PIÙ A NORD DEL MURO

di Edoardo Orlandi

PIÙ A NORD DEL MURO

di Edoardo Orlandi

PIÙ A NORD DEL MURO

di Edoardo Orlandi

Più a Nord del muro

Dietro gli alberi un giorno il freddo cadrà. Cesserà di esistere come questi alberi, e questo muro tagliente, affilato, che divide le lingue latine dai ruscelli e dalle pozze scozzesi.

Dietro le spalle la linea di mattoni, ed al di sotto di questa la chiamata della cena: uno stufato che mi attende caldo, ribollito di ricordi scaduti servito nuovamente da mani conosciute. È allora che si oltrepassa il vallo per il nord con una compagnia sprovvista di nave e remi.

Dopo ore di viaggio il culo cede, il collo è intrappolato da una strega, ed il primo riparo sembra il posto giusto per sedersi e mangiare i rimasugli rimasti nelle borse, nelle tasche, nelle bisacce bucate dove ricordavi, maledetto, di aver lasciato il formaggio più buono.

È nell’ombra del riparo che abbiamo conosciuto i Caledoni e, senza aspettarcelo, ci hanno preso per mano, strattonato verso la musica dei loro villaggi. Ogni ora, ogni minuto è pervaso dalla musica incessante che rimbalza sui muri delle capanne, che ondeggia sui laghi e gli acquitrini collosi.

I Caledoni escono dall’acqua sazi di rospi, con le mani raggrinzite per l’eccessiva permanenza. Ci accolgono gioiosi, quando la storia insegna che ci avrebbero dovuto sbranare; e ballano per ore ed ore, di ora in ora. Ora continuano sulle colline. Ora sulle radici dei cipressi o sopra le calotte dei forni di panettieri e fabbri, senza accorgersi della fatica e del lutto. Sentono che il giorno sta per finire ma questo non è un buon pretesto per smettere di ballare. Anzi ritoccano i tamburi, richiamano le cornamuse affaticate ed assaggiano il sangue dei nemici: utile per crepare la crosta della loro coscienza.

Una patina umida ricopre i paesaggi lunghi verso nord. I sentieri ci guidano in nuovi villaggi ma è sempre la stessa musica quella che ci accompagna dolce, malinconica.

Poi, di sorpresa, arriva l’aria calda dal mare ed i Caledoni capiscono che è il momento di finirla. Si siedono per terra. Si sdraiano sulle ultime note della fisarmonica in lontananza, e contemplano per la prima volta il cielo dopo tanti anni, placano l’affanno dopo troppi secoli. Ogni volta scoprono quella sublime sospensione che rintocca quando la terra cessa di tremare, che rincasa quando il silenzio assopisce il pensiero.

Aspettiamo stupiti che qualcosa accada, e ci voltiamo incuriositi alla ricerca di una movenza, di un pretesto che ci indichi il perché del blocco.

Frad, la nostra guida, ci spiegherà poi il motivo del silenzio tra i Caledoni e ci racconterà di come una volta, ancor prima del ferro e del bronzo, anche i popoli al di là del muro colmavano la vita ballando. Tutte le genti dell’isola si muovevano aspettando l’unico momento di silenzio. Si spremevano giorni e giorni con la mente già sulle note di quei minuti muti, divenuti poi minuto di secondi in secondo. Al di sotto del muro oggi la musica non finisce mai, finendo sotto il ticchettio dei passi, dei finanziamenti nelle piazze, sulla colla dei bollini. Ed il silenzio si è scordato tanto facilmente. Qui, nella Caledonia, c’è gente che ancora può parlare di quel silenzio, e di quella schiavitù per un ballo che deve avere però, anche qui ancora per poco, il tempo della resa.

Infatti ci siamo arresi.

Non si muove nessuno, nulla.

Siamo presi e appesi su.

Ora, sottili.

Siamo. E siamo tornati sulle note che riprendono dal sonno e si ricomincia e ci si rispecchia nella melodia dell’anno passato. Si è vecchi ma non importa; si è ormai sordi ma si continua a ballare, con la speranza di assaporare ancora un minuto di silenzio.

Di ritorno da un viaggio così lungo le crepe del muro si sono fatte evidenti, le rughe di Giulia, la plebea, si sono fatte profonde a forza di preparare stufati ad Antonio, che ora è grande e corre, suda, bacia, studia e balla senza freni.

Dopo un viaggio così lungo dietro non si può tornare se non per assaporare ancora una volta la musica nordica dei Caledoni, ed un silenzio che non si sente con le orecchie o con l’udito, che si crede di aver sentito. Un silenzio, un singhiozzo, quel che Dio concede, al di là dei muri, solo per brevi minuti.

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