RICORDI DI UN TEMPO

di Edoardo Orlandi

RICORDI DI UN TEMPO

di Edoardo Orlandi

RICORDI DI UN TEMPO

di Edoardo Orlandi

Chiedi ai componenti di una popolazione qualsiasi, facciamo una immaginata, che idea hanno loro della vita, dello scorrere nel tempo, e ti risponderanno senza parole aristoteliche o gesti plateali ma indicheranno un bambino. Il Tempo per loro è piccolo, e risiede tutto nel ventre di uno sbarbatello.

Ricordi di un tempo
Arco del tempo, Messico

Allora tu potresti pensare che trovandoti, non so inventiamo, nella regione Chiapas del Messico, i figli qui vengano tenuti in gran cura tanto quanto si ha rispetto del Tempo: colosso immane che grava su tutti noi. È naturale che sia così in una cultura ancora ancorata ai vecchi modi di pensare preindustriali, dove i giovani sono una forza lavoro, e le mani nere e piene di calli se le lavano anche loro la sera di ritorno dai campi. In questo modo, attraverso il mito del “tempo infantile”, così gelosamente custodito dalle élite sacerdotali locali, questi potrebbero denunciare un amore speciale, un’attenta valorizzazione della gioventù.

Potresti, puoi pensare che il Tempo, per te così razionalmente strutturato e graficamente improntato sulla sua decomposizione quantitativa in frazioni di minuti e secondi, abbia per loro invece la semplice forma corporea e la pelle chiara del lattante, finendo così per indicarlo con il primo squarcio di tempo della vita umana.

Capisci poi che non è così. Ed hai immaginato in tal modo forse perché sono queste le conclusioni alle quali più comunemente i tuoi simili connazionali sarebbero arrivati: hai seguito un tragitto di pensiero e di memoria già in parte tracciato da chi ti abita accanto, ti gira intorno.

Per quest’altri il Tempo è indicato con l’ultima parte della vita umana che, mentre molti rivedono nella vecchiaia, loro rintracciano nella sepoltura. A questa fanno collegare l’idea del bambino, o per meglio dire, della gioventù strappata dalla malaria, dalla diarrea infantile, decidete voi. E in presenza della precoce perdita del tempo, della sofferenza senza nome della madre, si dà per loro il Tempo.

Tanto è forte l’analogia tra questi due elementi, presenza ed assenza, che sembra quasi l’una trascini l’altra a sé. Dove? Nelle grotte; nelle profonde spaccature rocciose tra i monti di una selva con nome spagnolo, in onore di un governatore spagnolo. È in queste crepe che sei salito seguendo il sentiero impervio nella foresta pluviale: uno dei tanti calpestati di giorno in su, e levigato la notte in giù dall’acqua a grappoli del buio. È uno dei tanti ma non è uguale agli altri, perché per le famiglie che vivono in questa parte di mondo nulla è più importante di questa via: la salita per le grotte dove vengono seppelliti cautamente i bambini e dove, di converso, il Tempo prende vita.

Gli uomini aspettano fuori sulla soglia, perché non possono vedere oltre i raggi del sole. A spingersi più in là sono le madri, ancora prima che le donne. Con gli occhi chiusi ed i piccoli corpi assenti si dirigono per i crateri. La cerimonia è lenta, è mesta. La cerimonia è tutto quello che rimane. Così le madri entrano in un mondo grottesco, nei cunicolo arredati di stalattiti pronte a sganciarsi per chi osa entrare senza quel pesante pegno. La fiaccola vibra, le voci si sdoppiano. Qui i corpi vengono lavati nelle acque gelide delle sorgenti sotterranee, e poi posati uno sopra l’altro e ricoperti, silenziosi, con uno strato di paglia o foglie di mais essiccate. Il tabacco lasciato ai margini delle fosse è segno di buona dipartita, anche se non sono i corpi caduti quelli che se ne vanno ma quelli oramai delle donne. Ricordi di un tempo

Ogni volta, perché il Tempo scorra, i corpi  si accumulano in strati, per livelli sovrapposti, ognuno segnato da un tipo particolare di colore o di stoffa utilizzata per fasciare i corpi. Vedi? Quella volta hanno utilizzato la paglia di luglio, e se ci fai caso più giù ci sono quelli sepolti con foglie essiccate di papaia e canapa. Si riesce a trovare una dimensione del Tempo nella memoria, nel ricordo più duro, lo strazio della perdita.

