Qualcuno, tempo fa, parlava di Naja, un servizio militare che dava diritto a 12 CFU universitari. Qualcun altro ancora proponeva un servizio civile di 6 mesi tra la maturità e l’università. I più europeisti caldeggiavano per un servizio civile europeo. La verità è che il servizio civile, da quando è stato riformato, è foriero di risultati e il Dipartimento per la Gioventù e il Servizio Civile presso la Presidenza del Consiglio ha fatto un lavoro impeccabile. Dura un anno e prevede una retribuzione di 400 euro mensili per tutti quelli che decidono di spendere 12 mesi della propria vita in ONLUS, associazioni, enti del terzo settore, amministrazioni pubbliche. Con un beneficio che è di tutti, a partire dagli enti che ricevono manodopera gratuita. Ma questa versione del servizio civile è facoltativa, la prende chi ha voglia di “concedersi” un anno sabbatico o è usata come un anestetico da chi è in cerca di un lavoro.
La leva militare obbligatoria era la cosa più simile al servizio civile ed è andata in pensione più di 15 anni fa. Ora, i tempi per una leva militare obbligatoria, al contrario di quanto vorrebbe qualcuno, sono ormai trascorsi. I conflitti bellici sono roba da secolo breve, soprattutto nella ricca e prosperosa Europa Unita, da sempre terreno fertile di guerre e scontri tra Stati. Non solo per questo, ma anche e soprattutto perché quel misto di nazionalismo e campanilismo che è poi la base ideologica della leva obbligatoria, è stato negli anni attenuata da valori dominanti antitetici, a partire dall’europeismo fino al pacifismo. Nel 2019 appare quindi anacronistico che uno Stato chiami i propri cittadini alle armi per la “Difesa della Patria”. Anche se qualche esempio in Europa è sopravvissuto, come la Grecia in cui il servizio militare è obbligatorio per una durata di 6 mesi.
Le ragioni più importanti che dovrebbero spingere i policy maker a introdurre il servizio civile risiedono nel come le nuove generazioni stanno venendo su e negli effetti collaterali dei diritti. In particolare, concetti come coesione, identità e comunità rischiano di svanire nel nulla. Perché i Diritti ci hanno reso tanto forti quanto soli e se spopolano i diritti individuali, meno fama hanno quelli delle formazioni sociali, dei corpi intermedi sempre più bistrattati. I bambini di oggi passano le loro giornate su YouTube o incollati alla televisione rimbambiti da cartoni animati demenziali. Gli adolescenti prediligono i social network dove trascorrono ore della propria giornata. Il “dove” non è una casualità, perché i social network sono diventati dei luoghi-non-luoghi con convenzioni sociali, gerarchie, centri d’interesse; crescono avvolti da una patina dorata, con un muro di indifferenza a fare da specchio a tutto il resto.
In pratica i diritti donano dignità e aiutano il singolo a realizzarsi, gli forniscono gli strumenti per autodeterminarsi come meglio crede, ma tra gli effetti collaterali hanno l’individualismo. Una società atomistica, iper connessa dove i singoli restano tali e non si trovano inseriti in una comunità. Ciò ha una ricaduta negativa sulla coesione e in particolare sulla tendenza ad essere solidali. Sarebbe utile ricordare che i diritti sono a somma zero, e per ogni diritto c’è un corrispondente dovere. La stessa Costituzione ci ricorda che oltre ai diritti abbiamo dei doveri sociali nei confronti della nostra comunità, intesa come insieme di individui che ha qualcosa in comune, che è, appunto, in comunione.
Il rischio è di trovarci in una società sempre più disattenta alle esigenze dei più deboli, dove le disuguaglianze sono accentuate. Ma soprattutto una società dove non esistono formazioni sociali come i partiti, le parrocchie, le associazioni, i sindacati; i corpi intermedi che si fanno carico delle istanze dei singoli ma soprattutto soddisfano quell’innato bisogno di socialità che secondo Aristotele ci distinguerebbe dagli animali.
Una società sempre più giurisdizionalizzata, dove il rapporto con la politica è stato reciso, e per ogni pretesa, ogni bisogno, c’è un giudice pronto a riconoscerlo. Penso al lavoro immane delle Corti Costituzionali per il riconoscimento dei nuovi diritti che con fatica la politica recepisce. In questo senso, il servizio civile obbligatorio avrebbe lo scopo di ricordare che l’essere umano non è un’isola ma è immerso in una comunità, dalla quale finora ha solo ricevuto, mentre è arrivato il momento di dare, mettendosi al Servizio.,
Il servizio civile obbligatorio è quindi un ambizioso promemoria di doveri sociali ed è, in un certo senso, un collante, con lo scopo di aumentare la coesione, tessere rapporti e abbattere i pregiudizi. Se il servizio militare rafforza l’idea di uno Stato chiuso, pronto a mettere in campo la propria gioventù per difendere i confini da un non ben precisato nemico, il servizio prestato per i poveri, i malati, i carcerati è una gigantesca operazione di umanità, più di qualsiasi testo di storia, di qualsiasi lezione di educazione civica.
Il servizio civile europeo potrebbe essere poi l’ennesimo volano per la realizzazione di un’identità comune, con un meccanismo ancor più efficace dell’Erasmus. Per prendere in prestito da D’Azeglio, fatta l’Europa, bisogna fare gli Europei.