Peppino, Noemi ed Antonio

di Redazione The Freak

Peppino, Noemi ed Antonio

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Peppino, Noemi ed Antonio

di Redazione The Freak

È chiaramente una provocazione. D’altronde sono proprio le provocazioni, di senso e di sostanza, che talvolta ci spingono a forzare il ragionamento nel tentativo di andare oltre ai soliti, retorici, esercizi di pensiero.

Negli istanti in cui mi trovo a scrivere mancano più o meno dodici ore al momento in cui, quarantuno anni fa, nella bella Cinisi, veniva assassinato Giuseppe Impastato – meglio conosciuto come Peppino -. Nella notte tra l’8 e il 9 maggio 1978, il giovane Giuseppe veniva ucciso dalla mafia. La sua storia è oramai ben nota, fatta rivivere attraverso numerose rappresentazioni cinematografiche e bibliografiche; la storia di Giuseppe Impastato è – giustamente – diventata una delle storie sulle quali si è provveduto alla costruzione dell’identità antimafia del nostro Paese. D’altra parte, sono qui a scrivere proprio nel quarantunesimo anniversario della sua morte, a conferma di quanto ancora oggi sia necessario tenere viva la memoria nel tentativo di sedimentare concetti e visioni all’interno della nostra identità antimafia.  Negli istanti in cui mi trovo a scrivere sono anche passati pochi giorni da quando, in una città che dista più o meno 800 km da Cinisi, la piccola Noemi è stata colpita da un proiettile vagante che, tuttora, la costringe a lottare per la vita.  Nella stessa città di Antonio, giovane ragazzo che porta sulle spalle il peso dell’ingombrante figura del padre camorrista ma che ha il coraggio di alzare la testa, prendere in mano il megafono e raccontare ad un folto corteo di persone la parte più intima della propria storia di ribellione. C’è un filo rosso che lega le tre storie, quella di Peppino, quella di Noemi e quella di Giuseppe. Sono storie legate dalla presenza costante, asfissiante e oppressiva di associazioni criminali di stampo mafioso. Nella storia di Peppino la figura del padre e dei suoi compagni mafiosi, nella storia di Noemi un agguato di camorra, nella storia di Antonio ancora la figura del padre e la camorra. Nel ricordare queste storie rimandiamo ad un altro intreccio di fili rossi, che vogliono rappresentare quelle provocazioni, intellettuali ma non solo, di cui parlavo all’inizio. La prima: passano gli anni, si riorganizzano le formazioni politiche, si succedono i governi di ogni genere e sorta, continuano le ricorrenze delle vittime innocenti; ma ancora siamo a costretti a convivere con affermazioni del tipo: “Ci sono vittime che hanno avuto la sfortuna di essersi trovate nel posto sbagliato nel momento sbagliato”. No, non esiste. Sono stanco di ricordare storie di morti ammazzati e sentire, ancora, come una litania di circostanza, frasi del genere: non esistono cittadini che hanno la sfortuna di trovarsi in luoghi sbagliati in momenti sbagliati. Esistono delinquenti che non dovrebbero avere la possibilità di riversare sulle nostre strade lo schifo e le conseguenze della loro violenza. La seconda provocazione: Peppino ha alzato la testa – pagando con la vita -, Antonio ha alzato la testa, la città di Napoli attraverso numerosi suoi cittadini e cittadine ha alzato la testa da tempo. La società, attraverso il singolo o grazie alla moltitudine, si organizza e reagisce nei limiti dei mezzi che possiede. Ieri e oggi la società alza la testa ma non vede dinanzi a sé quella risposta complessa, organica, forte e di lungo periodo da parte delle Istituzioni che hanno il dovere di tentare di estirpare il cancro della criminalità organizzata nel nostro Paese e di difendere i proprio cittadini dai mali della società – a proposito: i mali reali, non altri, ma questo è un altro discorso -.

È bene ricordare Peppino e la sua radio come è bene ricordare i troppo volti di uomini e donne che hanno dato la vita per contrastare le mafie, altresì è necessario continuare a mettere in discussione ogni nostra pratica di memoria quotidiana. Diventa difficile ricordare l’impegno di Peppino in questi giorni, diventa difficile scrivere parole che non abbiano il sapore retorico di un cerimoniale già scritto, diventa difficile trovare una nota dolce e portatrice di sentimenti positivi continuando a nutrirci della triste ed ingiusta cronaca di tutti i giorni. Per questo dobbiamo giungere alla provocazione, fino al collegamento di storie e vissuti apparentemente tanto diversi ma forse in parte fortemente legati da elementi comuni. Teniamo viva la memoria, adempiamo ai nostri doveri, pretendiamo i nostri diritti.

di Edoardo Accorsi, all rights reserved

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