PETARDO, LAMPADINA E PERSONAL SHOPPER – INTERVISTA A VEA

di Leonardo Gallato

PETARDO, LAMPADINA E PERSONAL SHOPPER – INTERVISTA A VEA

di Leonardo Gallato

PETARDO, LAMPADINA E PERSONAL SHOPPER – INTERVISTA A VEA

di Leonardo Gallato

Ah, la musica. Questa strana espressione artistica che per chi la fa, alle volte, diventa quasi una schiavitù. Ci tormenta, ci abbatte, ci affama. Ci toglie il respiro, la lucidità, il riposo. Dobbiamo sottostare alle sue regole. La senti sempre lì, a chiamarti, instancabile. Ossessiva, viva, dentro  la nostra testa, dentro la nostra pancia. Poi, dopo aver tanto patito, avviene qualcos’altro. Un miracolo, forse. La liberazione. È la musica stessa a regalarci la libertà, la liberazione dalle sue ossessioni. La musica, quella cosa che ci rende schiavi, è essa stessa a renderci liberi.

Vi chiedo perdono per quest’introduzione un po’ sui generis, un po’ anomala per quella che, di fatto, sarà un’intervista. Ma le mie parole non stanno qui a sproposito. Anche per la protagonista che conoscerete a breve, Valeria Angelotti, in arte Vea, la musica è stata un miracolo, una liberazione. E a breve capirete il perché.

Andiamo avanti con ordine. Conosco Vea da un paio di anni e mi permetto di disturbarla via telefono di domenica pomeriggio. Sento rumori di spadellamenti vari. Vea è in cucina, e sta preparando una tortillas. No, non è spagnola. Vea è di Turìn. Viva il mondo globalizzato.

–        Ciao Valeria… no, non ce la posso fare. Non ti ho mai chiamato così. Ci riprovo… Ciao Vea! (ecco, va già meglio), queste tue doti culinarie mi incuriosiscono. Quanto ti senti cuoca?

Mah, diciamo che per me è una novità. Mi sto inventando cuoca. Devo dire che funziona. Seguo le ricette e va sempre tutto bene. Ecco dai, sicuramente un po’ cuoca sono.

–        Ecco, sono sicuro che in cucina, come nella musica, ti saprai muovere benissimo. Ma adesso che abbiamo rotto il ghiaccio, entriamo nel vivo dell’intervista. Cominciamo a parlare seriamente di musica. Per iniziare, come ti presenteresti ai nostri lettori? E soprattutto, ci dici perché Vea?

Di solito lascio alla musica l’arduo compito di presentarmi ad un pubblico che non mi conosce. In questo momento però sto cucinando e quindi…. CIAO RAGAZZI! Io sono Vea. Questo è un diminutivo che viene dal mio nome, che è Valeria. In pochi conoscono il mio vero nome. C’è della gente che ancora non lo sa. E ogni tanto si stupiscono se mi giro quando vengo chiamata Valeria (il più delle volte mi stupisco io stessa del fatto che riesca ancora a girarmi quando mi si chiama Valeria). Mi chiedi perché Vea. È semplicemente un giochino stupido. Mi piace giocare con le parole.. da Valeria.. V togli due lettere resta la E togli due lettere resta la A. È il mio nome senza AL e RI.

–        Ah, ok. Semplicemente questo? Viva la semplicità!

Sì, semplicemente questo [ridiamo entrambi, ndr]. E poi alle superiori hanno cominciato così, e tutti hanno continuato.. all’università, i vari gruppi con cui ho suonato. Nel momento in cui ho deciso di essere una solista avevo già un nome.

–        Quindi è stato il tuo nome a scegliere te, e non viceversa.

Esatto. Bhè, meglio così. Quant’è difficile trovare un nome di solito?

–        Troppo. Ma andiamo avanti. Io so che sei un’esperta di colloqui di lavoro [Vea ride, ndr]. Per completare la tua presentazione ti faccio quindi una domanda che sicuramente ti avranno già fatto nei varii colloqui. Come ti definiresti in tre aggettivi?

