Napoleone “Ai posteri l’ardua sentenza”

Napoleone
"Ai posteri l'ardua sentenza"

Due secoli fa moriva Napoleone Bonaparte, l'uomo che ha influenzato un intero periodo storico

di Simone Pasquini

Napoleone “Ai posteri l’ardua sentenza”

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"Ai posteri l'ardua sentenza"

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"Ai posteri l'ardua sentenza"

di Simone Pasquini
Napoleone Bonaparte, 200 anni dalla morte

Napoleone “Ai posteri l’ardua sentenza”

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"Ai posteri l'ardua sentenza"

Due secoli fa moriva Napoleone Bonaparte, l'uomo che ha influenzato un intero periodo storico

di Simone Pasquini

Napoleone. Di lui il Duca di Wellington era solito dire: “Sul campo, solo il suo cappello vale come 40.000 uomini”. Ormai 200 anni sono passati da quando venne esalato l’ultimo respiro del guerriero, del legislatore, del tiranno. In una parola, dell’Emperor. Personaggio allo stesso tempo amato e odiato, quella di Napoleone è una figura che ancora dopo due secoli riesce ad eccitare gli animi e suscitare polemiche. Cosa rimane, oggi, della memoria del generale corso? È giusto o meno commemorarlo? Sono molte le domande che necessitano di una risposta, ma molte di esse non possono necessariamente essere valide per tutti.

Molto spesso gli storici, sebbene sia opportuno astenersi da una tale arroganza, tentano di rinvenire negli avvenimenti che studiano delle leggi a cui i corsi e ricorsi storici dovrebbero rispondere. Speranza assolutamente vana, anche se spesso è possibile intuire quali siano le dinamiche alla base dei grandi avvenimenti – dinamiche politiche, sociali, culturali – le quali, retrospettivamente, permettono di riconoscere le logiche alla base di quegli stessi avvenimenti. Napoleone, forse, costituisce la più grande eccezione a questa regola.

Soffermandoci un attimo a pensare all’uomo ed alle sue origini, è quasi incredibile – in un continente di re, principi ed imperatori – che un uomo di così umili origini sia riuscito a sottomettere l’Europa intera. In realtà, si trattava di un mondo antico che stava iniziando a perdere i suoi pezzi. Napoleone, figlio di semplici isolani ed in seguito assurto al rango di Imperatore dei francesi, forse incarnò più di chiunque altro gli ideali della Rivoluzione francese (o, perlomeno, riuscì a sfruttarli come pochi altri prima e dopo di lui).

È impossibile pensare la carriera di Napoleone senza immaginare la Francia della Bastiglia, della Convenzione Nazionale e del Terrore rivoluzionario, dove forse per la prima volta gli uomini credettero di poter costruire un mondo non più dominato dal privilegio e dalla disuguaglianza. Come diceva lo stesso Napoleone: “Nello zaino di ogni soldato si trova un bastone da maresciallo”. E chi poteva saperlo meglio di lui? Formatosi in un collegio militare a Grenoble – dove veniva preso in giro per il rozzo accento corso – giovane capitano di artiglieria durante le giornate “calde” della Rivoluzione, ebbe modo di far risaltare le proprie qualità in una Francia che aveva fatto della mobilità sociale non solo la propria caratteristica, ma il suo stesso scopo.

Senza la Bastiglia, probabilmente, sarebbe diventato un ufficiale come tanti ed oggi ciò che rimarrebbe di lui sarebbe solamente un nome scarabocchiato su un polveroso registro in qualche umido archivio. Grazie alla Rivoluzione, egli pose le basi della sua sfavillante carriera, e la stessa Francia rivoluzionaria fu disposta a seguirlo letteralmente dovunque, dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanare al Reno.

Alla luce di ciò, si potrebbe obiettare che, in fondo, l’ascesa di un Napoleone era qualcosa di naturale, quasi inevitabile. Niente di più lontano dal vero. Poche volte nella storia accade di incontrare un uomo le cui eccezionali doti e le sfavillanti capacità siano tutte straordinariamente preordinate al raggiungimento di un solo scopo: la conquista del potere. La leggenda delle gesta del generale, che perseguitano gli studenti fin da ragazzini con date da ricordare e battaglie da memorizzare, oscura spesso le altrettanto eccezionali trame del politico.

