Politiche internazionali in formato slogan

di Emanuela Frate

Politiche internazionali in formato slogan

di Emanuela Frate

Politiche internazionali in formato slogan

di Emanuela Frate

La vicenda dell’Aquarius, la nave con a bordo 629 migranti tra cui donne incinte, bambini e minori non accompagnati, sta mettendo a ferro e fuoco l’intera Europa e sta facendo venire al pettine tutte le incongruenze di un’Europa disunita. D’altronde, era questo l’obiettivo del neo Ministro dell’Interno  Matteo Salvini che, durante la campagna elettorale, ha battuto molto sul tema “sbarchi” promettendo di fermare l’immigrazione incontrollata o “deportazione di massa” come lui stesso aveva dichiarato e annunciando un nuovo rapporto paritetico con i partner europei accusati di riversare tutte le responsabilità di un esodo senza precedenti verso l’Italia. Fin qui le parole condivisibili o meno che il neo ministro ha voluto concretizzare chiudendo i porti italiani in una delle prime ondate migratorie che hanno interessato il neo governo giallo—verde. Così la nave Aquarius che aveva trasbordato in diverse operazioni i migranti fuggiti dall’Africa ha dovuto attraccare, domenica mattina, dopo un lungo tira e molla con l’isola di Malta e dopo alcuni giorni a vuoto nel canale di Sicilia, in Spagna. Una vittoria per il Governo che sostiene di aver dato un segnale forte ai partner europei, una prova muscolare sulla pelle di migranti per le opposizioni. Intanto si sono scatenati i commenti soprattutto sui social: al capo del Viminale sono state rivolte accuse di fascismo; le Ong, al contrario sono state tacciate di favorire l’immigrazione clandestina e di essere i nuovi negrieri, il tutto condito da un neocospirazionismo di chi evoca il piano Kalergi volto alla sostituzione etnica dei popoli europei. Ma, al di là dei toni di certi commenti televisivi e non, questa vicenda ci insegna quanto sia delicato il fenomeno dell’immigrazione e come esso non possa e non debba esser risolto con slogan o proclami ad effetto bensì con politiche europee di ampio respiro che non si limitino alla difesa dei porti nazionali e al respingimento dei migranti irregolari.

Il problema di molti governi, italiani ed europei, è quello di trattare il problema migratorio hic et nunc, come se fosse un episodio sporadico cui bisogna mettere un argine. Ciò che manca è una visione d’insieme che consideri il fenomeno dal punto di vista demografico, sociale, economico, climatico. Sicuramente è molto più complesso spiegare tutti questi aspetti ad un’opinione pubblica che si esalta nel sentire affermazioni forti come “chiudiamo tutti i porti”, “è finita la pacchia”, con dei politici che fanno le dirette su facebook e misurano la propria popolarità in base ai like ottenuti. La miopia delle classi dirigenti che si sono succedute nel corso degli anni, sprovviste di una visione a lungo termine, ha contribuito a far firmare atti che sono oggi una spada di Damocle per gli italiani. Si parla del Trattato di Dublino siglato nel 1990, entrato in vigore nel 1997, sostituito da Dublino II e nuovamente modificato con Dublino III nel 2013.

Eppure, non ci volevano capacità divinatorie per capire che l’Africa stava esplodendo demograficamente come una bomba ad orologeria, che le rivoluzioni arabe si sarebbero diffuse a macchia d’olio tant’è che oggi tra Africa e Medio Oriente si contano almeno 33 conflitti e focolai di guerre cui vanno aggiunti i mai sopiti conflitti in Asia centrale (Afghanistan, Pakistan; Cecenia, Kashmir) e che si sarebbero riversati tutti verso l’Europa. Il solo elencare tutti questi conflitti bellici dà l’idea di quanto sia inutile parlare di porti chiusi o di fili spinati. Finché l’Europa manterrà un atteggiamento paternalistico verso l’Africa, da un lato aiutando queste popolazioni, dall’altro depredandone le ricchezze grazie alla collusione di governi fantoccio corrotti che fanno affari con le multinazionali che depauperano quei popoli e quei luoghi; finché non ci sarà una vera e propria emancipazione femminile che sleghi le donne da un loro ruolo propriamente procreativo; finché non si combatterà la magia, la superstizione, il fanatismo religioso non ci saranno barriere che reggono. Anziché spendere milioni di euro per stringere accordi con personaggi che non si sono distinti per il rispetto dei diritti umani come Racep Tayep Erdogan in Turchia o con le tribù libiche sarebbe meglio investire in cooperazione internazionale per aiutare la ricostruzione in loco, allentare le norme stringenti per l’ottenimento di un visto dando così l’opportunità a chiunque di poter viaggiare indipendentemente dalla provenienza geografica e aprire nuovi corridoi umanitari da chi fugge da situazioni di estremo pericolo. Siglare nuovi patti e convenzioni europee, stringere nuovi accordi bilaterali con i Paesi di transito, optare per chiusure o blocchi navali rischia di essere non una soluzione ma un effimero palliativo.

 

di Emanuela Frate, all rights reserved

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Articoli Correlati