Sì, allora, [con tono da bambina, ndr] intanto solare… no vabbè. Quello che mi sento dire spesso e mi fa molto piacere è che esprimo grande energia. Mi hanno definito in un sacco di modi: un petardo, un lanciafiamme, una forza della natura. Mi piace quest’immagine. Sono una specie di lampadina.  Mi piace davvero. Perché la musica per me è esattamente questo. Energia. E il fatto che gli altri la ricevano da me mi dà un’immensa soddisfazione E poi sono ironica, e anche un po’ pazzoide. Non mi piace restare ancorata agli schemi. Le mie canzoni infatti sono molto diverse l’una dall’altra. Ma nonostante i miei brani non abbiano uno stile univoco e ben definito (e forse non ben definibile) hanno come filo conduttore una sola cosa, ben precisa: l’energia… Ho superato il colloquio?

–        Assolutamente sì. Vedo che ti sai presentare benissimo (sei proprio un’esperta di colloqui, eh?). Ma cominciamo a parlare della tua musica. Non sei una solista da sempre. Da quando hai cominciato a scrivere canzoni?

Ho cominciato a scrivere canzoni intorno ai vent’anni. La mia prima esperienza  di inediti l’ho fatta intorno ai ventquattro con una band che si chiamava Sexy Glam, ossia Vongola Sexy… Mi rappresentava già molto bene. [ride, ndr] Era una figata. Scrivevamo in inglese (ora non ci riuscirei più). Sciolto quel gruppo, sono entrata in lutto. Dopo un anno ho deciso di prendermi cura della mia voce. Mi sono iscritta al centro Jazz qui a Torino. Da lì in poi non ho più scritto. Per un lungo periodo. Poi al centro jazz ho incontrato quelli che sarebbero stati i compagni di viaggio per un’altra avventura, i Bastandards. Abbiamo cominciato con cover anni ’90, dopodiché siamo passati agli inediti. Ho ricominciato a scrivere. Ho recuperato un po’ di testi in italiano che avevo scritto quando ero più ragazzina. Mi faceva un po’ strano cantare in italiano. In realtà i testi ce li avevo nel cassetto, semplicemente non li avevo mai usati. Tra questi c’era pure Party che è il pezzo che in questo perido, nel mio piccolo, sta spopolando. Non sapevo di avere un piccolo tesoro nel cassetto. E da lì in poi ho trovato la forza per scrivere altro. In seguito le mie esperienze lavorative avrebbero inciso tanto sulla mia scrittura. Ho avuto delle esperienze nel commercio, come commessa, abbastanza traumatiche. Ad un certo punto non ce l’ho fatta più. Ho abbandonato il lavoro. Sì, l’ho fatto. Per un lungo periodo ho guadagnato poco e niente. E da questo momento in poi i miei testi diventano una specie di rivalsa. C’è la rivincita, c’è la donna matura, non più la ragazzina. Una donna che è cresciuta grazie alla rabbia. Una donna che si è allontanata dal lavoro e si è avvicinata sempre più alla musica. E poi dal 2015, a La Città della Canzone…

–        Aspetta, aspetta, aspetta. Vedo che ti sai raccontare benissimo. Ma così rischi di anticipare tutte le mie domande. Sei così abituata alle interviste? Quante ne hai rilasciate?

Come hai detto tu, ho fatto pratica ai colloqui [ride, ndr].

–        Nel 2015 dunque hai partecipato al workshop sulla canzone d’autore organizzato dal dipartimento di Musicologia di Cremona, ovvero La città della canzone (che poi è dove ci siamo conosciuti): un lavoro collettivo, lungo una settimana, dedicato interamente alla creazione ex novo di un brano d’autore, con quattro autori diversi. So che questo per te è un momento di rottura con il passato. Perché?

Diciamo che è stata una sfida con me stessa. Ho voluto mettermi in gioco da sola. Per me è stato un atto di coraggio, partecipare da sola. E devo dire che ha funzionato. A Cremona sono rimasta colpita da come i ragazzi siano stati tutti fin da subito entusiasti della mia musica. E quell’entusiasmo, io, non lo avevo mai visto prima. Lì sono rinata e mi sono rigenerata.

