QUESTO È UN RACCONTO CHE PARLA DI OTTOBRE

di Cara Futura Rigby

QUESTO È UN RACCONTO CHE PARLA DI OTTOBRE

di Cara Futura Rigby

QUESTO È UN RACCONTO CHE PARLA DI OTTOBRE

di Cara Futura Rigby

RACCONTO DI OTTOBRE

Questo è un racconto che parla delle stagioni.
Anzi, più che delle stagioni, dell’avvicendarsi del tempo.
Anzi, più che del tempo, parla di un mese preciso.
E più che di un mese preciso, parla di te.

Questo è un racconto che parla di quei giorni in cui ognuno, per appuntamento sincronico, vede allineare le proprie vicende intorno ad un mese preciso, di anno in anno, ogni volta e ancora, perchè “a me certe cose capitano solo e sempre a marzo”.
“A me a luglio, invece”.
E vallo a dire ai Green Day che intimavano all’uscita immediata e indolore da quel mese che era settembre.
E questo è un racconto che parla di ottobre.
Parla degli ottobri di A e del fatto che ora è ottobre.
Parla di un ottobre di due anni fa in cui scoppia una bomba nella vita di A, scoppia una bomba nella sua pastorale romana, scoppia una granata nel candore di una vita tranquilla, che tranquilla non era, una vita tranquilla già ampiamente lacerata sotto un apparente vestito di macramè, inamidato e stirato.
Parla di un ottobre e di un piede rotto per salutare Toni Servillo.
Parla di A che è abituata a fare 239 cose contemporaneamente ed è abituata a compierle per distrarsi in continuazione, per distrarsi dal resto della vita che la affatica e a cui non vorrebbe badare.
Parla di A che cade dal marciapiede mentre saluta Toni Servillo.
Parla del bassista di un gruppo sconosciuto che vede la scena, vede A cadere e la conduce all’ospedale più vicino tra le lacrime e l’incredulità di una che piena di buste, con le Birkenstock ad ottobre, agita braccia e mani per farsi notare. E finisce sotto il fuoco amico della vergogna per salutare il suo attore preferito.
Parla di un ottobre e di un viaggio rimandato per colpa del gesso e del pianto e della granata scoppiata pochi giorni prima.
Parla del piede rotto e di Toni Servillo.
Parla di un novembre successivo alla frattura scomposta, parla della vigilia di uno di quei viaggi la cui retorica direbbe che le cambiarono la vita per sempre e invece sì, gliela cambiarono davvero e cara retorica, rassegnati perchè gliela cambiarono sul serio.
Questo racconto parla dei viaggi a Milano e sì, parla di quei viaggi.
E parla anche di te, ma che nessuno sa che sei te.
Questo racconto parla della prima sera a Milano. Parla del freddo.  Parla di falangi, nasi, arterie femorali e pensieri congelati. Parla dell’unica cosa viva che erano le loro parole.
Parla di una notte lunga a camminare e a parlare, parla delle colonne di San Lorenzo e di A che aveva bevuto.
E parla di te che avevi bevuto. E di tutte le altre volte in cui hanno bevuto e mangiato e riso e raccontato il riassunto di una vita, di un inverno, di un’estate, del tempo che li divideva dal prossimo treno alla successiva discussione, alla seguente rottura e alla prossima pace temporanea.
Parla dei treni che presero, delle valigie che non si chiudevano tanto era la resistenza di una zip e di un affetto. Parla della voce metallica delle stazioni che divenne così amica da tramutarsi in voce familiare.
E parla dell’inverno, della stagione dei piumoni sotto il peso della pelle e delle notti sotto il peso del respiro, dei suoi piedi sotto il peso dei tuoi, parla dei soffitti osservati in ogni stagione, parla del fatto che A non si è mai addormentata prima di te e solo dopo di te. Parla di A che girava il capo a sinistra per vedere se ancora c’eri e infatti c’eri davvero. E parla del fatto che solo così poteva concedersi il condono a dormire.
Questo racconto parla dell’ottobre di un anno fa, cioè dell’ottobre dell’anno dopo e parla di un incidente in motorino accaduto per rispondere ad un tuo messaggio.
Parla delle distrazioni di A e dei suoi occhi che si chiusero e non la fecero frenare.
Parla di A che è abituata a fare 239 cose contemporaneamente ed è abituata a farle per distrarsi in continuazione, per distrarsi dal resto della vita che la affatica e a cui non vorrebbe badare.
