Il 30 dicembre 2022, sul rotto della cuffia, mentre gli italiani si stavano preparando al Capodanno, il famigerato d.l. n. 162/2022 – quello sui rave party per intenderci – è stato convertito in legge (n. 199/2022), sostituendo il tanto discusso articolo 434-bis c.p. con il nuovo 633-bis, rubricato “Invasione di terreni o edifici con pericolo per la salute pubblica o l’incolumità pubblica”.
La nuova norma, rispetto alla precedente, ha il pregio d’individuare immediatamente la nuova fattispecie criminosa, senza ricorrere ad inutili eloqui meramente descrittivi. La norma prefigura un reato di pericolo, determinando però nettamente la condotta incriminabile, ovvero quando da un raduno musicale o avente altro scopo d’intrattenimento deriva un pericolo concreto per la salute o l’incolumità pubblica a causa dell’utilizzo di sostanze stupefacenti o della mancata osservanza delle normative in materia d’igiene o sicurezza degli spettacoli e delle pubbliche manifestazioni d’intrattenimento.
Resta invece indefinito il riferimento al numero dei partecipanti ed allo stato dei luoghi, lasciandosi così troppo spazio all’interprete a riguardo. Inoltre, la nuova norma non punisce più i partecipanti all’invasione, che restano incriminabili in base all’art. 633 c.p.
Il massimo edittale di sei anni, superiore a cinque, consente – ex art. 266 c.p.p. – intercettazioni telefoniche e ambientali, così come la misura della custodia cautelare in carcere.
Per quanto concerne la confisca obbligatoria di cui al secondo comma della norma in commento, il riferimento, anche se non specificato, sembra rimanere all’art. 240, comma 2, c.p. Non è però chiaro il rapporto con il comma 3 del medesimo articolo, che la esclude nei casi in cui le cose finalizzate a commettere il reato o utilizzate nell’ambito dello stesso appartengano a persona estranea al reato, come ben potrebbe accadere nel caso dei c.d. “rave party”, che la nuova norma mira a contrastare. Forse si sarebbe dovuta spendere una più chiara specificazione su questo aspetto. E’ aggiunta la confisca delle cose che rappresentano il prodotto o il profitto del reato.
Viene poi abrogata, rispetto al precedente art. 434-bis, l’estensione agli indiziati sulla base della nuova norma delle misure di prevenzione di cui al codice delle leggi antimafia, forse la previsione più sproporzionata della precedente formulazione della fattispecie.
Ci si domanda se davvero il fenomeno dei rave party andasse contrastato con una norma penale, che nel nostro ordinamento giuridico è pensata come extrema ratio, ovvero da utilizzare quando tutte le altre forme di regolazione di un fenomeno siano risultate insufficienti. Infatti, potrebbe essere fruttuosamente adoperato il d.d.l. n. 1478/2008 in tema di svolgimento di raduni a carattere musicale in spazi non attrezzati, con sanzioni amministrative del sequestro provvisorio di strumenti ed impianti musicali ed attrezzatura finalizzata allo svolgimento del raduno o, al più, ai sensi della fattispecie di cui all’art. 633 c.p., del quale la nuova norma sembra, per alcuni versi, un duplicato.

D’altra parte, il famigerato rave party di Modena – da cui nasce di fatto questa norma – è stato neutralizzato dalle forze dell’ordine sulla base del quadro normativo antecedente all’odierno, con sequestro dei mezzi e senza alcun arresto o disordine.
Resta comunque discutibile l’opportunità politica e giuridica dell’introduzione di una nuova fattispecie criminosa a mezzo decreto legge: ciò potrebbe rappresentare infatti un problema di legittimità costituzionale dell’intera norma, sulla base dei parametri costituiti dagli artt. 25, comma 2, Cost. ed 1 c.p. che, in ossequio al principio cardine del sistema penale nazionale “nullum crimen sine praevia lege poenali”, si riferiscono senza dubbio alla legge emanata dal Parlamento a seguito del suo classico iter.
Inoltre, a parere di chi scrive, per l’introduzione di una disposizione del genere a mezzo decreto legge mancava anche il presupposto dei “casi straordinari di necessità e d’urgenza”: potrebbe dunque paventarsi un profilo di illegittimità costituzionale rispetto al parametro costituito dall’art. 77, comma 2, Cost.
A questo punto, ci si chiede se lo strumento penale non sia stato strumentalizzato e piegato a logiche politico-partitiche, come vessillo simbolico di un’ideale di sicurezza pubblica abbracciato e fatto proprio dall’ala partitica appena assurta al potere di governo, contro le opposizioni e buona parte dell’opinione pubblica di ideali opposti, su questo come su altri temi. Perché se così fosse, la situazione sarebbe molto grave. Si ricorda che negli ordinamenti liberal-democratici il diritto penale non può avere funzione moralizzante o eticizzante, ma deve servire a reprimere i fatti più gravi che possono verificarsi ma, soprattutto, tendere alla rieducazione e risocializzazione di coloro che li hanno commessi; allora la domanda sorge spontanea: il nuovo esecutivo ci pone di fronte ad una nuova concezione del diritto penale?
Pierluigi Mascaro è Cultore della materia in Diritto dell’ambiente presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università LUISS Guido Carli di Roma.