Notre-Dame, la fenice di Parigi

di Ludovica Tripodi

Notre-Dame, la fenice di Parigi

di Ludovica Tripodi

Notre-Dame, la fenice di Parigi

di Ludovica Tripodi

Il ne sort donc rien au dehors de ce feu qui me brûle le coeur“.

“Non si vede niente oltre questo fuoco che mi brucia il cuore” (Victor Hugo, Notre-Dame de Paris, 1831)

Non abbiamo visto nient’altro che fiamme ieri notte. Nient’altro che fumo e fiamme. Un incendio mostruoso che inesorabilmente divorava Nostra Signora di Parigi, uno dei simboli della cristianità, una meraviglia, opera somma dell’ingegno e dell’arte umani, teatro di letteratura, musica e spiritualità.
Prima l’imponente guglia, la flèche, la freccia gotica scagliata sul cielo parigino, poi il collasso del tetto originale, la cosiddetta “foresta”, per la cui costruzione si stima siano state necessarie circa 1300 querce.

E noi, attoniti, increduli e stupiti, davanti alle nostre tv e ai nostri smartphone, guardavamo le fiamme continuare a divampare.

Ma ciò che è arso “sono legni e metalli; non è Notre Dame. Possono crollare pietre che saranno ricostruite: non può morire un simbolo, una fede, una nazione” scrive Aldo Cazzullo nel suo editoriale di oggi (16 aprile 2019) su “Il Corriere della Sera”.

Notre Dame, infatti, è viva: vive nella sua storia, vive nella sua arte, che stanotte è scampata ad un terribile tentato omicidio, vive nella letteratura ed in particolar modo in quella romantica, stigmatizzata nella meravigliosa opera di Victor Hugo “Notre-Dame de Paris”, composta per sensibilizzare i parigini a dare nuova vita alla cattedrale, in pessime condizioni dopo la Rivoluzione Francese.

Vive perché Notre Dame è Parigi, perché Notre Dame è la Francia, perché Notre Dame è l’Europa.

Notre Dame, testimone oculare di pietre miliari della storia del nostro continente: lo splendore del Re Sole, il matrimonio di Caterina de’ Medici con Enrico II di Francia, l’incoronazione- o l’auto-incoronazione- di Napoleone, raccontata su tela da Jacques-Louis David. Fu via di scampo e rifugio degli ugonotti e presa d’assalto durante la Rivoluzione Francese, culla della storia d’amore tra un gobbo storpio e una zingara, gli ultimi tra gli ultimi, al sicuro solo sotto le guglie e la campane della Cattedrale, Nostra Signora di Parigi. 

E dopo la Rivoluzione, la rinascita grazie a Eugène Viollet-le-Duc, l’architetto che nel XIX secolo rese melodioso e romantico il gotico di Notre Dame, l’architetto delle gargouilles, l’architetto che restaurò e riportò alla luce la magnificenza della cattedrale.

Notre Dame risorse allora e sorgerà anche questa volta.

Clamorosi esempi di rinascita riguardano anche e soprattutto il nostro Paese. La Cattedrale di Noto, gioiello del barocco siciliano, a seguito del terremoto del 13 dicembre 1990, subì danni strutturali così gravi che nel 1996 portarono al collasso della cattedrale. Fu riaperta al pubblico nel 2007, dopo lavori di restauro meticolosi che coniugarono tradizione ed innovazione.

 26 settembre 1997. Un terribile terremoto colpì Umbria e Marche. Ad Assisi la volta della Basilica superiore dedicata a San Francesco crollò e gli affreschi di Giotto e Cimabue subirono danni ingenti. Il restauro, però, ha riportato alla luce la bellezza perduta.

La notte del 15 aprile 2019 non sarà facilmente dimenticata, ma sulle fiamme tornerà a prendere il sopravvento la bellezza imperitura ed ancora, fortunatamente, intatta che Victor Hugo, magistralmente ed in modo fortemente evocativo, descrisse così:

 “In quei giorni di luminosità, di tepore e di serenità, c’è un’ora precisa in cui bisogna ammirare il portale di Notre-Dame. È il momento in cui il sole, che si appresta a tramontare, guarda quasi in faccia la cattedrale. I suoi raggi, sempre più orizzontali, si ritirano lentamente dal selciato della piazza e risalgono lungo lo strapiombo della facciata sulla quale fanno risaltare in un gioco di chiaroscuro le mille rientranze della scultura, mentre il grande rosone centrale fiammeggia come un occhio di ciclope infiammato dai riverberi della fucina.

Era proprio quell’ora “

È il tramonto di Notre Dame in attesa di una nuova, inevitabile, alba.

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