Partenze

di Francesca Michetti

Partenze

di Francesca Michetti

Partenze

di Francesca Michetti

Venerdì pomeriggio, stazione Tiburtina, un trolley pieno di pensieri, paure, desideri.

Io che guardo i passanti: un uomo d’ affari che parla animatamente al telefono, un ragazzo con la musica alle orecchie e gli occhi incollati sullo smartphone, una madre e il suo bimbo, altri volti di passanti, altre storie. Quanta vita che transita qui.

La gente intorno a me aspetta impaziente il treno in ritardo, camminando su e giù per la banchina, qualcuno corre per salire sul treno appena in tempo, qualcun altro, invece, corre ad abbracciare la persona che lo aspetta. Io mi fermo in mezzo a tutta questa gente e parto per un viaggio diverso, un viaggio nel tempo.

Ripenso alla prima volta su quel freccia-argento, lasciavo a casa la paura, portavo con me un bagaglio di emozioni belle: l’entusiasmo di vivere un’esperienza nuova, il mio amore a distanza, la voglia di sfidare quei 500 km e di vincerli, la fiducia in me, in lui, in noi, e quel briciolo di inevitabile incoscienza che accompagna ogni nuovo inizio.

Quando ci siamo conosciuti, il suo trasferimento aleggiava già nell’ aria, minaccioso. Spaventava lui, non me. Ma la sua paura, di riflesso, mi scuoteva, mi destabilizzava. Sono entrata in punta di piedi nella sua nuova vita, cercando di collocarmi da qualche parte, di ricavarmi un piccolo spazio. Aspettavo fiduciosa che mi vedesse e si ricordasse che anch’ io ero un pezzo della sua vita, che ero lì per lui. Mi sentivo fuori posto, come uno di quegli oggetti che ti porti via da casa per ricordo ma poi non sai che farne, quasi ti pesano perché iniziano a non appartenerti più.

Ogni passo verso di lui era un salto nel vuoto, mi muovevo nella sua direzione quasi alla cieca, mossa dal desiderio, prima, e da una forte ostinazione, poi. Era un Amore ostinato. Un braccio di ferro estenuante. Non con lui, ma con me stessa. Per quanto mi sforzassi di negarlo, avevo intuito che in quella storia c’era una sola vittima e un solo carnefice: io. Lui ed io eravamo solo ombre di amanti. Due vite incollate per caso, che col tempo si mescolano un po’ ma che non riescono a completarsi, a fondersi. Lui era la proiezione dei miei bisogni, dei miei desideri, delle mie aspettative. Era la sostanza dei miei nodi irrisolti. Pretendevo che fosse lui a curare certe mie vecchie ferite, a colmare i miei spazi vuoti, a farmi sentire accettata e amata, lo volevo a tutti i costi. Ero fermamente convinta di dover conquistare il suo amore, di doverlo meritare. Era una sfida quotidiana, un banco di prova, in cui dovevo dare il meglio di me, impegnarmi, sforzarmi di essere tutto ciò che lui desiderava che io fossi, anche quello che non ero. Dovevo dimostrare a lui di valere qualcosa per poterlo dimostrare a me stessa.

In questa rincorsa sfrenata avevo perso la mia identità, non mi riconoscevo più, mi ero persa. Io che ero sempre stata così intensa, così piena, iniziavo a sentirmi inaridita, svuotata. Solo ora mi rendo conto che stavo vivendo contemporaneamente due storie, due amori sbagliati, uno con lui, l’altro, il più importante, con me stessa. Ora capisco che l’ unico vero viaggio che mi aspetta è quello per ritrovare me stessa, dovunque io mi sia nascosta.

All’improvviso il fischio del treno mi sottrae ai miei pensieri e mi riporta alla realtà.

Salgo, la vita, la mia, è già li che mi aspetta.

 

di Francesca Michetti

Una risposta

  1. Leggendo questo racconto mi sono emozionata molto non solo per la storia in se, dettagliata e molto fluida nella lettura, bensì per la sincerità della scrittrice. Credo, evincendolo dalla storia stessa, sia stata vissuta in prima persona e che abbia lasciato un segno non poco profondo in lei. Personalmente spero di leggere un continuo di questa storia, che auguro alla scrittrice sia gioioso e di sperato ritrovo di se stessa.

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