Oscar, volontario della Croce Rossa: un meraviglioso esempio di resistenza

di Redazione The Freak

Oscar, volontario della Croce Rossa: un meraviglioso esempio di resistenza

di Redazione The Freak

Oscar, volontario della Croce Rossa: un meraviglioso esempio di resistenza

di Redazione The Freak

In mezzo a questa pandemia globale, che non conosce confini, nessuno si salva da solo.

Lo ha ricordato Francesco Rocca, Presidente della Croce Rossa italiana e della Federazione internazionale della Croce rossa e Mezzaluna rossa, in una conferenza via Web con la stampa internazionale.

L’organizzazione umanitaria opera fin dall’inizio dell’emergenza in prima linea nella lotta al Coronavirus, prestando fede – ora più che mai – all’obiettivo principale che da sempre anima l’attività di circa 160.000 mila i volontari: prevenire e alleviare la sofferenza umana in maniera imparziale.

Un’ Associazione cui forse non sempre prestiamo attenzione, perché siamo abituati a sentirne parlare e di cui, forse troppo spesso, diamo per scontato il relativo operato, dimenticandoci però che non si parla semplicemente di un’entità astratta, ma di un insieme di persone, proprio come me e voi. Grandi e giovani volontari che, in questa situazione di elevatissimo e generalizzato rischio, continuano quotidianamente a mettere la loro vita, oltre che la loro attività, al servizio della collettività, prestando un massiccio aiuto ai principali attori che operano sul territorio nazionale.

Oscar Zisa, per esempio, è un ragazzo come noi. Ha 30 anni e viene da Ragusa. Ma da 2 anni vivo a Parma dove, oltre al suo normale lavoro, fa il volontario della Croce Rossa Italiana (attività che porta ormai avanti dal 2014). Attualmente, dopo essersi regolarmente formato attraverso una serie di corsi certificati, presta servizio nel ramo delle Emergenze/Urgenze.

Oscar Zisa, volontario presso la Croce Rossa di Parma

Oggi Oscar ci racconta la realtà che vive quotidianamente, dando voce non solo alla sua esperienza, ma a quella di tanti altri uomini che, come lui, hanno deciso di resistere e di non venir meno ai propri valori etico-morali nonostante la paura legata al momento.

Ormai da anni fai un opera nobile prestando servizio presso la Croce Rossa. È passato il tempo, hai cambiato città ma la tua dedizione e passione sono rimaste immutate, anche ora che il pericolo è cresciuto notevolmente. Hai però mai avuto paura al punto di pensare di mollare?

Con l’epidemia che si è scatenata, violenta ed inarrestabile, in questi mesi ci siamo trovati indubbiamente spiazzati ma non impreparati. Il nostro Presidente, in un piccolo discorso tenuto agli inizi di questo inferno, ci ha chiesto la disponibilità a coprire una grossa flotta, distinta tra ambulanze Covid e ambulanze “pulite”, a ciò sommandosi una serie di altri servizi che siamo chiamati a prestare quotidianamente.

La risposta è venuta immediatamente e prontamente dal cuore: METTIAMOCI SUBITO ALL’OPERA!

Non ti nascondo che, dopo quel primo impeto, a mente fredda e ragionandoci attentamente, ho avvertito un po’ di paura. Ho temuto di non farcela, ho temuto di arrivare a mollare.

Ci siamo trovati ad affrontare un nemico invisibile e agguerrito, che ha messo a dura prova il nostro morale, prima che la nostra salute. Ci sono stati dei momenti in cui mi sono sentito crollare a pezzi, con l’umore sotto lo zero. E l’unico modo che ho trovato per tirarmi su è stato aggrapparmi alla fede.

La gente ti chiede aiuto, alcune volte ti prega di salvarle la vita e lì capisci che devi stringere i denti e tenere duro per chi ha più bisogno di te, per chi ha bisogno di te. Non si puoi mollare proprio in quel momento. È allora che ripeto incessantemente a me stesso il nostro motto, in cui credo fermamente: “Un’Italia che Aiuta”.  

Credo da sempre, anche per fede, che chi sta bene abbia il dovere di aiutare i più deboli… lo facevamo prima dell’epidemia e DOBBIAMO, a maggior ragione, farlo adesso. Dobbiamo portare avanti ciò in cui crediamo fino alla fine.

