NUOVA AUTONOMIA REGIONALE: REDISTRIBUZIONE AI RICCHI O METODO INNOVATIVO DI GESTIONE RISORSE?

di Mauro Mongiello

NUOVA AUTONOMIA REGIONALE: REDISTRIBUZIONE AI RICCHI O METODO INNOVATIVO DI GESTIONE RISORSE?

di Mauro Mongiello

NUOVA AUTONOMIA REGIONALE: REDISTRIBUZIONE AI RICCHI O METODO INNOVATIVO DI GESTIONE RISORSE?

di Mauro Mongiello

Tra una battaglia sul congresso di Verona e una questione sulla cittadinanza, l’agenda politica italiana sembra essere troppo piena per discutere di un tema che, senza tema di smentita, ben può essere definito “l’elefante nella stanza” dell’assetto statale sul territorio nazionale.

Stiamo parlando dell’autonomia regionale, vero e proprio cavallo di battaglia delle origini di una delle due forze componenti il governo gialloverde, quella Lega “fu” Nord tanto autonomista ed indipendentista agli albori e lungo il prosieguo della segreteria Bossi-Maroni quanto nazionalista e sovranista sotto la guida di Matteo Salvini.

Antonello Venditti cantava: “certi amori non finiscono, fanno giri immensi e poi ritornano”: ebbene, il tema autonomista ben può essere riadattato a questo verso del cantautore romano, complice un quadro istituzionale fortemente mutato nelle ricche e industriose regioni del Nord.

Prima di andare nello specifico, occorre riassumere brevemente i termini della questione: nel 2017, sotto il governo Gentiloni, tre Regioni a statuto ordinario avevano avviato il processo relativo alla c.d. “autonomia differenziata”, la cui fonte legislativa è da rinvenirsi nell’art. 116, co. 3 della Carta costituzionale. Le tre Regioni (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna), erano addivenute all’avvio del percorso con modalità diverse: i cittadini lombardi e veneti erano stati chiamati ad un apposito referendum consultivo, mentre nel caso emiliano-romagnolo si è trattato di un’iniziativa della Giunta regionale.

Segnatamente, l’accordo tra Roma e le regioni prevedeva, sulla scorta delle indicazioni di legge, un ampliamento dell’autonomia regionale nelle seguenti materie:

  • Tutela dell’ambiente e dell’ecosistema
  • Istruzione
  • Tutela del lavoro
  • Rapporti internazionali e con l’UE
  • Tutela della salute
  • Per la sola Lombardia, accordi successivi possono regolare altre materie, ad esempio la governance del territorio regionale e il coordinamento del sistema tributario e della finanza pubblica

Accanto alle tre iniziative sopra citate, con l’avvento del governo Lega – Cinque Stelle, altre Regioni a statuto ordinario hanno avviato il processo, articolando la propria iniziativa sulla base delle necessità contingenti (si pensi alla Campania, al Lazio e al Piemonte).

Quali saranno gli effetti di questi accordi?

A ben vedere, una risposta a questa domanda ancora non c’è, vista l’enorme quantità di previsioni più o meno fosche affastellatisi nel dibattito pubblico. In generale, il meccanismo di ripartizione delle risorse utili ad affrontare le competenze tipiche dei nuovi ambiti di autonomia sarà trasferito alle Regioni secondo un criterio definibile come “costo storico”: in parole prove, si tratterebbe della spesa pro-capite tipica dell’ente regionale nel determinato comparto di riferimento.

Nell’arco di un anno, decorso a partire dalla stipula definitiva dell’accordo, questo criterio dovrebbe venire sostituito dal c.d. “costo medio nazionale”, valore parametrato alla media spesa dalle singole Regioni nella determinata materia di competenza.

In generale, la proposta capitanata da Luca Zaia, il governatore leghista del Veneto, sembrerebbe essere rivolta ad un’autonomia quanto più possibile a quella delle Regioni a statuto speciale, con tutte le conseguenze economiche del caso. Di base, secondo alcuni costituzionalisti (si pensi a Roberto Bin e al suo articolo su startmag.it), non è la riforma in sé a dover preoccupare quanti temono un forte restringimento dei soldi a disposizioni per le Regioni più arretrate del Paese, quanto piuttosto comprendere cosa si celi dietro le etichette apparenti e se lo spostamento di competenze relative a materie così delicate non generi un effetto boomerang circa gli standard qualitativi delle prestazioni ad esse connesse.

Insomma, il tema è particolarmente intricato, tanto da essere passato in secondo piano rispetto a questioni di più forte impatto mediatico e di maggiore “digeribilità”: a ben vedere, trattandosi di ambiti particolarmente vicini al cittadino, sia per quanto essi incidano sull’agire quotidiano sia per la vicinanza del futuro ente erogatore degli stessi, ci si dovrebbe attendere un maggior senso di responsabilità e di “spirito-guida” da parte della classe politica.

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