Sono sicuramente diversi i profili di criticità che solleva la nuova fattispecie incriminatrice, introdotta con il D.L. n. 162/2022, (art. 5) denominata Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica (434-bis c.p.), e che nel linguaggio giornalistico è stata già ribattezzata come “reato di rave party”.
Ed in questa prima riflessione, si intende solo tratteggiarli, seppur sommariamente, mettendoli a confronto con alcuni principi della materia, per lasciare che il lettore possa tirare le somme, componendo un’idea propria.
1. La pena come ultima ratio
Un primo punto riguarda le ragioni di politica criminale e di uso della sanzione penale. Si tratta infatti di un primo profilo di ordine generale, sicuramente foriero di ampio dibattito, ma che può avere un minimo comune denominatore: in un ordinamento democratico e liberale, come il nostro, la potestà punitiva non dovrebbe essere esercitata da uno stato “Leviatano” in maniera indiscriminata per punire ogni forma di antagonismo al potere costituito, bensì da uno stato <<protettore di diritti>>, costruito intorno ad una identità costituzionale, in cui la pena viene impiegata come ultima ratio, sia a difesa della collettività aggredita che dello stesso soggetto che ha commesso il fatto di reato.
In quest’ottica, dunque, per semplificare al massimo, punisco perchè non ho altri strumenti e lo faccio in modo proporzionato alla gravità dell’offesa e sempre al fine di consentire al reo di reinserirsi in società. La pena, quindi, ovvero la reclusione (principale strumento), è l’ultima spiaggia; ne faccio uso in quanto gli altri strumenti normativi a cui è possibile fare riferimento non sono efficaci e in più perché il bene che si vuole proteggere (vita, libertà sessuale e morale, ordine pubblico) è considerato dall’ordinamento di così importante rilevanza da non poter essere protetto altrimenti. Alcuni esempi: omicidio, rapina, estorsione, corruzione.
Inoltre, quando si decide di punire, lo si dovrebbe fare individuando la pena più adatta alla gravità del fatto di reato e alla colpevolezza del reo. In sintesi, non esiste solo la reclusione in carcere ma anche altre pene alternative (detenzione domiciliare, lavoro di pubblica utilità). Infine, in ogni caso, come afferma l’art. 27, III comma, Cost. <<le pene devono tendere alla rieducazione del condannato>>.
2. Mai reati per ragioni “simboliche”
Secondo punto. Il diritto penale liberale e democratico non ha uno scopo eticizzante o moralizzatore. Anche qui in estrema sintesi: non è possibile far riferimento alla sanzione penale per “educare” i cittadini a favore di un dato comportamento o per fare in modo che la pena che consegue al delitto abbia la funzione di “risintonizzare” il condannato ai valori sociali in quel determinato momento maggioritari e riconosciuti dalla società come preponderanti.
Da ciò deriva l’idea che non è possibile introdurre reati per ragioni “simboliche”, per creare dei moniti, per attribuire dei valori in positivo o in negativo a un certo comportamento e fare in modo che il cittadino si adegui o se ne distacchi.
Solitamente, infatti, questo compito spetta alla società, ai corpi intermedi che la rappresentano; i valori di una società sono appannaggio dell’espressione e della dialettica politica e rispetto alla possibilità di imporli, almeno per quanto riguarda la componente penale, si rimanda al primo punto: non si può usare la pena per sanzionare gli antagonismi.
In maniera molto semplificativa ed esemplificativa basti pensare ai delitti di matrice politica, ancora oggi così diffusi in alcuni ordinamenti, che vedono le patrie galere affollate da giornalisti, dissidenti politici, sportivi (con e senza velo), avvocati, magistrati, giovani “Giulio Regeni o Patrick Zaki“; il diritto penale non può essere simbolo e come tale non può avere dei “nemici”. La pena compone una frattura sociale, non la crea.
3. Sbagliato introdurre reati con un Decreto legge
Terzo punto. Qualunque manuale di diritto penale afferma che il Decreto Legge non dovrebbe essere una fonte del diritto penale. Il principio di riserva di legge (art. 25, II comma Cost.), infatti fornisce un’indicazione chiara (qui semplificata): le scelte di politica criminale devono essere riservate all’unico potere dello stato rappresentativo della volontà popolare, ovvero il Parlamento.
In questo senso, il Governo non potrebbe agire con decreti legge, cioè intervenire nella descrizione del precetto penale (insomma, non può introdurre reati). Certo, la prassi ha dimostrato il contrario (avallata anche da interpretazioni significative di dottrina e giurisprudenza), tuttavia, le caratteristiche dell’urgenza” e della “necessità” tipiche del decreto legge continuano ad essere in conflitto diretto con la materia penale, che invece necessita di ponderatezza e di lucida valutazione. Senza contare poi che il decreto legge non convertito può determinare effetti irreversibili sulla libertà personale, come nella forma della misura cautelare. In poche parole, intervenire con il decreto legge non è mai una scelta saggia e rispettosa dei principi costituzionali.