Parla di un ottobre, in cui stavolta non c’era un piede rotto e Toni Servillo, ma ci fu una frenata mancata, una frenata mancata sulla vita e un incidente con Carlo, che, oltre a diventare l’intestatario di un fortuito CID, divenne con i mesi anche un amico caro, testimone di amori lontani e turbati, conosciuto per caso, conosciuto per colpa delle loro liti, dell’incompatibilità di A col mondo e con l’impossibilità a decelerare quando si trattava dei tuoi ricorrenti moniti alla distanza.
Questo racconto parla di un brutto ottobre, di un bel Carlo, parla di te che fermo sulla Terra non ci sai stare e parla di A che ferma sulla Terra ci sta sempre traballante.
Questo racconto parla di un novembre e di un dicembre e di un anno nuovo che li videro rincontrarsi dentro un’orbita terrestre. E parla di un altro inverno di piedi freddi a Milano, di cose non dette da dire dal vivo, di cose dette da ridire lontano.
Questo racconto parla di questo ottobre, che sta per finire puntuale e disteso, senza un gesso e senza un incidente, che sembra già un miracolo della “Santissima signora protettrice di chi nel mondo ci si ritrova per caso e vorrebbe viverlo al meglio di un libretto di istruzioni per cassettiere svedesi”. Fine della santificazione. Dio mio quanto era lunga questa frase.
Questo racconto parla di questo ottobre e del fatto che non furono mai più programmati viaggi a Milano e non furono mai più programmati viaggi a Roma.
Questo racconto parla di questo ottobre e del fatto che Skype e un aprile non li condussero più a vedersi, non li condussero più a vedersi da tempo.
Parla del fatto che oggi A non ha un gesso e non ha un incidente all’attivo, ma parla del fatto che forse baratterebbe una slogatura alla caviglia e una rigatura al parabrezza per un treno e per i racconti scomposti e felici che erano freddi e tremanti, che erano caldi e affannati, che erano le scuse per guardarti e non capire niente di quello che dicevi.
Questo racconto parla delle cose che passano in certi ottobri, parla delle vite che decidono di allinearsi ad appuntamenti precisi dentro mesi precisi.
Questo racconto parla di questo ottobre e di una lettera che A ha scritto a mano.
Parla di una lettera scritta a mano, ferma sul tavolo da due giorni.
Questo racconto parla dei mesi in cui non scoppiano bombe e tutto sembra silente.
Parla del silenzio contenuto in una busta da lettera appoggiata su un tavolo.
Parla dei silenzi che precedono le note assordanti di una rivelazione e di una rivoluzione.
Parla del fatto che le vite tranquille non sempre sono le vite desiderate e che le email non sempre sono mezzi d’amore per trasportare un cuore.
Parla del fatto che un cuore non si comprime dentro un cavo elettrico, ma può giusto piegarsi e posizionarsi dentro una busta da lettera.
Un cuore non può farsi più leggero, ma può solo trattenere meglio un respiro.
Il tempo giusto di cadere in una buca delle lettere, il tempo giusto di essere raccolto da un postino, il tempo preciso di salire su un treno per arrivare fin lì.
Stavolta A non ce l’ha il coraggio di riprendere un treno e scendere su una banchina.
Ma un cuore in busta sì, dice.
Sembra che i cuori in busta siano più eroici di quelli indifferenti e seriali, inscatolati dentro un pc.
Questo racconto parla dei mesi e delle sincronie in cui la vita ci dà appuntamento ogni anno e ogni volta, senza nemmeno accorgersene.
Parla del fatto che attendiamo quei mesi con tormento e inquieta tensione, con l’attesa incerta di cosa potrebbe accadere stavolta.
Questo racconto parla degli ottobri di A, parla degli ottobri passati e perpetui, di piedi rotti e congelati, di Carli conosciuti per caso e CID con la vita.
Parla di questo ottobre e di cuori in busta da lettera.
Questo racconto parla dei mesi a destino sincronico per ognuno di noi.
Parla del fatto che tutti avremmo diritto ad una lettera da trovare nella buca della posta e che tutti avremmo diritto a ritirare la nostra dose di parole mai dette e di coraggio mai assunto in bustine bollate da 5mg di antidolorifico.

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