–        LCDC è stato un mettersi completamente a nudo. È stato mettere alla mercè di tutti uno dei momenti di maggiore intimità che un autore possa avere: la creazione. Come hai vissuto questo spogliarsi davanti agli altri?

Molto serenamente. Prima ho avuto un po’ di timore, sì, ma superato lo scoglio è andato tutto in modo molto naturale. Io non soffro la condivisione nel momento della creazione, devo dirti la verità. E l’esperienza di LCDC mi ha lasciato la voglia di confrontarmi con altre persone, prima che finisca una canzone. Di quell’esperienza mi è rimasto senza dubbio questo senso di collettività della musica. La collettività non è solo nell’esibizione, quella è solo la fine. Secondo me ci deve essere collettività anche in fase di composizione. Forse è anche meglio. LCDC mi ha lasciato anche tanta  voglia di lavorare con le idee degli altri e non solo con le mie. Vedi ad esempio il tuo brano [si riferisce ad Ostinato, il brano che ho composto in quella settimana, ndr] e quello che c’è di mio nel tuo. Mi sento ancora orgogliosa per quello che n’è venuto fuori.

–        Molto di quello che c’è in quel brano ti appartiene. Ma torniamo a parlare di te. Ultimamente vedo che il tuo nome si sta facendo strada, associato soprattutto al tuo brano Party. E proprio grazie a questo brano è arrivato il successo più grande finora, cioè la vittoria al Festival di Sanrito. Cos’è Sanrito, e com’è nata quest’esperienza?

Sanrito è arrivato da me. Come il mio nome. L’anno scorso ho partecipato ad un concorso a Milano ed è venuto a sentirmi un collega di corso della Civica. Quando mi ha sentito cantare mi ha detto di essere sprecata in questi piccoli contesti ed ha concluso perentorio: «Devi venire a Sanrito». Mi  ha  incuriosito ed ho mandato Party per le selezioni. Alla fine mi hanno presa. Sanrito, per dirla in breve, è  un antifestival di Sanremo. Si svolge durante le serate finali del Festival, e come Sanremo, è una gara. Quest’anno eravamo in dieci in gara. C’è stata un’atmosfera fantastica. E Party così, con tutte quelle sfumature, non l’avevo mai sentita. La band che arrangia e accompagna i pezzi dei partecipanti, i Crazy Power Flowers, è versatilissima ed eccezionale. E poi la professionalità con cui ti trattano, il calore e l’entusiasmo del pubblico numerosissimo, un intero staff che ti dà piena dignità artistica. Sanrito è una grande esperienza, ed è tutto organizzato senza alcun aiuto o sovvenzione. Consiglio a tutti di provare a partecipare.

–        Stai consigliando davvero tanta roba. Prima LCDC, ora il Sanrito.

Sì, sono fatta così. Non posso tenere solo per me le belle esperienze.

Vea

–        Certo, è giusto. Ma continuiamo. Mi hai detto che per un periodo hai smesso di scrivere e ti sei dedicata alla tua voce. A questo punto mi viene da chiederti: ti senti più cantante o più autrice?

Ehh che domanda! Questa mi mette in difficoltà! Non saprei.. in questo momento in particolare le due cose viaggiano forse molto in parallelo. O forse, in effetti, non mi interessa più come prima cantare qualcosa che sia diverso da quello che scrivo. Ora ho proprio necessità di cantare quello che scrivo. Ecco sì, forse sono più autrice al momento.

–        Lo stai realizzando praticamente ora? Posso essere fiero della mia arte maieutica. Ancora però non abbiamo parlato di un altro elemento importantissimo per la tua musica, e cioè il tuo strumento: l’ukulele. So che all’inizio lo hai scelto per delle esigenze fisiche, se così vogliamo chiamarle. È giusto?

Sì, ho cominciato perché la chitarra mi dava problemi di tendinite. Però devo dire che alla fine, anche in questo caso, l’ukulele ha scelto me. Nel senso che ha contribuito tantissimo a mandare avanti la mia carriera cantautorale. Perché alle volte è proprio la suggestione del suo suono a darmi il la per delle nuove canzoni. Quindi sì, è nato per un’esigenza fisica, ma poi ci siamo piaciuti, ecco.

