Non basta una cerimonia inaugurale più da Olimpiade che da Mondiale del pallone, con messaggi di inclusione a profusione… non bastano la star Morgan Freeman, l’influencer disabile Ghanim Al Muffah e neppure le parole in conferenza stampa del presidente della Fifa, Gianni Infantino: “Oggi mi sento qatarino, oggi mi sento arabo, oggi mi sento africano, oggi mi sento gay…”.
Tutto questo non basta a nascondere contraddizioni e ipocrisie di un evento da 210 miliardi. Tanti soldi non cancellano del tutto la questione dei diritti umani negati.
Infantino, per esempio, in Qatar non potrebbe essere gay perché per gli emiri l’omosessualità è una malattia mentale da guarire col carcere, fino a sette anni. Con buona pace dei capitani coraggiosi che volevano indossare la fascia arcobaleno, ma che hanno rinunciato per il rischio di un’ammonizione.
Così come il numero 1 della Fifa non potrebbe essere donna perché qui vige il “sistema di tutela maschile”: non ci si sposa, non si lavora, non si viaggia e un altro po’ neanche si respira senza il consenso di un uomo.

Infantino potrebbe vedersela brutta da lavoratore immigrato… come quelli che hanno costruito queste bellissime cattedrali intitolate al calcio… un’inchiesta del Guardian ha rivelato che dal 2010 hanno perso la vita più di 6500 operai provenienti dall’Asia Meridionale… tutti morti nei cantieri proprio per garantire al Qatar un mondiale da sogno…
Ma senza birra, proibita negli stadi, ai tifosi semplici. Non ai vip, nelle loro aree riservate, nessun divieto.
In compenso, un mondiale con impianti di aria condizionata super inquinanti di cui ha già potuto beneficiare ieri in tribuna Antonio Guterres, il segretario generale delle Nazioni Unite, lo stesso che pochi giorni fa alla COP27 di Sharm el-Sheikh attaccava proprio l’inquinamento provocato dall’uomo come “un’autostrada verso l’inferno“, ma – si sa – il calcio e tutto ciò che gli gira intorno val bene una messa… in scena.