Ci sono due modi per affrontare la questione. Uno, prettamente giuridico; l’altro, che fa leva su grandezze metalegali, attinenti ai valori e ai principi che ognuno di noi custodisce e fa propri. Siccome non tutti possiedono una laurea in giurisprudenza e, non essendo questa la sede per una speculazione in punto di esecuzione penale, io vorrei, ecco, vorrei che il discorso corresse equidistante tra l’una e l’altra grandezza.
Non c’è bisogno, tuttavia, di superare un esame o vincere un concorso per commentare la vicenda di Totò ‘u Curto, quel Riina che, secondo sentenze passate in giudicato, è la mente ed il mandante delle peggiori stragi che hanno insanguinato l’Italia dalla fine della II guerra mondiale. Sì, amici, parliamo di Totò Riina, che già solo a pronunciare il nome si sente l’odore della polvere da sparo.
Dunque, la vicenda è la seguente: Totò Riina, a quanto pare, sta tirando le cuoia. L’Avvocato chiede alla Magistratura di sorveglianza di far sì che il mafioso per eccellenza possa morire, attenzione, non fare una vacanza, ma morire, spirare fuori dalla cella. I Giudici non consentono, l’Avvocato impugna e gli atti corrono dritti a Piazza Cavour. La Cassazione dice: “il provvedimento non è motivato bene, pronunciatevi di nuovo”. Che significa? Significa che la Suprema non ha espresso l’intenzione di scarcerare il Boss, ma ha imposto al giudice di rivalutare il suo provvedimento. C’è il rischio di una scarcerazione? Sì. Ma chiamarlo rischio è sbagliato. Anzi, è pure auspicabile.
La folla blaterante, quella stessa folla che scimmiotta il gergo mafioso quando vede le cosche in TV, si indigna. In qualche commento da teratologia facebookiana, addirittura, si tira in ballo – Dio solo sa il perché – il Governo. Ma a me non fanno paura gli elementi usciti dal bestiario, perché l’ignoranza, quella che svuota i pitali sulla testa di Aronne Piperno l’Ebanista, è costante del popolino. A me fa paura l’indignazione della Società – oh mio Dio lo sto per dire – della “Società Civile”, che di civile non ha niente. Sì, quella Società, o forse sarebbe meglio definirla cosca, che partecipa a fiaccolate, che si mostra impegnata, che vomita legalità di qua e legalità di là, che commemora, che pianta alberi, che istituisce giornate della memoria, che ci ha fatto due balle così con i diritti, i nuovi diritti, i diritti civili, i diritti politici, i diritti sociali, che imbastisce workshop, osservatori, associazioni, think tank, che sventola la Costituzione, lo Statuto Albertino, la Magna Charta e che, sì, spara foto di Falcone, di Borsellino, di Falcone & Borsellino manco fossero un marchio di fabbrica. Eh, sì, ragazzi: come il made in italy, i Magistrati assassinati sono un trademark potentissimo, spesso usato per dare dignità a fenomeni che la dignità non sanno manco che cosa sia. Ma andiamo al punto. Se la Mafia è mancanza di umanità, se è la negazione della pietà, se è il disprezzo per la vita, se è l’odio per il prossimo, se è quella congrega dove la vendetta – anche trasversale – è eretta a sistema, ditemi voi come può essere qualificata la condotta di chi nega ad un moribondo, una persona che si troverà da sola, con il suo carico di peccati di fronte alla morte, la possibilità di crepare fuori da un carcere. Lo Stato avversa la vendetta e combatte chi la pratica, ma, se si vendica del condannato, si pone sul suo stesso livello. Un po’ come il ladro che biasima il furto altrui. E se questo succede, allora vuol dire che quello stesso Stato che si nutre e sopravvive di legalità scade a semplice sistema di potere, giusto come la Mafia che ne è l’alternativa. Proprio perché lo Stato è diverso, si comporta diversamente. Andrebbe spiegato, questo, a quei signorini della legalità, sempre lì a salmodiare articoli e principi, con la foto di Falcone & Borsellino appuntata sul petto come i cuori d’argento delle congregazioni religiose in processione. “Sì, ma Totò Riina è un animale che scioglieva i bambini nell’acido”, vero, e tu che vuoi lasciare un moribondo in cella cosa sei? Più animale di lui, perché almeno Totò Riina ha l’attenuante della bestialità; la tua cultura, invece, costituisce un’aggravante: sai benissimo, infatti, e sei consapevole di cosa stai negando, piccolo Solone cresciuto a pane e ipocrisia, sempre pronto ad invocare Saviano Akbar. Mi dispiace, Gioia mia: tu di costituzione e di Falcone e Borsellino non hai mai capito una ceppa.
Andiamo sul fronte giuridico. Quella Costituzione, da molti trattata come un film di nouvelle vague (cioè: molto figa da citare senza averne inteso un solo comma), stabilisce che la pena non può mai trascendere in un trattamento inumano e degradante. Usano i più basilari canoni della logica, lasciar morire il peggior criminale fuori dalle sbarre mi sembra perfettamente aderente al precetto costituzionale. Incostituzionale sarebbe il contrario. E ancora, alla prima lezione di diritto penale (quel diritto praticato da Falcone e Borsellino) insegnano: la pena ha due funzioni: una repressiva, l’altra rieducativa. Ma cosa reprimi a fare se il reprimendo sta per morire? E cosa rieduchi a fare se vita non ne ha più? E se le domande sono due ma la risposta è una, cioè “nulla”, allora mi sembra non ci sia bisogno di aggiungere altro: far morire Riina in cella è vendetta, pura e semplice, che è la reazione (mafiosa) a causa della quale morirono Falcone e Borsellino. Non è così che si combatte la Mafia o, meglio, la mafiosità. Questi sono fenomeni che si avversano depositando denunce in Procura: operazione, questa sì, molto più incisiva. E anche pericolosa. Ma soprattutto più onesta.
Veniamo a Falcone e Borsellino®, che mi ricordano il Colosseo imbrattato dai graffiti dei turisti. C’è chi fa vignette attribuendo ad uno dei due un improbabile accento romanesco e chi – addirittura – inventa dialoghi tra i due svolti in paradiso. E’ uno spettacolo ignominioso e fa male, malissimo, perché il travisamento del loro insegnamento somiglia terribilmente all’utilizzo che i nazisti fecero del superuomo di Nietzsche: significa che sono morti invano e tutto quello che hanno fatto non è servito a niente. Ma questa non è una novità, Trevanian ammoniva: “il tuo disprezzo per la mediocrità ti rende cieco di fronte alla sua immensa forza primitiva. Le masse di mediocri sono i nuovi tiranni”.
E alla fine di tutto questo discorso, che probabilmente non servirà ad una mazza, sapete che c’è? C’è che se fossi davanti a Riina, gli direi: “Muori tranquillo, Totò, a bonu locu vai. Hai così tanti debiti con noi che tutta la tua vita non li può ripagare. Allora sai che facciamo, Totò? Facciamo come i signori: un sorriso e una pacca sulla spalla. Tutto pagato, Totò. Mezza parola”.
di Riccardo Rubino, all rights reserved