Riforma della Giustizia,
così non va

Riforma della Giustizia,
così non va

Ecco perché il testo approvato dalla Camera ha dei limiti

di Leonardo Naccarelli

Riforma della Giustizia,
così non va

Riforma della Giustizia,
così non va

Riforma della Giustizia,
così non va

di Leonardo Naccarelli
Riforma della Giustizia

Riforma della Giustizia,
così non va

Riforma della Giustizia,
così non va

Ecco perché il testo approvato dalla Camera ha dei limiti

di Leonardo Naccarelli

Nonostante le divisioni all’interno della maggioranza di governo, la riforma Cartabia sembra avere una strada spianata di fronte a sé. Infatti, l’approvazione all’unanimità in Consiglio di Ministri del testo della riforma prima e della Camera dei Deputati poi, insieme all’impegno dei partiti di ritirare i propri emendamenti, non lasciano dubbi sulla futura entrata in vigore della legge.

Non è facile trovare le parole giuste per esprimere lo sgomento di fronte alle prossime modifiche del processo penale. Come criticare, infatti, una legge che, a parole, si pone come obiettivo tutelare un principio sacrosanto come la ragionevole durata dei processi? Come osare esprimere perplessità su una norma che, formula lapidaria per chiudere ogni dibattito, “ce l’ha chiesta l’Europa”? La risposta è semplice: contestando il merito, non il fine (evitare processi di durata biblica, ottenere i miliardi dall’Unione Europea necessari per finanziare la ripresa).

L’elemento maggiormente discutibile della riforma Cartabia è la previsione dell’improcedibilità nel caso in cui si superino i tempi previsti per legge per il grado di Appello (3 anni più una proroga di un anno motivata fino a fine 2024; 2 anni più una proroga di un anno negli anni successivi) e di Cassazione (1 anno e mezzo più una proroga motivata di 6 mesi fino a fine 2024; 1 anno più una proroga di sei mesi negli anni successivi).

In parole povere: se si va oltre i termini di cui sopra, il processo penale si interrompe definitivamente in senso favorevole all’imputato. Per fare un paragone domestico: visto che i litigi matrimoniali durano troppo, se durano più di un giorno ha ragione la moglie. Per dirla alla Boris: così, di botto, senza senso, genio. Certo, è apprezzabile che per i reati più gravi (mafia, terrorismo, violenza sessuale ed associazione a delinquere finalizzata al traffico degli stupefacenti) questi limiti non valgano e, nei casi in cui sia riconosciuta l’aggravante del metodo mafioso, siano aumentati. 

Tuttavia, ciò che è inaccettabile è l’impostazione di principio che ha condotto a questa soluzione. Se infatti, esiste un problema con la durata dei processi in Italia, è assurdo pensare che una soluzione possa essere l’improcedibilità. Nei tribunali italiani non si passa il tempo a giocare a carte: se i tempi sono eccessivi è perché il carico giudiziario è insostenibile. Sarebbe dunque necessario incidere sul numero delle impugnazioni, procedere con una coraggiosa depenalizzazione oppure aumentare i mezzi ed il personale della giustizia italiana e non, invece, prevedere un termine unico per tutti che non tenga conto delle particolarità del singolo caso. Tra le altre cose, sancire che la riforma Cartabia si applichi solamente in relazione ai reati commessi dal 2020 in avanti sta, sul piano costituzionale, “come sugli alberi d’autunno le foglie”. Sembra, infatti, abbastanza dubbio che una modifica che incida sostanzialmente sulla punibilità in favore dell’imputato possa valere solo da un certo momento in poi.

Inoltre, la riforma Cartabia comporterà degli effetti devastanti. Infatti, solamente un terzo delle attuali Corti d’Appello è, ad oggi, in grado di rispettare i termini valevoli dal 2025 in avanti. Plausibilmente, dunque, una quantità abnorme di processi andrà in fumo e, con loro, la capacità dello Stato di amministrare la giustizia e di preservare la pace sociale.

Ridurre la durata dei processi cancellandone una buona parte è come debellare l’Alzheimer con il metodo Erode. Oppure, pur di rispettare i termini di legge, la fretta ed il terrore dell’improcedibilità aumenteranno inevitabilmente il numero di sanguinosi errori giudiziari. In aggiunta, è fortemente opinabile che la riforma Cartabia riuscirà nell’intento di ridurre la durata dei processi. Com’è naturale che sia, la promessa dell’impunità nel caso che si superino i tempi del processo incoraggerà condotte processuali dilatorie e impugnazioni pretestuose con, se possibile, aumento dell’ingolfamento della macchina giudiziaria e, paradossalmente, aumento dei tempi di amministrazione della giustizia.

Se questo è merito della riforma del processo penale del governo Draghi e se questa è la reazione dell’opinione pubblica di fronte a questo abominio, ridatemi Berlusconi e le sue riforme. Quantomeno Berlusconi era mosso da una semplice ed umana aspirazione alla sopravvivenza giudiziaria: si limitava ad eliminare i reati di cui era imputato e rendere inutilizzabili le prove a suo carico. Mai si è arrischiato in una riforma del processo penale che prevede, tra le sue pieghe, un’amnistia implicita per intere classi di reati.

Inoltre, quando Berlusconi modificando il diritto penale introduceva vere e proprie zone di impunità, se ne accorgevano tutti e si intonavano vigorosi cori di protesta. Adesso, invece, non si fa che tessere le lodi della riforma Cartabia sostenendo che sia tornato il garantismo in Italia come se, fino a ieri, si facessero processi sommari in pubblica piazza con annesse fucilazioni. 

Ad ogni modo, la speranza è che le cose, all’atto pratico, si rivelino meno tragiche rispetto alle prime impressioni oppure che, ai primi effetti infausti della riforma, la politica abbia il coraggio di assumersene le responsabilità non lasciando, dunque, i magistrati soli di fronte all’indignazione popolare.

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