L’Ucraina
e la spesa militare

Per aiutare l'Ucraina
servirà aumentare la spesa militare

Se i paesi NATO e dell’Unione Europea vorranno continuare a sostenere l’Ucraina
dovranno aumentare la spesa militare e la politica di armamento

di Simone Pasquini

L’Ucraina
e la spesa militare

Per aiutare l'Ucraina
servirà aumentare la spesa militare

Per aiutare l'Ucraina
servirà aumentare la spesa militare

di Simone Pasquini
spesa militare

L’Ucraina
e la spesa militare

Per aiutare l'Ucraina
servirà aumentare la spesa militare

Se i paesi NATO e dell’Unione Europea vorranno continuare a sostenere l’Ucraina
dovranno aumentare la spesa militare e la politica di armamento

di Simone Pasquini

A quasi un anno di distanza dall’ingresso dei carri armati russi all’interno dei confini ucraini, la situazione sul campo rimane ancora estremamente complessa. Quella che gli strateghi russi speravano si risolvesse in una sorta di guerra lampo della durata di alcune settimane si è rivelata essere un incubo militare e logistico per i soldati del Cremlino.

Tuttavia, un simile stato di cose non è stato dovuto solo alle mancanze ed alle incapacità delle forze armate russe, ma anche ad una strenua resistenza delle forze ucraine, le quali hanno potuto godere del fondamentale supporto in armamenti fornito dalla NATO (soprattutto Stati Uniti e principali partner europei). Negli ultimi giorni, in seguito al vertice del cosiddetto “gruppo di contatto per la difesa dell’Ucraina”, tenutosi nella Germania meridionale presso la grande base aerea statunitense di Rammstein, si è discusso molto circa la questione delle forniture occidentali all’Ucraina

La situazione sul campo di battaglia

Per prima cosa, cerchiamo di fare brevemente il punto della situazione sul campo. Negli ultimi due mesi la situazione sul fronte orientale del paese si è andata stabilizzando, creando sostanzialmente una situazione di stallo. Ci sono stati tentativi di affondo sia da parte russa che da parte ucraina, ma le modifiche territoriali sono state veramente minime.

Ci sono però due elementi che impensieriscono i vertici di Kiev e molti degli analisti che stanno seguendo il conflitto: per prima cosa, l’arrivo dei nuovi riservisti russi al fronte che erano stati chiamati alle armi durante l’autunno e che ora hanno terminato l’addestramento incomincia a far sentire il proprio peso. Fino all’inizio dell’autunno, infatti, uno dei vantaggi principali delle truppe di Kiev era dato da una equivalenza di forze in campo (quando non addirittura vantaggio numerico ucraino) su quasi ogni teatro di operazione, cosa che aveva perfino premesso a Kiev di tentare limitate avanzate nei territori occupati dai russi o dai separatisti.

Ora, invece, l’arrivo di forze fresche del Cremlino sta già incominciando a far oscillare l’ago della bilancia, e ne sono una prova i recenti successi russi a Bakhmut e Soledar, due nodi strategici fondamentali per la difesa ucraina (giova comunque sottolineare il fondamentale ruolo dei mercenari della Wagner in queste ultime operazioni, molti dei quali sono soldati professionisti di altissima qualità ed esperienza).

Sebbene gli ucraini continuino a voler ridimensionare il peso dei risultati russi, in un’intervista rilasciata al quotidiano Le Monde già il 12 gennaio il Capo di gabinetto ucraino Andriy Yermak aveva lasciato intravedere come la situazione sul campo per gli ucraini si stesse facendo sempre più calda di settimana in settimana. A questo dato bisogna anche aggiungere le voci, ormai confermate da moltissime fonti di intelligence e non, che vorrebbero i russi nel pieno dei preparativi per una offensiva in grande stile, da lanciarsi all’inizio della primavera.

Questi due elementi aiutano a spiegare la veemenza con cui il presidente Zelensky ed altri membri del governo ucraino hanno fatto pressioni sui rappresentanti riuniti al vertice di Rammstein sia per quanto riguarda la possibilità di inviare nuovi aiuti militari, sia, soprattutto, la natura di questi aiuti.

Inviare o no i carri armati?

Iniziamo subito col dire che il vertice si è rivelato un mezzo fiasco, tanto che è stato già fissato un nuovo vertice del gruppo di contatto in Febbraio. Il nodo principale su cui il confronto si è arenato è stato quello della richiesta ucraina di poter avere in dotazione i moderni carri armati tedeschi modello Leopard 2. Gli ucraini smaniano per poter contare su mezzi corazzati estremamente moderni, soprattutto se comparati alla gran parte delle forze corazzate russe (le quali hanno in dotazioni mezzi non di per sé eccessivamente terribili, ma sicuramente obsoleti in confronto ai carri di ultima generazione). E sebbene la Polonia sarebbe ben disposta a cedere all’Ucraina i propri Leopard, per farlo necessita dell’assenso della Germania, ovvero del paese produttore.

