QUELLE CHE PIACCIONO A TE

di Cara Futura Rigby

QUELLE CHE PIACCIONO A TE

di Cara Futura Rigby

QUELLE CHE PIACCIONO A TE

di Cara Futura Rigby

Io le ho viste. Quelle che forse piacciono a te.
Hanno come minimo due cognomi e un nome esotico, uno chignon perfetto, almeno capelli lunghi fino all’ombelico.
Foto che sembrano scattate da fotografi di altri tempi, in posti meravigliosi e in pose che io non raggiungerei nemmeno se mi rinchiudessero in un corso di portamento fustigata da Kim Basinger e biasimata da Anna Dello Russo.
Hanno immagini interessanti, con citazioni acute.
E sembrano anche sufficientemente impegnate: politicamente, socialmente, nel mondo.
Mi sono messa allo specchio a pettinarmi, ore ed ore, per uno chignon perfetto e a darmi un nome unico e originale. Ho tentato ore ed ore di camminare avanti e indietro con i tacchi per casa.
Poi, per tutte quelle ore, il mio bene per te mi ha fissato, immobile e fermo all’angolo del salone.
Era lì che mi guardava.
Il mio affetto per te, io c’ho provato, dice che lo chignon gli sta scomodo, che sta meglio con i capelli fuori posto e un elastico usato. Dice che vorrebbe dare ai capelli la libertà di andare e tornare, la libertà del sale del mare. Che ad un fermaglio di metallo, preferisce un elastico vecchio che contenga i ricordi dei tempi passati, che li tenga stretti e vicini al calore della mia mente.
Ho detto al mio bene di vestirsi meglio, con un cappottino compiuto e disteso. Dice che preferisce i piumini caldi e anche goffi, perchè i cappottini saranno pure belli, ma non tengono calore a tutto l’affetto per te.
E io gliel’ho detto che ha le gambotte un po’ troppo cicciotte, che dovrei metterlo a dieta, ma lui dice che si nutre della sostanza delle cose buone, che si nutre di tutto ció che rende vivo un amore.
E io gliel’ho detto di bere di meno, di mantenere un atteggiamento più pacato e composto, ma lui dice che si sta allenando alle risa che riserva a te, a quelle di quando insieme berrete e il tempo sarà solo da dimenticare.
E io gliel’ho detto di darsi un nome, che “bene” è poco originale e troppo comune, ma lui dice che cosi lo riconoscerai meglio, con una B panciuta e due E a sei braccia per stringerti di più.
E io gliel’ho detto di mettersi i tacchi e stare in alto, ma lui dice che con le scarpe da ginnastica riesce a correre meglio, riuscirà a correre quando ti vedrà.
E io gliel’ho detto di farsi foto in gruppo, alle feste con molte persone, ma lui dice che stare in compagnia non è in conflitto con lo stare soli, che si allena a stare solitario per raccontarti cosa ha fatto da solo e per ascoltare cosa hai fatto tu. E per pensare a ció che si puó fare insieme quando si uniscono due solitudini.
Quando lo porto alla fermata dell’autobus, ogni giorno, il mio bene per te ha la pazienza di un’attesa giornaliera, ha la costanza dell’attesa di un pullman di mattina presto.
Ogni mattina ha lo chignon scomposto, un piumino bombato, le scarpe da ginnastica, le gambette morbide, un nome di sole quattro lettere, stringe tra le mani una sua foto di quel giorno da solo al cinema.
Gli do un bacio in fronte e lo saluto con amore.
Gli dico ogni mattina “ma come fai?”
Lui mi sorride e con i piedi dondolanti sulla panchina, mi dice “io sto qui, vedrai che prima o poi si girerà”.
Dice che i tacchi e lo chignon si comprano al supermercato.
E a lui non lo ha mai comprato nessuno.

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