Mi sono abilitato, ma adesso?

di Isabella Inguscio

Mi sono abilitato, ma adesso?

di Isabella Inguscio

Mi sono abilitato, ma adesso?

di Isabella Inguscio

Il decreto legge “Cura Italia” (n.18 del 17 marzo 2020), con l’abolizione dell’esame di Stato per l’abilitazione alla professione medica, ha definitivamente sbloccato la situazione di circa 4mila neolaureati in medicina e chirurgia, che attendevano di poter svolgere la prova scritta, prevista per il 28 febbraio ultimo scorso e poi di seguito rinviata a causa dell’attuale emergenza sanitaria.

Possiamo ora, con gli effetti giuridici del citato decreto, ritenerci ufficialmente medici, abilitati a svolgere la professione.

Formalmente e burocraticamente possiamo partecipare ai bandi di concorso emergenziali emanati dalle istituzioni, nonché a quelli riguardanti i servizi di continuità assistenziale nelle varie regioni.

Ma di fatto i dubbi e le perplessità legati alla necessita di fornire l’aiuto in pratica richiesto permangono. Tralasciando volontà e voglia di fare, per le quali non può esistere in noi il senso della misura, in virtù della professione scelta, mi chiedo quale possa essere l’aiuto concreto che un neolaureato in medicina, figlio di tanta (troppa) teoria e poca pratica, può dare direttamente in una situazione straordinaria quale quella che stiamo vivendo oggi.

La riflessione parte dalle parole del presidente dell’Ordine dei medici (Fnomceo), Filippo Anelli, che – pur approvando in maniera favorevole l’introduzione della laurea abilitante – ha definito “impensabile l’inserimento dei neolaureati in corsia”.

Per la gestione del Covid-19, in particolare nelle zone maggiormente colpite e negli ospedali, servono infatti elementi altamente specializzati (in primis anestesisti-rianimatori, poi infettivologi, internisti) in grado di poter fronteggiare un’emergenza di tale portata; figure con competenze elevate difficilmente raggiunte da un neoabilitato, il quale richiede un’istruzione pratica ad hoc.

Diverso è invece il caso, ad esempio, dei servizi di continuità assistenziale, dei contratti a tempo determinato per i servizi sanitari territoriali o delle sostituzioni presso gli ambulatori dei medici di medicina generale, settore fortemente colpito dall’emergenza.

Un neolaureato in medicina possiede infatti la capacità di potervi lavorare bene, frutto anche del tirocinio pratico- valutativo che ognuno di noi svolge da solo, per un periodo limitato, dal medico di base, affrontando direttamente le problematiche connesse alla gestione dei pazienti sul territorio.

Il decreto ha sciolto uno dei nodi burocratici più dibattuti degli ultimi tempi: la laurea in medicina è finalmente abilitante. Tuttavia non si è espresso circa un problema ben più grave e profondo: la carenza di borse di specializzazione.

Abilitandoci non siamo solo entrati nel mondo della professione, ma anche in un evidente imbuto formativo che prevede circa 8.500 contratti per più di 20.000 medici che svolgeranno il prossimo test di specializzazione.

Se non aumenteranno le borse, infatti, non aumenterà il numero di specialisti fondamentali non solo ora, ma anche ad emergenza finita, quando ci sarà bisogno di riorganizzare completamente il lavoro negli ospedali, nei singoli reparti e nella sanità tutta.

Siamo abilitati dunque, siamo pronti a scendere in campo, ad “andare in trincea”, ma vogliamo anche specializzarci per iniziare un nuovo capitolo della nostra, lunga, formazione.

E se ieri eravamo dei ragazzi neolaureati con sogni ed obiettivi in attesa di ogni decisione che potesse influire sul nostro futuro, oggi vorremmo partecipare volontariamente al lungo percorso della nostra specializzazione e vorremmo poter dare attivamente il nostro contributo dovunque si manifesti la necessità, consapevoli che l’inesperienza specialistica è affiancata dalla paura di non riuscire, concretamente, ad aiutare.

di Rossella Calciano, all rights reserved

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