RIACCHIAPPI LA VITA. A BALLARÒ

di Let It D.

RIACCHIAPPI LA VITA. A BALLARÒ

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RIACCHIAPPI LA VITA. A BALLARÒ

di Let It D.

Riacchiappi la vita. A Ballarò.

C’è il rumore dei condizionatori a Ballarò, e l’odore dei banchi vecchi perché di nuovi non ce n’è neanche l’ombra. Ma no, che dico, ancora con questa storia che “è odore anche il tanfo di quando cammini sull’orlo di una discarica se solo lo stai raccontando” è veramente ridicola. È puzza quella che senti a Ballarò. Puzza di latrine inevase e di frutta marcita alla fine di un giorno di lavoro. Ma che importa… è il sapore della vita, quella che io non ho vissuto e che ho spiato dalle maglie larghe del mio cappello di paglia e di passi.

Franco vive a Ballarò. È un ragazzo dall’età indefinita, dagli occhi azzurro mare e dai denti pieni di tartaro. Lui a Ballarò ci è nato, ma vuole scappare perché dice che lì non cambia mai nulla, neanche le stagioni. È sempre estate ma l’inverno se lo sente ormai incollato addosso da troppe lune. Anche la verdura è sempre quella, lui sospetta che ormai sia tutta esportata dalla Cina o da Israele, quando va bene.

Ci sono i panni stesi a Ballarò, anche se non c’è il sole. Si asciugano con le abbanniate e con le partite di briscola a notte fonda, quando tutti restano soli con i loro malumori. Chi è fortunato sogna insieme e si stringe forte, anche se fa un caldo nero, a Ballarò.

A Ballarò la vita corre dietro ai motorini scassati. Alcuni sono elettrici perché il rumore della maggior parte è assordante quando i ragazzi smarmittano all’angolo del bar di Maria.

Maria fa gli iris più buoni di Palermo, dice lei. E io le credo perché li mette su un piattino sbeccato e te li porge come fosse un dono prezioso. E lo è quando quell’iris deve colmare vuoti altri dalla fame e dal sonno.

Ti senti una principessa perché di donne a Ballarò non se ne vedono tante. Si sentono vociare dietro le tende e dentro case dalle finestre minuscole di un mondo inesplorabile.

Teresa ha i piedi sporchi e le unghie lunghe e non dice una parola. Chissà che pensa dei miei vestiti corti e delle tinte cittadine quando commento i muri decadenti, pitturati d’amore e di protesta, quando, incuriosita, cammino sorridente tra i volti sdentati e le camicie troppo aperte per l’afa e per il tempo che è passato ma che è ancora lì, tra i vicoli stretti.

Cadono pezzi di intonaco a Ballarò, dove c’è perché in alcuni punti non c’è neanche il muro. Ma è tutti i muri del mondo Ballarò. E io ci ho ballato sopra, come fossero i listoni del pavimento di una balera, come fosse l’ombelico del mondo, come fosse il giorno della festa di Santa Rosalia e io, bambina, avessi indossato il mio vestito più bello, quello rosso, con i fiori bianchi…

Ho visto le crepe del mio cuore e gli angoli dove il muschio cresce e quelli dove si può appoggiare una mano, per riacchiappare un po’ di quella vita che ogni tanto perdo. A Ballarò.

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