Popolo Mesopotamico- la prosa

di Ludovica Tripodi

Popolo Mesopotamico- la prosa

di Ludovica Tripodi

Popolo Mesopotamico- la prosa

di Ludovica Tripodi

Se non fossimo al tramonto del 2019 e se stessimo studiando una pagina di storia moderna leggeremmo, continuando il periodo ipotetico dell’irrealtà, che l’Impero Ottomano abbia ricominciato il suo progetto egemone verso la Siria del Nord e che il trentasettesimo sultano turco abbia ripreso la sua avanzata ed il suo progetto di conquista. A contrasto di questo folle progetto, nel continente, un’Europa balbuziente e, oltreoceano, un Presidente degli Stati Uniti confuso. 

Ma siamo al tramonto del 2019 e la realtà è ben diversa: essa si cela dietro lo scambio o il baratto fra 3 milioni di rifugiati siriani e qualche centinaio di migliaia di curdi, quelli siriani. 

Ad opera di chi? Nessun sultano ottomano, ma il Presidente della Repubblica presidenziale turca, Recep Tayyip Erdogan. 

 E a danno di chi? Di un popolo mai nato, privo di un territorio nazionale permanente, che dalla fine della Prima Guerra Mondiale, che vide la sconfitta dell’Impero Ottomano, spera nella creazione di uno Stato curdo come promesso dagli alleati occidentali, vincitori della guerra. Un popolo senza nome sparso tra Siria, Iran, Iraq, Armenia e Turchia che sta vivendo un altro sterminio dopo quello avvenuto nel 1991 a Nord dell’Iraq, durante la Prima Guerra del Golfo, che vide il ritorno al potere di Saddam Hussein. I curdi furono espulsi dal paese e si diressero verso la Turchia dove furono sterminati dall’esercito di Ankara. 

In Siria del Nord, oggi, si muore. Si muore senza lacrime, senza indignazione e a causa di un’operazione chiamata beffardamente “Fonte di Pace”. Si muore, ma da eroi, ai bordi delle strade; si muore per compiere lo sterminio di una cultura, di una lingua, di una religione, di una tradizione. Si muore per operare una vera e propria damnatio memoriae. 

A nulla valgono le dichiarazioni confuse e convulse provenienti dai vari angoli della Terra, dagli Stati Uniti, alla Russia, alla, per ora inconsistente, Unione Europea. Solo di facciata sembrano, infatti, le promesse di embargo delle armi alla Turchia. 

I fatti parlano chiaro e ciò che sta accadendo in quei luoghi fertili, che hanno dato la vita ai primi popoli testimoniati dalla storia, è che il Sultano-Presidente Erdogan stia invadendo un territorio di 500 chilometri di lunghezza e 32 chilometri di profondità tra il confine iracheno e il fiume Eufrate, corrispondente all’8% del territorio siriano, con lo scopo, prima, di renderlo privo di vita umana, poi, di ripopolarlo con 3 milioni di profughi, vittime della Guerra civile siriana. 

L’ennesimo furto dell’identità curda.

Dopo giorni di comunicati stampa, di dichiarazioni rese nei salotti televisivi, il 14 ottobre 2019 in occasione del Consiglio europeo Affari Esteri, i 28 paesi membri hanno condannato “l’azione militare della Turchia la quale mina gravemente la stabilità e la sicurezza dell’intera regione, causando un aumento della sofferenza dei civili, ostacolando gravemente l’accesso all’assistenza umanitaria”. L’Unione Europea si è dichiarata, inoltre, “impegnata per l’unità, la sovranità e l’integrità territoriale dello Stato siriano” ed ha ricordato la decisione presa da alcuni Stati Membri, tra i quali anche l’Italia, di bloccare immediatamente le licenze di esportazioni di armi in Turchia, solo per le forniture future e non anche per quelle già accordate. L’Italia, paese che “ripudia la guerra”, tramite il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ha confermato la posizione europea, dichiarando che nelle prossime ore, oltre alla formalizzazione di tutti gli atti per bloccare l’esportazione di armi alla Turchia, verrà aperta anche un’istruttoria per i contratti di fornitura vigenti. 

Parole confuse, promesse che forse verranno mantenute. 

Ciò che conta è che a pochi chilometri dalle nostre coste si sta consumando un massacro, si sta togliendo ad un popolo il diritto di esistere, si sta negando ad una generazione il diritto di sognare uno stato nazionale permanente ma soprattutto il diritto di sperare che lo sforzo curdo nella battaglia contro l’ISIS per difendere la nostra Europa ed il lontano Stato di Trump non sia stato vano. 

Di fronte a ciò che importanza dare a dispute diplomatiche, parole ufficiali ed ufficiose e dichiarazioni pompose? Che importanza dare a tutto ciò, se intanto, alla frenesia delle parole si contrappone l’immobilità di corpi martoriati?

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