Pittelli, un’enormità 26 mesi
tra carcere e domiciliari

Pittelli, 26 mesi tra carcere e domiciliari
ma neanche una sentenza

La vicenda di Giancarlo Pittelli dimostra come ci sia ancora molto da fare
nel rapporto tra il cittadino e la giustizia penale

di Stefano Pazienza

Pittelli, un’enormità 26 mesi
tra carcere e domiciliari

Pittelli, 26 mesi tra carcere e domiciliari
ma neanche una sentenza

Pittelli, 26 mesi tra carcere e domiciliari
ma neanche una sentenza

di Stefano Pazienza
Pittelli

Pittelli, un’enormità 26 mesi
tra carcere e domiciliari

Pittelli, 26 mesi tra carcere e domiciliari
ma neanche una sentenza

La vicenda di Giancarlo Pittelli dimostra come ci sia ancora molto da fare
nel rapporto tra il cittadino e la giustizia penale

di Stefano Pazienza

L’Avvocato catanzarese (ed ex parlamentare di Forza Italia) Giancarlo Pittelli  è stato arrestato nel 2019 nell’ambito della maxi inchiesta Rinascita Scott condotta dal procuratore Nicola Gratteri, il quale, in una pomposa conferenza stampa affermava che Pittelli rappresentava l’anello di congiunzione tra la ‘Ndrangheta e la società civile, un soggetto che aveva utilizzato il suo ruolo di difensore per aiutare le organizzazioni criminali ad eludere le indagini, finendo per diventare esso stesso un mafioso.

Non voglio però scendere nel merito di un procedimento di cui non conosco e di una persona che non conosco personalmente. 

Ma Pittelli è stato arrestato il 19 dicembre 2019, messo agli arresti domiciliari dopo più di un anno, domiciliari revocati per aver scritto una lettera alla parlamentare Mara Carfagna e poi ieri finalmente riconcessi dal Tribunale

Giancarlo Pittelli, avvocato ed ex parlamentare di Forza Italia

Risultato: 26 mesi passati tra carceri durissime (come quello di Nuoro) e arresti domiciliari senza che si sia arrivati neanche ad una sentenza di condanna di primo grado.

Ammettiamo, comunque, come mera ipotesi di lavoro, che l’avvocato Pittelli sia colpevole, che abbia fatto le cose di cui lo accusano.

E’ possibile che dopo due anni la Procura non riesca ancora a portare a condanna questo mafioso?

Quanti anni deve aspettare, non dico un innocente, ma anche un colpevole, per sentirsi dire da un giudice che è condannato e gli sia quantificata la pena?

Teniamo presente che la custodia cautelare (che un tempo si chiamava in modo lessicalmente più onesto “carcerazione preventiva”) significa che un soggetto è in carcere da innocente, in attesa che un giudice finalmente lo giudichi.

Legittima, ci mancherebbe, ma un’eccezione rispetto alla regola per cui un accusato attende la sentenza definitiva da uomo libero.

E se lo Stato in due anni non è in grado di decidere, siamo sicuri che tu debba aspettare la sentenza in carcere?

Se è vero che lo Stato ha tutto il diritto di processarti e anche, in certe condizioni, di farti attendere il giudizio in carcere, non sarà pure vero che si dovrebbe avere l’onere di giudicare il prima possibile?

26 mesi sono un’enormità. Per fare un paragone che ciascuno di noi comprende immediatamente: quando Pittelli è stato arrestato giravamo ancora senza mascherine e la parola Civid-19 non era stata ancora coniata!

È cambiato il mondo in questo tempo: ma Pittelli non riesce ancora a  finire il primo grado di un processo!

La vicenda Pitelli, in realtà, è solo uno spunto di riflessione per analizzare il rapporto tra il cittadino e la giustizia penale.

Se riteniamo che l’esigenza di combattere fenomeni criminali pericolosissimi (come certamente lo è la ‘Ndrangheta) sia talmente forte da poter obliterare l’esigenza di tutela dei diritti del singolo, allora diciamocelo chiaramente ed accettiamo quindi che, in base ad una sola accusa (non ancora vagliata nel merito neanche in primo grado), si possa stare due-tre anni in carcere, come il detenuto in attesa di giudizio di sordiana memoria.

Accettiamo, però, che ciò possa accadere a ciascuno di noi; perché non stiamo parlando di persone condannate per mafia ma di persone accusate di essere mafiosi (e che quindi ben potrebbero poi essere assolte dall’accusa).

Ma, per carità, sono prezzi che si possono anche accettare di pagare, per combattere la mafia; se poi qualcuno viene assolto lo rimborsiamo con ben 250 euro per ogni giorno passato in carcere e passa la paura! Nel frattempo, la tua reputazione è distrutta, la tua carriera anche, la tua famiglia non ne parliamo, magari ti è nato un nipote che nel frattempo ha iniziato a parlare e a camminare e che non ti ha mai visto in faccia. Ma avrai il portafogli pieno di questi bellissimi 250 euro al giorno, di che ti lamenti, è la lotta alla mafia, bellezza!

Ma, e mi permetto di estremizzare, se abbiamo deciso che combattere il fenomeno mafioso è talmente importante da poter tranquillamente calpestare i diritti umani, allora propongo anche dei metodi decisamente più efficaci e decisamente meno costi per il sistema penale.

Invece di spendere tutti questi soldi per fare dei processi, propongo i seguenti metodi, decisamente migliori per costi benefici: ogni accusato di mafia viene semplicemente messo a vita in un’isola deserta, senza processo tanto abbiamo capito che sono inutili riti che, come dice qualche magistrato, servono solo per far assolvere qualche colpevole. Potranno autosostenersi, coltivando e allevando animali, o in alternativa mangiandosi tra di loro. Tanto che ci frega, sono mafiosi!

Ogni accusato di mafia viene direttamente giustiziato sul posto in sede di arresto. A fronte magari di qualche “caduto innocente” avremo una risoluzione immediata del problema. Ammazziamo un sacco di mafiosi subito, e vedrete che in pochi giorni a quelli non acciuffati passa ogni fantasia di fare i delinquenti!

Risolviamo il problema alla radice. Poiché come si dice sempre i fenomeni mafiosi sono diffusi capillarmente nella società civile, tanto che a sentire Gratteri quasi vi sono pochissime persone perbene a fronte di un gran numero di criminali. Togliamo ogni nuovo nato in Calabria, Sicilia, Puglia e Campania (così copriamo tutte le mafie) alle proprie famiglie di origine e li spediamo direttamente in una serie di collegi svizzeri, dove torneranno maggiorenni beneducati, de-mafiosizzati e possibilmente con un bel caschetto biondo come si confà alle persone perbene.

Magari nella rete finirà anche qualche pargolo di famiglie “perbene”, ma credo fermamente sia un prezzo ragionevole da pagare per ottenere un grande risultato: se iniziamo subito, tra 20 anni nessuno saprà neanche cosa sia la ‘Ndrgangheta e ci saremo anche liberati (come benevolo effetto collaterale) di questi accenti da terroni che tanto ricordano i personaggi de Il Padrino!

Ps. se mi sta leggendo qualche M5S duro e puro che sposa in pieno la linea Travaglio: giuro che sto scherzando! Le mie erano solo boutade buttate lì per gigioneggiare! 

Che dite? Che avete già presentato delle proposte di legge in tal senso?

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