Riccardo III – Maestoso inno alla conquista del potere (nel non rispetto delle regole)

di Lilith

Riccardo III – Maestoso inno alla conquista del potere (nel non rispetto delle regole)

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Riccardo III – Maestoso inno alla conquista del potere (nel non rispetto delle regole)

di Lilith

Oscurità e pallida luce lunare. L’apertura del sipario su RIII – il Riccardo Terzo che segna la prima interpretazione e regia Shakespereana per Alessandro Gassmann – reca un’atmosfera dilatata e inquietante. Un sottofondo rumoroso, da pellicola horror, prepara e affila l’attenzione. Introduce alla malignità velenosa del protagonista che si appresta a compiere la sua infame ascesa al trono.

L’opera più estesa tra quelle di Shakespeare dopo Hamlet, racconta la vita e la morte di Riccardo III, fratello del Re Edoardo IV d’Inghilterra e maggiore tra i figli di Riccardo Duca di York. Il protagonista, Duca di Glaucester assetato di potere e rivalsa, mette a punto un sottile piano per sbarazzarsi del Re, di ogni erede legittimo al trono e finalmente conquistare il potere. E così, al primo omicidio seguiranno una serie di spietate esecuzioni e cospirazioni.

La cifra portante è quella della manipolazione, declinata e perpetrata in ogni sua possibile forma e circostanza: manipolazione della natura umana, del caso, della sfortuna, della debolezza e della disgrazia altrui.

Un nobile che nulla ha di nobile nell’aspetto:

“Io, di rozzo stampo, deforme, mal finito, precipitato anzi tempo nel mondo. Così goffo e sbilenco che anche i cani mi abbaiano quando passo.. Io, in questo fiacco tempo di pace, non ho altro passatempo che contemplare la mia ombra nel sole e comporre infinite fantasie sulla mia deformità.”

Il Riccardo di Gassmann ci stupisce per le dimensioni: la figura pantografata con un sistema di trampoli lo fa svettare oltre i due metri, in un mondo troppo piccolo e stretto per lui. Storto e claudicante veste la sua imponenza di una lugubre uniforme militare che esaspera e rende affascinante la rigidità nei movimenti. Il braccio destro avvizzito, rinsecchito, piegato e immobile nella ferraglia; il volto arcigno scolpito nel pallore. Riccardo non ha quasi nulla di umano. E’ una figura robotica, aliena, e come tale si muove emettendo grugniti bestiali. La bocca livida e gli occhi sempre sgranati e cerchiati ne accentuano l’inclinazione al male.

Un’anima nera costruita mattone dopo mattone sulle solide fondamenta del rancore. Risentito con il mondo, un “cane arrabbiato” per la sua deformità congenita, che cova da sempre un odio trasversale condito di lucido cinismo : per la pace che vige nel regno, per il suoi congiunti, per le fortune altrui.

La rivalsa sulle miserie fisiche cui è condannato – la conquista del trono – è l’unico scopo che possa rendergli la vita degna di essere vissuta. In nome di tale scopo egli affina l’arte dell’inganno, la misura dell’eloquio, l’opportunismo con cui muoverà ogni circostanza a suo favore.

La sua forza risiede proprio nell’ambizione che lo plasma a sua immagine, con un cuore minuscolo, rattrappito e un’intelligenza smisurata.

La bellezza di questo spettacolo – che Gassmann continua per la seconda stagione a regalare ai teatri italiani – risiede nell’immediatezza dei contenuti (rivisitati e resi ancor più accessibili da Vitaliano Trevisan), nella loro attualità disarmante e soprattutto in un ritmo marcatamente cinematografico.

Compatto, veloce, questo riadattamento spolverato da ogni obsolescenza linguistica può essere recepito da tutti, specie da un pubblico non preparato.

La narrazione è incalzante e scandita da raffinate tecniche scenografiche; sistemi di proiezioni all’avanguardia moltiplicano elementi e figure, lo spazio e le sonorità rimandano a un’atmosfera torva e allo stesso tempo epica.

Lo scenario gotico crepuscolare, intriso di sangue, freddo, fango, neve, buio e visioni, ci riporta al mondo di Tim Burton, immaginario fatto di personaggi pallidi, privi di melanina, immersi in un inverno perenne. La solennità dei momenti di scontro militare invece richiama il cinema di Richard Loncraine.

Come in altri drammi famosi del Bardo il male non tarda a presentare il conto ai suoi stessi fautori, per altro quasi banalmente. Riccardo infatti una volta raggiunto il trono perde la sua motivazione e inizia a vacillare; la luce lo taglia a metà ed egli è succube della superstizione, della paura e proprio di quella coscienza che di fronte al suo fido sicario Tyrrel aveva più volte sbeffeggiato.

Magistrale la scena in cui la madre, interpretata da una stupenda Paila Pavese, scaglia contro di lui “la più atroce delle maledizioni”. A quel punto Riccardo, ammantato da una sontuosa pelliccia regale, comincia a tentennare: il gigante lunare si trasforma in un orso allampanato e sconclusionato, che alla fine si riduce a piangere, inveire e boccheggiare di paura. I fantasmi, lattei e ondeggianti lo tormentano preconizzandone la morte in battaglia: “ Domani, nella battaglia, pensa a me. Dispera e muori!”

Non aspettiamo che il ritorno di questo splendido cast per una terza stagione.

A cura di Lilith Fiorillo.

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