In cosa e quanto è cambiata la tua attività? Che procedure si seguivano prima dell’emergenza covid-19 e quali quelle attuali?

Le attività sul territorio parmense si sono rafforzate durante questa epidemia. Abbiamo cambiato i protocolli d’intervento. Di nuovi, infatti, sono stati emanati dalla Centrale Operativa 118 e ci siamo adeguati alle loro istruzioni.

Di certo la sicurezza del personale è stato il primo punto sul quale si è intervenuti: così, ad esempio, se prima le valutazioni erano accanto al paziente, adesso invece si fanno fuori dalla porta (in caso di sospetto Covid) e, solo dopo un accurato controllo di febbre e saturazione (livello d’ossigeno del sangue espressi in percentuale), l’operatore decide i giusti DPI per un intervento sicuro.

L’approccio con il paziente deve essere deciso e poco invasivo. Dopo aver valutato la situazione, il soccorritore decide il metodo più appropriato di intervento.

In caso di paziente stabile, il soccorritore si impegna quindi a mettere a proprio agio il soggetto. Il trasporto in ambulanza non deve farlo spaventare, anche se oggi è più complicato in quanto il soccorritore indossa i DPI completi (tuta bianca, calzari, mascherina e visiera) e già questo incute timore.

In presenza di un paziente critico, il tempo è prezioso. Ogni secondo può fare la differenza. La valutazione, quindi, deve essere rapida, ma non può assolutamente essere approssimativa. Cerchiamo quindi di essere concentrati al massimo, focalizziamo l’attenzione sui parametri vitali del paziente. Come ho detto, i secondi fanno la differenza, perchè questo virus tende a far precipitare repentinamente le condizioni di salute dell’infortunato. A malincuore devo ammettere che mi capitano sempre più frequentemente casi critici. Ho imparato perciò ad accelerare il soccorso.

Come vi approcciate oggi ai pazienti che soccorrete?

In questi lunghi mesi ho vissuto tante esperienze inimmaginabili. Potrei raccontarti tantissimi episodi che mi hanno toccato il cuore in modo indelebile.

Tanta gente, senza un briciolo di forze, ci chiedeva aiuto. Ho visto persone salutare i familiari con un ” ciao mamma, ci vediamo presto”, senza però poi riuscire a mantenere, ahimè, quella promessa!

L’episodio che mi porterò per sempre impresso è un trasporto mirato a svuotare il reparto Covid di un padiglione dell’Ospedale Maggiore di Parma. Lo vedo ancora davanti ai miei occhi come se fosse oggi…

Mi cambio. Metto la tuta bianca, mascherina, visiera e salgo al terzo piano del padiglione con la barella e una bombola d’ossigeno. Inizio quindi un trasporto, molto delicato, si tratta di un paziente stabile ma che potrebbe comunque diventare critico durante il trasporto. Per ogni evenienza, quindi, vengo accompagnato da un medico.

Caricato il paziente in barella, mi avvio verso l’uscita in direzione dell’ambulanza.

Durante il trasporto, Michele – così si chiamava il paziente – ha lo sguardo perplesso e molto spaventato. Assieme al medico gli controlliamo spesso i parametri vitali, visto il rischio di un repentino crollo. Non può parlare perché ha subito una tracheotomia per la somministrazione d’ossigeno. Per tranquillizzarlo gli continuo a parlare, spiegandogli che sta cambiando struttura a causa della sua lenta ripresa. Lo rassicuro che presto potrà rincontrare la sua famiglia, che non vede da più di un mese.

Arrivati in questa nuova struttura riabilitativa, porto su Michele nella sua nuova stanza e, dopo averlo messo a letto, vengo a sapere che è uno dei pochi pazienti usciti dalla rianimazione dopo due settimane di coma. Estubato e portato in lunga decenza, Michele quasi miracolosamente migliora fino a quando non viene spostato.

Oggi posso dire fermamente di essere fiero, ho conosciuto un guerriero, forte e con tanta voglia di vivere.

Lo sguardo di Michele mi rimarrà per sempre impresso nella mente.

Tieni duro, Michele, la vita è ancora lunga.

Di Isabella Inguscio, all rights reserved

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