–        Tutti che ti scelgono! Credo però che sia arrivato il momento di parlare di un nuovo progetto che per adesso ti sta tenendo impegnata: una campagna di crowdfunding su Musicraiser.com. Ci spieghi cos’è e come funziona?

 

Musicraiser è un sito di  crowdfunding specializzato in ambito musicale. Non è altro che una colletta…

–        Cioè al posto di farla in parrocchia, la fai su Internet?

Esatto [ride, ndr]. Diciamo che è una colletta fatta in modo contemporaneo. Ecco sì, sono molto contemporanei. Ma a differenza delle collette, non è una donazione a fondo perduto. Facendo una donazione puoi comprare in anticipo uno dei vari pacchetti messi in vendita per il supporto alla campagna. Una volta ottenuta la somma massima di cui un artista ha bisogno, il pacchetto comprato arriverà dritto a casa vostra. Se la campagna fallisce, la somma che avevate donato verrà interamente restituita. Ovviamente il tempo utile per arrivare alla somma prestabilita non è illimitato.

–        Qual è dunque l’obiettivo della tua campagna di crwodfunding e quali sono i pacchetti che hai messo in vendita?

Il mio obiettivo è l’incisione del mio primo EP, che si intitolerà Posto fisso. I pacchetti acquistabili sono vari: oltre all’EP in versione sia fisica che digitale, potete trovare tanti altri accessori, come ad esempio delle spillette (così puoi sentirti già parte di qualcosa che va oltre la musica). Man mano che si sale di prezzo aumentano i gadget o i servizi prestati da me medesima. Dalla lezione di ukulele, a quella di canto. Ce n’è uno però che vorrei sponsorizzare più di tutti: la personal shopper.

–        Questo è senza dubbio il pacchetto con il servizio più curioso. Come mai proprio la  personal shopper?

 

Ho fatto la commessa per tanto tempo e mi occupavo proprio di creare dei total look da zero, per persone sconosciute. Questa parte del mio lavoro era quella in fondo più creativa, in un certo senso.  E proprio perché c’era della creatività, era la parte in cui mi rifugiavo nei momenti di crisi. Ho deciso quindi di non rinnegare questo aspetto della mia vita. Questa prestazione è inclusa nel pacchetto Home concert e Personal shopper.

–        Prima di concludere parliamo quindi dell’EP. Perché Posto fisso? E quanti brani avrà?

Si intitola così perché è una raccolta di brani che parlano della mia rivincita. Del mondo del lavoro che ho vissuto. È anche il posto fisso che ho abbandonato per la musica… e il posto fisso che voglio crearmi con la musica. Diciamo che è la prima pietra per realizzarlo. I brani all’interno forse saranno cinque. Ma chissà cosa accadrà in studio. Potrebbero essere anche di più! Sul disco poi, non sarò da sola: con me ci saranno Edoardo Luparello (batteria e percussioni), Simone Ferrero (piano), Biagio Concu (basso) e Simone Guzzino (chitarre). Per la parte grafica mi aiuterà un’illustratrice bravissima: Dalia Del Bue.

–        Bene, direi che può bastare. Vuoi lanciare un appello per la tua campagna di crowdfunding?

Sì, ed userò uno slogan che ha creato uno dei miei sostenitori: SOSTIENI VEA, È UNA BUONA IDEA. Per l’appello vero e proprio invece, vi rimando tutti al video di presentazione che è su Musicraiser.

–        Grazie Vea, ti abbiamo conosciuto davvero a fondo.

Grazie a voi!

Per sostenere concretamente la forza, la creatività e il coraggio di Vea basta andare su https://musicraiser.com/projects/7426-il-primo-ep .

Potete anche seguire tutti i suoi concerti e le novità che la riguardano sulla pagina Facebook https://www.facebook.com/veangelotti/?fref=ts .

Cara Vea, tutti noi di The Freak ti auguriamo un grosso in bocca al lupo per questa campagna, e soprattutto, per la tua carriera artistica.

di Leonardo Gallato, all rights reserved

 

 

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