Roma Repubblica, il vino delle élite e le prime grandi produzioni

di Fabrizio Spaolonzi

Roma Repubblica, il vino delle élite e le prime grandi produzioni

di Fabrizio Spaolonzi

Roma Repubblica, il vino delle élite e le prime grandi produzioni

di Fabrizio Spaolonzi

Prima di essere Italia e ancor prima Roma, la penisola che oggi abitiamo era nota anche come Enotria, “terra del vino”, luogo quindi già dalle sue origini preposto alla coltivazione di grandi vini. La Repubblica di Roma iniziò coltivazioni per il commercio e per le élite, dando così ampia diffusione all’uso di questa preziosa bevanda.

 

Roma è stata una civiltà capace di creare una Visione, un’idea di continuità, di immanenza, di futuro, di grandezza, in grado di tramandare un pensiero totalizzante di società e di leggi, di architettura e di struttura sociale che ancora oggi influenzano il nostro modo di vivere e concepire le regole civiche e pubbliche. Ma più di tutto, la grandezza di Roma è stata quella di saper cogliere, imparare e rielaborare usi e costumi di civiltà precedenti e contemporanee, adattandole alle proprie necessità e, spesso, valorizzandone e diffondendone l’utilizzo e la conoscenza.

Tra queste proprio la vinificazione e la cultura del vino furono uno dei maggiori successi di Roma, sia dal punto di vista culturale che del commercio, ed in seguito delle esportazioni. Principalmente i romani si ispirarono alle tecniche di etruschi, cartaginesi e greci, per poi elaborarne di proprie, come ad esempio la coltivazione a terrazza – un sistema drenante su terreni con particolari pendenze capace di conservare dosi adeguate di umidità e calore – o la coltura in filata intrecciata di canne (divenuta poi l’impianto oggi noto come guyot), od ancora la fermentazione del vino nei dogli, vasi di terracotta della capacità di 1000 l e conseguente travaso in anfore da 20 l in cui veniva lasciato a invecchiare fino a 20 – 25 anni.

Roma, inoltre, ebbe la fortuna di poter sfruttare terreni particolarmente adatti alla coltivazione della vite (come la Sicilia, l’attuale Campania ed alcune zone dello stesso moderno Lazio), rendendo di fatto l’usanza del vino rapidamente diffusa in tutte le proprie arie di dominio o influenza. Durante l’epoca repubblicana (e poi imperiale) infatti, i Romani diffusero enormemente la coltura della vite anche in gran parte delle province che man mano conquistavano. La terre di Gallia in particolare richiedevano vini in abbondanza, ma, per l’usanza di quelle zone, venivano preferiti vini puri e non miscelati, come invece si usava presso i romani (che avevano preso tale abitudine dai greci). Tutto ciò spinse verso l’espansione della viticoltura, ma soprattutto verso l’introduzione di nuove varietà di viti, più fertili e resistenti rispetto a quelle autoctone, capaci di sostenere anche grandi produzioni e grandi rese.

Si passò quindi dai primi vini “classici” dei romani – varietà di uve da vino di origine greca e molto coltivate in Sicilia, nella Magna Grecia come “Aminee” e “Nomentanae” o le “Apianae o Apiciae” – a viti più produttive e resistenti, provenienti dalle province, quali la “Balisca” (originaria dell’Albania), la “Rhaetica” molto diffusa nel veronese e la “Buririca“, che ha dato origine ai vigneti di Bordeaux, oltre alla “Lambrusca“, vite selvatica dalla quale si ottenevano vini di scadente qualità.

Ed a partire della metà del II sec. a.C. i vini romani diventano i più graditi, tanto da obbligare i viticoltori, grazie a necessità dovute alle esportazioni ingenti, a dare dei nomi alle zone viticole (nasce così, ad esempio, il più antico dei cru italiani, il Falerno). La qualità dei vini italici, inoltre, è anche da ricondurre ai sempre crescenti arrivi di schiavi orientali, più esperti di vigneti e di vinificazione dei romani. Verso la fine della repubblica i vigneti prosperavano, i grandi cru si moltiplicavano e i loro proprietari si arricchivano. La viticoltura, dunque, si espandeva in tutto il territorio italiano e anche nelle province.

Inizialmente però, ed in particolar modo in epoca repubblicana, il vino non era una bevanda per tutti.  Era consentito bere vino solo ai maschi adulti con età superiore ai trent’anni. Le donne iniziarono a bere vino solo dopo l’abolizione del divieto da parte di Giulio Cesare, e l’istituzione della Liberalia, festa vinicola celebrata il 17 marzo in onore del dio Libero-Bacco, e della Vinalia, festa del 19 agosto per rendere favorevole la vendemmia.

La Roma monarchica prima, e la Repubblica poi, infatti, poco gradivano i costumi “oziosi e viziosi” di altre società (come quella greca), ed ancora meno tollerato era poi l’uso della bevanda da parte delle donne, il cui ruolo nel contesto della società austera e patriarcale dell’epoca sarebbe cambiato, come detto, solo con la successiva evoluzione cosmopolita dell’impero. Al tempo, addirittura, esisteva ancora l’istituto dello ius osculi – la  cui origine pare provenga dal regio divieto di bere vino promulgato da Romolo nei confronti delle donne romane — secondo il quale l’uomo aveva la facoltà di baciare una propria congiunta al fine di acclarare se questa avesse o meno bevuto vino. Nel malaugurato caso in cui si fosse verificata tale evenienza, era concesso al pater familias di uccidere la donna colpevole.

Tali regole severe sono da imputarsi da un lato ad una civiltà ancora relativamente poco “aperta” e non ancora ricca – è con l’Impero che sia per l’evoluzione ed ampliamento dei ceti medi che per un sensibile cambio dei costumi della società il vino avrà ancor maggiore successo e diffusione – ma dall’altro da “rigidità culturali” che appartenevano alla gran parte delle popolazioni del tempo. Un esempio, prima di passare alla Roma imperiale, lo vedremo approfondendo il ruolo del vino in Egitto ed Israele, che, proprio quest’ultima, ne “codifica e regolamenta” usi e coltivazione.

Vi aspetto per la prossima Storia della Divi(g)na Commedia…sarà un racconto BIBLICO!

di Fabrizio Spaolonzi, all rights reserved

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