Nelle ultime 24 ore su questo fronte si sono avuti sviluppi importanti, con l’annuncio da parte della Germania di voler non solo lasciare che la Polonia fornisca i propri Leopard all’Ucraina, ma che la stessa Repubblica Federale fornirà 16 carri dello stesso tipo, i quali dovrebbero arrivare al fronte in tempo per l’inizio dell’offensiva. Inoltre, lo stesso presidente Biden ha affermato che gli USA, per agire di concerto con la Germania e gli alleati europei, invierà 31 carri armati Abrams (“i migliori carri armati del Mondo”, come li ha definiti il presidente USA in conferenza stampa).

Sommati con i carri di provenienza francese, sono attesi da Kiev circa un centinaio di mezzi blindati nei prossimi mesi. Molti meno di quelli inizialmente richiesti dalle forze armate ucraine, ma comunque un risultato importante ed un messaggio politico molto forte. Messaggio al quale Mosca non ha esitato a rispondere con durezza.

Il portavoce del Cremlino Peskov ha affermato che questa decisione da parte dei membri della NATO porterà inevitabilmente ad una recrudescenza del conflitto e ad una sicure escalation militare, le cui conseguenze ricadranno tutte sulle spalle degli europei.

La titubanza dei tedeschi

 Ma perché il cancelliere tedesco Scholz è così poco convinto circa la fornitura di carri armati? Le ragioni sono molteplici, e non solo di ordine politico. Le considerazioni di natura strategica sono tutte a favore dell’impiego di questi mezzi, soprattutto perché potrebbero permettere agli ucraini di uscire da una situazione di sostanziale stallo che ha reso molte aree del fronte molto simili ai campi di battaglia della prima guerra mondiale, con centinaia di chilometri di trincee e filo spinato. Ma, oltre alle ragioni della strategia, la situazione impone ascoltare anche le ragioni della logistica.

All’inizio del conflitto la quantità di mezzi ed armamenti che i paesi NATO hanno fornito all’Ucraina, salvo alcune eccezioni specifiche come i missili antiaerei “Stinger”, consisteva in vecchi residuati bellici sovietici, i cui pezzi di ricambio e munizioni erano compatibili con i sistemi di armamento utilizzati dall’esercito ucraino. Ma, negli ultimi mesi, in seguito al quasi totale esaurimento di queste risorse, gli alleati hanno dovuto ricorrere sempre più a modelli di armamento “propri”, nel senso di “utilizzati dai paesi NATO”, i quali hanno componenti completamente diverse.

Un esempio banale: un paese che utilizzi delle pallottole del calibro standard NATO non potrà fornire le sue munizioni agli ucraini se questi usano modelli di ideazione sovietica. Questo processo sta rendendo la resistenza ucraina sempre più dipendente dalle armi di fabbricazione occidentale, e qui sorge il vero problema: gli stabilimenti di armamenti occidentali non sono in grado di soddisfare una improvvisa impennata di richieste, soprattutto se si tratta di armamenti complessi come carri armati di ultima generazione.

L’unica soluzione a breve termine sarebbe quella di attingere alle cosiddette “risorse strategiche”, ovvero gli stock di materiale che ogni paese tiene di riserva in caso di emergenza o necessità. Anche questa, come si può intuire, è una scelta che fa storcere il naso agli Stati Maggiori dei paesi coinvolti, e comunque costituisce una misura-tampone.

Rimanendo nel caso specifico dei carri armati Leopard, ogni nuova linea produttiva richiederebbe la costruzione di impianti e l’assunzione di centinaia e centinaia fra nuovi operai e tecnici di alto profilo, il tutto per riuscire a produrre un nuovo carro alla settimana (nella migliore delle ipotesi). Può sembrare strano scoprire i tempi lunghissimi richiesti dall’evoluta industria occidentale, ma dopotutto bisogna anche capire che in società come quella in cui viviamo, in cui la guerra (per fortuna) non è più qualcosa di quotidiano, l’industria della difesa si adatta ad esigenze di fornitura basate sulla qualità, a scapito della quantità.

Se i paesi NATO e dell’Unione Europea vorranno continuare a sostenere l’Ucraina in un conflitto che per il momento non sembra mostrare margini di esaurimento, le classi dirigenti di quei paesi dovranno necessariamente prendere delle decisioni importanti circa la propria spesa militare e la propria politica di armamento. Decisioni che potrebbero essere molto difficili da far digerire alla propria opinione pubblica.

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