Napoleone si avvalse sempre del suo eccezionale fiuto, che gli permetteva di percepire le possibili minacce con la stessa infallibilità con cui sapeva riconoscere le opportunità. In un mondo dove erano ancora il ferro ed il fuoco a decidere la sorte dei popoli, la sua capacità di impadronirsi delle forze della Nazione era seconda solo all’abilità con cui era in grado di sfruttarle.

Una popolazione giovane e numerosa, consapevole del ruolo del proprio Paese, che fu disposta di buon grado ad affidare a lui i propri figli fintanto che egli fosse stato in grado di donare alla Francia la vittoria. E così fu. Ma vittoria dopo vittoria, sempre più gli ideali della Rivoluzione lasciavano il posto alle esigenze del potere. Il Generale divenne Console, ed il Console, infine, Imperatore.

Napoleone Bonaparte

E proprio nel momento in cui l’Europa è ormai ai suoi piedi, ai piedi della Francia, lo scacco in Russia, la crudele ritirata nel freddo e nella neve e la fuga verso Parigi. Quando nel Palazzo delle Tuileries il fedele maresciallo Ney – fra i tanti che Napoleone elevò alla fama riscattandoli da una esistenza misera – pronunciò le fatidiche parole “Sire, i cosacchi abbeverano i cavalli nella Senna”, l’Imperatore capì che non c’era più niente da fare. L’abdicazione era il solito esito possibile, sebbene “il mostro” (come iniziavano a chiamarlo nelle corti d’Europa) non rinunciò a condurre con sé nel proprio esilio sull’Elba i soldati della sua Vecchia Guardia, compagni di tante vittorie.

Ma uno spirito così caparbio non poteva arrendersi alla sorte senza combattere. La fuga dall’isola e la riscossa in Patria sono materia adatta ai romanzi di avventura. Nonostante gli anni di guerra perenne, nonostante i tanti lutti che la gloria della Francia (e la gloria dell’Imperatore) costarono ai francesi, l’ultima leva per il nuovo esercito imperiale riscosse un grande successo.

Solo un bucolico paesino a pochi kilometri da Bruxelles pose fine all’epopea dei 100 giorni. Sul campo di Waterloo, al tramonto del 18 giugno 1815, gli ultimi superstiti della amata Vecchia Guardia, ormai circondati da inglesi e prussiani, vengono falciati al grido “La Guardia muore, ma non si arrende”.

Uomini che avevano attraversato tutta l’Europa al rombo dei cannoni ed al seguito del loro amato Imperatore, non potevano immaginare di sopravvivere alla caduta del sogno imperiale. Forse, dopotutto, quando pensiamo a Napoleone tendiamo troppo spesso a soffermarci su quello che fu l’uomo, con i suoi pregi e con le sue debolezze, senza pensare agli uomini che lo innalzarono sulle proprie spalle. Uomini che morirono per permettere all’uomo di inseguire i propri sogni di grandezza, ma allo stesso tempo che lo fecero convinti di perseguire il riscatto della propria Nazione.

Napoleone, per parte sua,  era certo che i posteri lo avrebbero ricordato per il suo codice civile piuttosto che per le sue vittorie militari. Ma per “il Dio in Terra della guerra” – come lo definì quel genio di Von Calusewitz – è impossibile concepire ambiente migliore del campo di battaglia, e forse in questo sta il limite di noi moderni, così tanto attratti dalle semplificazioni. Napoleone non fu solo, un guerriero, ma lo fu soprattutto.

Senza i lutti della guerra egli non avrebbe potuto raggiungere il potere e la fama, ma ugualmente non avrebbe potuto diffondere gli ideali della Rivoluzione nell’Europa conquistata. Strano a dirsi, è in un certo senso nel sangue di Lipsia e di Austerlitz che affondano le radici il liberalismo ottocentesco. Mentre Napoleone attendeva la fine sull’isola di Sant’Elena, a Vienna i monarchi europei provarono a fingere che dal 1789 nulla fosse successo.

Ma quando una società viene scossa dalle fondamenta ed interi imperi capitolano, niente rimane più come prima. Ma senza Napoleone, senza l’uomo Napoleone, sarebbe stato impossibile anche solo concepire un simile corso della Storia. Un noto poeta, all’incirca in questi giorni di 200 anni fa, addossò a noi posteri l’oneroso compito di scrivere una ardua sentenza. Ma siamo davvero sicuri, in tutta onestà, di essere pronti per giudicare non un uomo, ma un intero periodo storico?

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