindi, perchè non lasciare, o nel mio caso carpire, tracce di luoghi, oltre che dei profumi e dei sapori, che completano e compongono i ricordi, le immagini e la dottrina. In fondo, questo è un Racconto.

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Ora però, è giunto il tempo di svelare la vera curiosità di questa Storia di-Vi(g)na, che, come vi anticipavo è il Pagadebit. Vitigno prevalentemente Bombino bianco, che, nota di colore (in questo caso, bianco!) è un vino prevalentemente pugliese che, grazie proprio alle sue particolari caratteristiche di resistenza alle avversità climatiche, è giunto e si è stabilito anche in Romagna. Amabile o secco, di Bertinoro (magnifica località), o semplicemente di Romagna, il Pagadebit è un vino popolare, noto per essere stato nel tempo il “tesoretto” dei contadini. WP_20160219_00_17_45_Pro(1)

Il contadino, infatti, sfruttava la forte capacità di tenuta delle uve alle annate avverse riuscendo a garantire una produzione di vino che, quindi, veniva utilizzata per pagare i debiti contratti nell’annata precedente. Per questo motivo un altro nomignolo dato al vitigno è Straccia Cambiale. E visto che agli italiani viene sempre imputato di “non diversificare abbastanza” i propri portafogli finanziari, ecco che, come molte volte, è proprio dalla cultura popolare e del lavoro, che ci arriva l’insegnamento. Vino risk-free, e debito contratto saldato. Bene, e visto che la derivazione può essere anche legata al fatto che la promessa di pagamento veniva fatta verbalmente – da qui Pagadett – posso considerare anche il mio (Rac)conto con voi, miei lettori, concluso. E anche queste Storie, di generazioni, di terra, di vino, di impresa e di futuro, che nascono prima e con la Commedia Plautina e che proseguono oggi sulle ali della scoperta, sono terminate, sperando di aver lasciato un buon sapore, un aromatico retrogusto ed un emozionale ricordo. As vedem!

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