4. Il reato deve essere descritto in modo chiaro e preciso
Quarto punto. Principio di tassatività e di precisione. Il rispetto della riserva di legge penale (qui si riduce all’osso) impone che i reati debbano essere descritti dal legislatore in modo chiaro, preciso, univoco e soprattutto senza lasciare spazi a interpretazioni eccessive (si direbbe analogiche) da parte della giurisprudenza. In pratica, se si vuole reprimere l’organizzazione di un “rave party”, si dovrebbe indicare in modo tassativo il fenomeno, descrivendolo ad esempio come “evento musicale abusivo e non autorizzato dalla pubblica autorità”, senza tipizzare, invece il “raduno” come evento generico.
5. L’uso dei reati di condotta
Quinto punto. La classificazione del reato in base alla struttura del fatto. Si può distinguere fra reati di evento e reati di condotta. Solo i primi prevedono che per la consumazione del fatto di reato si verifichino degli “eventi”, cioè delle conseguenze lesive reali e concrete del bene tutelato (es. omicidio, violenza sessuale, etc); i secondi invece sono puniti per il semplice fatto di aver realizzato un’azione o un’omissione: è irrilevante che dalla condotta scaturisca un evento (es. associazione mafiosa).
In poche parole, dunque, i reati di condotta e di pericolo, come il nuovo 434-bis c.p. non prevedono che dalla riunione di più persone derivi concretamente un danno alla salute, all’ordine pubblico o all’incolumità. E’ sufficiente il pericolo di un potenziale danno. Dato che questi reati “anticipano” l’intervento dell’azione penale è sempre preferibile utilizzarli per proteggere la società da comportamenti particolarmente gravi e intensi, come terrorismo e associazione mafiosa.
6. E se è un minore ad organizzare un “rave party”?
Sesto punto. Rapporto con il diritto penale minorile. L’ordinamento prevede un’articolazione della risposta penale decisamente diversa e più clemente proprio in virtù della giovane età di chi sbaglia e commette un reato. Per un minore, la reclusione in carcere dovrebbe essere impensabile e comunque riservata solo ai reati gravissimi, come l’omicidio. Cosa accade se è un minore ad organizzare un “rave party”? Rischia da tre a sei anni di carcere.
7. L’uso delle intercettazioni
Settimo e, fin qui ultimo punto. Gli aspetti processuali. La norma consentirebbe l’uso delle intercettazioni, in questo momento storico così fortemente criticate. Il giudice per le indagini preliminari potrebbe quindi mettere sotto controllo telefoni e chat per indagare sul fatto di reato. Solitamente le intercettazioni sono pensate per indagare su reati particolarmente gravi e di difficile prova, come terrorismo, corruzione, associazione mafiosa. E ora anche per i rave party?

Insomma, si potrebbe ancora andare avanti e snocciolare elementi e profili ulteriori per discutere dell’opportunità di questa norma. Tuttavia, il compito chiederebbe l’intervento di più soggetti e di più tempo. Ma fin da ora è possibile sicuramente registrare un cambio di passo netto rispetto alla politica penale precedente, decisamente più attenta all’uso del diritto penale e soprattutto della reclusione.
Delle domande però, come direbbe qualcuno, sorgono così spontanee: era necessario intervenire con una nuova norma penale? Non esistevano già altri reati in grado di contenere il fenomeno? Non esistevano poteri adeguati in capo alle autorità per controllare il territorio e l’occupazione abusiva di terreni e proprietà?
Esistono norme che impongono ai proprietari pubblici e privati di vigilare sui beni di proprietà? E’ giusto non responsabilizzarli? Si poteva intervenire con una legge del Parlamento? Può questa norma colpire altri fenomeni diversi dal rave party, come le manifestazioni studentesche di piazza o in università o gli scioperi autorizzati e non dei lavoratori – vien da pensare a Portella della Ginestra- ?
Al lettore l’ardua sentenza. Questo commento è servito solo a far pensare.
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«Art. 434-bis (). – L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso puo’ derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumita’ pubblica o la salute pubblica.
Chiunque organizza o promuove l’invasione di cui al primo comma e’ punito con la pena della reclusione da tre a sei anni e con la multa da euro 1.000 a euro 10.000.
Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena e’ diminuita.
E’ sempre ordinata la confisca ai sensi dell’articolo 240, secondo comma, del codice penale, delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato di cui al primo comma nonche’ di quelle utilizzate nei medesimi casi per realizzare le finalita’ dell’occupazione.».
2. All’articolo 4, comma 1, del codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, dopo la lettera i-ter), e’ aggiunta la seguente: «i-quater) ai soggetti indiziati del delitto di cui all’articolo 434-bis del codice penale.».
3. Le disposizioni del presente articolo si applicano dal giorno successivo a quello della pubblicazione del presente decreto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.