RARITÀ DAL CINQUECENTO: LA MANIERA DI DANIELE DA VOLTERRA

di Valerio Tripoli

RARITÀ DAL CINQUECENTO: LA MANIERA DI DANIELE DA VOLTERRA

di Valerio Tripoli

RARITÀ DAL CINQUECENTO: LA MANIERA DI DANIELE DA VOLTERRA

di Valerio Tripoli

“Quando un’opera d’arte viene sottratta alla vista anche solo di una o due generazioni di studiosi, l’opera d’arte sparisce. E il rivederla è sempre una riscoperta”.

Così Barbara Agosti, curatrice della Mostra dedicata a due opere di Daniele da Volterra di proprietà dei Conti Pannocchieschi d’Elci, insieme a Vittoria Romani, riassume tutto l’orgoglio di aver ridato luce e visibilità a due opere poco frequentate dagli stessi studiosi e che definire misconosciute al grande pubblico è dir poco.

Alle Gallerie Nazionali di Arte Antica, infatti, nella splendida sede trasteverina di Galleria Corsini, su via della Lungara, da oggi, 17 Febbraio, sino al 7 Maggio, sarà possibile godere della esposizione al pubblico delle due opere di Daniele da Volterra: e il beneficio, lo si dica, non sarà solo del più o meno nutrito gruppo di addetti ai lavori che probabilmente giungerà a Roma per l’occasione, ma anche dei semplici appassionati e visitatori delle meraviglie artistiche romane: tra le sale della Galleria, che abbiamo paura ad aggettivare per non apparire troppo enfatici e riuscire comunque poco a dare un’idea di quello che si può provare, un percorso nel percorso conduce direttamente alla sala dedicata a questo allestimento. WhatsApp Image 2017-02-17 at 11.15.20

Passando distrattamente nientepocodimeno che davanti a un Caravaggio, si accede ad un ambiente non ampio, quasi in penombra, ove una illuminazione poco innovativa e che pure fa tutto il suo dovere, fa cadere l’occhio direttamente sulle due opere, nonché, a fianco, sulle due loro riflettografie. Il resto, in quell’ambiente, come se non ci fosse.

Sulla parete a sinistra dell’ingresso, ecco che appaiono i soggetti della mostra: si tratta della tela con Elia nel deserto e della tavola con la Madonna con il bambino, san Giovannino e santa Barbara, sottoposte a vincolo di tutela sin dal 1979 ma di proprietà privata e conservate nel senese, per cui raramente visibili.

Per quanto poste al di fuori della quadreria della Galleria, però, le due opere dialogano con alcune altre degli artisti esposte nelle altre sale (di Marcello Venusti e Jacopino del Conte, in particolare), in quanto coeve della metà del Cinquecento e tutte legate al mondo espressivo di Michelangelo, che sconvolge come un uragano l’esperienza artistica del secolo, tanto che pare far scaturire dal proprio occhio l’intera ricostruzione della città di Roma, appresso il sacco dei Lanzichenecchi.

Infatti, Daniele da Volterra è uno dei pochi artisti del tempo che riesce ad avvicinare il Buonarroti, notoriamente restio ad avere allievi o collaboratori, e la sua prima formazione presso Pierin del Vaga, a sua volta allievo di Raffaello, viene a tramutarsi, assumendo tutta la potenza del tratto e il titanismo glorioso tipici di Michelangelo. E per quanto il nome di Daniele da Volterra sia poi passato alla storia con l’appellativo di Braghettone, censore per come si trovò ad essere delle sante terga e delle divine nudità del celeberrimo giudizio della Sistina, mai abbastanza si sottolineerà la devozione e la vicinanza, anche umana, dell’artista al Buonarroti, tanto vicina che, a imitazione del grande, gli ultimi anni di vita di Daniele da Volterra saranno anch’essi dedicati prevalentemente all’architettura, a lasciare le commissioni di pittura alla bottega e agli allievi.

Daniele Da Volterra
Madonna col Bambino, san Giovannino e santa Barbara

Ai primi anni ’40 del Cinquecento risale la tela di Elia nel deserto e segna gli esordi romani dell’artista, ancora molto vicino alle grazie post-raffaellite apprese alla scuola di Pierin del Vaga. La rarefatta ambientazione, con le rovine sullo sfondo, dialoga però, già adesso, con una monumentalità della figura del profeta che non ci si aspetterebbe: difatti, Michelangelo aveva già scoperto la volta della Sistina, e i suoi profeti avevano lasciato il segno negli occhi del nostro e degli altri artisti romani: la figura del vecchio Elia si staglia, col rosso del suo panneggio, ed è il colore che ne segna il vigore, più ancora delle forme, che pur virili, sembrano quasi chiassose, nel clima arcadico del contorno. Il tema del digiuno di Elia è, poi, rappresentato con una iconografia insolita, senza l’angelo che conforta il profeta, e con pane ed acqua massimamente in rilievo, in primo piano.

È la Madonna con il Bambino, san Giovannino e santa Barbara, però, che cattura il visitatore, nella sua grandezza e nei suoi colori caldi: la tavola, assai ben conservata, è testimone definitiva dell’influenza del Buonarroti su Daniele da Volterra: sono riproposte, pur nell’angusto spazio del dipinto, molte delle innovazioni spaziali ideate da Michelangelo nel più tardo Giudizio universale, con incastri, scorci, primi piani e intrecci, ai piedi di una torre abbracciata da Santa Barbara, di cui è simbolo, insieme alla spada, che àncora alla destra di chi osserva tutta la struttura compositiva. E la riflettografia, a fianco, qui più efficace che non nell’Elia, perché il legno della tavola ha lasciato meglio impressi i tratti preparatori del dipinto che non la tela dell’altro, ha evidenziato come una accurata preparazione grafica dell’opera, fatta con matita rossa e blu, punti demarcanti gli spazi d’ombra, tratti più fitti in prossimità delle mani, siano chiaro segno che, ormai, di Michelangelo, il nostro non ha ripreso solo le forme finali, ma addirittura i modi di costruire l’opera stessa.

Con l’ultimo Michelangelo, Daniele esprime la Maniera, che non è, però, ancora  « la cicatrice lasciata dall’espressione in un linguaggio che già non è più in grado di realizzare un’espressione », per come Adorno definisce un analogo manierismo, quello mahleriano, e che è definizione valida per qualunque manierismo propriamente detto; qui, ancora, si tratta di una Maniera che pare ritrovare la sua specifica funzione nel sabotare, per mezzo di un dialetto tutto personale, del Buonarroti e del nostro, un linguaggio pittorico e spaziale ormai banalizzato, e che non è in grado di resistere ai colpi censorii della Controriforma. WhatsApp Image 2017-02-17 at 11.15.21

Si esce, allora, dalla Galleria, tra la calda luce di un febbraio assolato, paghi dell’equilibro che la rarità di queste due opere trasmettono all’occhio, innamorati dell’intera Galleria, illuminati dal Giardino botanico che, dietro Palazzo Corsini, si staglia, in ascesa, verso il cielo del Gianicolo.

La mostra è aperta dal 17 Febbraio al 7 Maggio 2017. Lunedi, Mercoledì e Sabato, dalle 14:00 alle 19:30. Domenica, dalle 8:30 alle 19:30. La biglietteria chiude alle 19:00.

 

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