Quello quantitativo, il Tempo, per così dire, oggettivo non ha nulla a che vedere con questo; con i canti poetici intonati dagli anziani nelle sale della corte montuosa; con il viaggio rituale o i giorni delle danze e delle polente di mais. Queste persone, intendo i piccoli corpi, oggetti ormai, sono lì a ricordare ai soggetti che il Tempo per loro c’è ancora; ed è tanto doloroso il prezzo da pagare, il contributo da versare perché nulla cessi in definitiva. Essi sono monito e cristallizzazione di un promiscuo rapporto d’amore tra la dimensione del tempo e della memoria. Tanto vacilla lei così lui. Si dilata, prende commiato, poi ricomincia a farsi sentire silenzioso, appena percettibile. Prende vera vita quando si decide di catturarlo per misure,  quando pensavi fosse ieri e invece sono passati anni, perché nel mezzo hai interposto una nuova sfera del vissuto.

<< Di capo Diego ti ricordi? Delle sue grandi mani, e quella voce imponente? Non ricordo bene quando ma deve essere stata quella volta che i corpi li seppellivano sopra rami secchi di melo, due o tre livelli più in basso>>.

<< E Alfonso, ricordi di Alfonso? Dai, come fai? Era il periodo che ci imboscavamo per scappare dalle milizie del governo,  il tempo della protesta, ed ai bambini si donava una veste di lino rossa prima di deporli>>.

<< Amanda? Forse Amanda non la ricordo nemmeno io. Era il tempo del Sole color grigio topo e sembrava di vivere in una realtà mistica, quasi onirica. Lei era malinconica e non riusciva a distinguere il giorno dalla notte >>.

Il Tempo ritorna, vive a forza di ricordare. Vive se si incidono le tacche del suo divenire sui corpi perduti nella memoria collettiva: tre livelli più in basso, una manciata di corpi più in alto.

Intorno alla ritmica ritualità della sepoltura, non saprei dire di preciso quando, ma ad ogni quando i vivi costruiscono se stessi, le loro identità, i nuovi rapporti sociali, calcolano i nuovi giochi di forza tra i vecchi e i nuovi capi villaggio, intraprendono rischiose azioni commerciali con i mercanti giunti così in alto per l’occasione; e la vita scorre via così: un corpo su l’altro. Ecco perché loro il Tempo lo calcolano indicando un bambino. Ecco perché è tanto importante per loro quel sentiero su per le montagne.

La goccia di sudore è normale qui dove le giornate sono calde anche la sera. Potresti, puoi guardare l’orologio. Sono le 6:45 ma non ricordi che, come al suo solito, le lancette vanno indietro di mezz’ora. Ciononostante sei convinto e vivi nelle 6:45, non un minuto di più ne uno di meno. Il glifo del Tempo all’ingresso della caverna colpisce per un attimo l’attenzione: tre colonne orizzontali una sopra l’altra. Sembrerebbe la forma di una piramide, anzi no, di una lettera. Ma non c’è vocabolo che la contenga, e anche se cercassi di pronunciarla, di dargli vita sonora, rimarrebbe comunque in silenzio. Ora sono le 6:50. Se ti sbrighi riesci anche a prendere il traghetto delle 7:00. Sì delle 7:00.

 Passasse anche alla mezza, minuto su minuto, sei comunque già tornato a casa.

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